Sostiene D’Orrico, il migliore critico letterario italiano, che se un bambino gli chiedesse chi è il più forte scrittore italiano, risponderebbe: Manzini. Come se fosse un centravanti. E Rocco Schiavone con la sua classifica dei livelli di rotture di coglioni (trionfale new entry all’ottavo livello: la gita all’Ikea) è il miglior fantasista, un numero 10, del romanzo giallo, anzi blu, da che esiste Sellerio, italiano. Schiavone è meraviglioso perché vive ad Aosta dove nevica sempre, e lui è un trasteverino che odia il freddo.

È vicequestore, antropologicamente scisso e perennemente psicanalizzato dalla moglie morta, al posto suo, in una sparatoria: fuma continuamente marijuana e i suoi unici amici, dall’infanzia, sono veri delinquenti. Provetti scassinatori, falsari, gente che sa sparare. Dice ancora D’Orrico che: c’è la tragedia greca, in salsa banda della Magliana, c’è C’era una volta in America di Sergio Leone nel destino come protocollo di inganni e persino un inarrestabile finale in crescendo morriconiano. Ecco, Vecchie conoscenze, il nuovo Manzini, mantiene la vetta della prima classifica di luglio. Classifica da estate vera: di caldo, di vacanze e di letture, fra calcio, vergognosi manganelli alzati nelle carceri, vaccini e variante Delta. Un bomber da più di 50mila copie in due settimane, dichiara Sellerio.

Ottimo ed equo il patto con il lettore: tu mi dai 15 euro, io un romanzo in cui per un paio di pomeriggi ti faccio dimenticare: l’afa, Grillo e Conte, Salvini che difende i manganellatori, il Covid, il calcio e perché non s’inginocchiano. E in cambio ti faccio pensare agli spettri che si aggirano fuoriusciti dal passato di Schiavone e a chi ha ucciso la vecchia professoressa studiosa di Leonardo.

Le altre posizioni

Vediamo cosa la classifica, strumento diagnostico potente del mercato e del gusto, ancora ci indica. Seconda posizione per la saga dei Florio (il primo volume è da due anni in classifica con 700mila copie) di Stefania Auci, L’inverno dei Leoni, Nord, con oltre centomila copie, terza La canzone di Achille di Madeline Miller, Marsilio, nella sua corsa dal ritmo impressionante, ogni settimana guadagna copie (ne parliamo nella prossima pagina di questo Domani). Tra i politici sempre prima nella saggistica Io Giorgia, della Meloni sorella d’Italia, Rizzoli, s’avvia alle centomila e surclassa il debole Letta al 506simo posto con l’improbabile titolo di Anima e cacciavite. Per ricostruire l'Italia, Solferino.

C’è un ingresso di rilievo nella narrativa. Quello di un grande scrittore, un maestro. Un classico dell’estate Adelphi: Georges Simenon, La mano. Il suo ultimo romanzo americano, terminato nella primavera del 1968. Apparve a puntate sulla Revue des Deux Mondes e Simenon si dichiarò turbato dall’avere scritto una storia così crudele. Aveva ragione, lo è.

Sentite l’aria dello stile, il respiro della storia. «Eh sì che mi ero sempre considerato un uomo razionale! Invece mi era bastato lo spettacolo di un uomo e di una donna che facevano l’amore in bagno. Perché quello era stato il punto di partenza». Siamo nel cuore di una festa, lei è la moglie del padrone di casa appena conosciuta, lui ha la moglie alla festa. Fuori una bufera di neve.

Se Donald Dodd ha sposato Isabel anziché, come il suo amico Ray, una di quelle donne che fanno «pensare a un letto», se vive a Brentwood, Connecticut, anziché a New York, è perché ha sempre voluto che le cose, attorno a lui, «fossero solide, ordinate». È un avvocato maniaco della precisione. Isabel, dolce e indulgente, non gli ha mai rivolto un rimprovero. Eppure intuisce, e non di rado disapprova, le sue azioni, perfino i suoi pensieri. Forse Isabel intuisce anche che gli capita di desiderarle, le donne di quel genere, «al punto da stringere i pugni per la rabbia».

Sa che cova un odio purissimo per quelli che al pari di Ray, hanno avuto dalla vita ciò che a lui è stato negato. Assieme hanno studiato giurisprudenza, oggi l’altro è un Mad man sciupafemmine a New York. Isabel non dirà niente neanche quando Ray verrà trovato cadavere: si limiterà, ancora una volta, a rivolgere al marito uno di quei suoi sguardi acuminati e pieni di indulgenza. Né gli impedirà, pur non ignorando quanto sia attratto da Mona, di occuparsi, in veste di avvocato, della successione di Ray, e di far visita alla vedova più spesso del necessario. Ma Donald comincerà a non sopportare più quello sguardo che, giorno dopo giorno, lo spia, lo giudica – e quasi lo sbeffeggia.

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