Claudia Cardinale, il cinema fuori di sé

The next love goddess è il titolo di un’intervista che Alberto Moravia fa a Claudia Cardinale nell’aprile del 1961 e che esce poi su Esquire nel maggio dello stesso anno per diventare in versione ampliata, nel1963, un libro per Lerici editore, parte della collana che poco prima, nel 1960, ha ospitato un ritratto di Brigitte Bardot firmato da Simone De Beauvoir. Se la scrittrice e filosofa femminista francese riserva a BB un trattamento colto dall’incanto della bellezza di senso pieno e conferisce alla diva la forza interiore radicata nella dignità artistica, non vale lo stesso per il modo in cui Moravia si approccia a CC. Claudia Cardinale è stata quello che il cinema italiano poteva essere L’intera intervista è impostata su un intento scomodo: affrontare Cardinale come fosse un oggetto, partendo dall’idea della potenza dell’unicità che dell’oggetto è propria, eliminando il soggetto Cardinale prendendole le misure di busto, fianchi e così via. Anche a voler trovare in questa prospettiva un significato poetico altro rispetto al dialogo umano e paritario tra intervistatore e intervistata, si fatica molto a considerare l’esito di tale esperimento qualcosa di anche solo leggibile, ora come allora (e ora certamente di più). L’imponenza del soggetto Claudia Cardinale (ventitré anni in quel momento) doveva già apparire del tutto inaffrontabile e indomabile al soggetto Alberto Moravia, di trent’anni più anziano, al punto da non poter essere maneggiato se non come discorso inanimato, per poter in qualche misura essere gestito. Addio a Claudia Cardinale, eterna Angelica del Gattopardo di Visconti Stare nelle cose Visto da qui, dall’anno 2025, a distanza di pochi giorni dalla sua morte nel piccolo comune di Nemours, in Francia, dove viveva con i figli Patrick e Claudia da poco prima della pandemia del 2020, il soggetto Cardinale è ancora più esplosivo, magico e imprendibile: una vita inciampata nel cinema che ha finito con l’onorarne la sorte intera, duecento film e una quantità di registi e registe a guidarne il mestiere davvero non enumerabile, roba che se uno li legge infila un po’ si annoia perché davvero quasi nessuno manca all’appello. Per Cardinale il cinema era un modo di stare nelle cose, e soprattutto di stare meglio che nella vita, lo diceva e lo ripeteva ogni volta che l’indagine sul suo metodo, sulla sua recitazione, sull’infinità di traguardi e premi e possibilità raggiunti si infittiva. «Il mestiere del cinema», sosteneva, «non per scappare dalla vita, ma per viverla meglio di come ho vissuto la vita vera, se non altro con più sincerità e consapevolezza»: la consapevolezza e la sincerità erano dunque davanti alla macchina da presa, sincere e consapevoli erano Angelica, Claudia (alter ego in 8 e½ di Federico Fellini), erano Molly, Aida e tutte le altre, molto meno lo era CC fuori dal set, impegnata a dribblare, con uno stile diventato epica, le gesta dei corteggiatori incalliti (da Warren Beatty a Marlon Brando e chissà quanti ancora) e intanto lavorare, lavorare e lavorare, per mantenere sé stessa e il figlio di una violenza subita. Povero Bob Dylan senza sugo: un film da guardare con gli occhi chiusi Bob Dylan Il cinema allora, per Cardinale, diventa tutto lo spazio di libertà, cinema è il modo di stare nelle curve di sé e del proprio tempo per far affiorare, consapevole e sincera, la vita e sé stessa anche oltre le riprese, è un’emersione per baluginii, flash, improvvisate dell’icona oltre i personaggi e le interpretazioni. Lei neppure lo sa ma un giorno Bob Dyla n è nello studio del fotografo Jerry Schatzberg, autore degli scatti della copertina del suo capolavoro Blonde on Blonde (1966), quando vede una foto di CC che si morde il labbro inferiore e folgorato domanda di inserirla nel booklet del disco. Presto fatto. I legali di Cardinale lo scopriranno quasi subito, minacceranno azioni legali e faranno rimuovere l’immagine e ristampare immediatamente il booklet delle stampe a venire con una nuova immagine, stavolta di Dylan stesso; sebbene l’immagine di Cardinale (che nel frattempo scoprendo la cosa sarà naturalmente lusingata) tornerà nelle ristampe successive, quelle primissime copie americane saranno rarissime per l’eternità. Difficile immaginare qualcosa di più cool ed emblematico nel definire in termini estetici e simbolici un dato frammento della storia popolare del mondo, delle immagini di Dylan e Cardinale insieme, vicini, all’interno di un LP straordinario, a fare immaginario poetico, estetico, artistico. Bellissimo, cattivo e furtivo: la leggenda di Delon non muore Storia cosmopolita Di racconti come questo, puro cinema che scavalca il set, è piena la storia cosmopolita di CC, da un certo punto in poi divisa tra Cinecittà e Hollywood. Nel 1967, l’anno successivo all’uscita di Blonde on Blonde, Claudia Cardinale sarà protagonista di alcune foto di Richard Avedon, la vediamo in questi scatti coloratissimi, giocosi e sexy abbracciata a Frank Zappa che, a un certo punto, mima pure un morso al mento dell’attrice. Le foto escono su Epoca nel mese di luglio raccontando un modo di vivere hippie e bizzarro che il settimanale dell’Italia pre-sessantottina certamente non comprende né sposa. Il contesto delle fotografie è indicativo: CC è a Los Angeles per girare Piano, piano non t’agitare! Di Alexander Mackendrick, con Tony Curtis e Sharon Tate, in quei mesi fa la conoscenza della California della Summer of Love immersa nelle proteste studentesche, conosce gli Hell’s Angels, scopre il rock e la psichedelia a Laurel Canyon e si ritrova fotografata da uno dei più grandi fotografi del mondo insieme a una delle più grandi rockstar di sempre. La vera eredità di Robert Redford è l’amore per il cinema indipendente Robert Redford Claudia Cardinale portail cinema fuori di sé, sconfina di diritto, regale, straziante, incandescente e finisce nelle canzoni ma ne incide persino di sue abbracciando la wave della disco music, non si sottrae, porta il cinema a spasso nel mondo, mantiene il contatto con i giovani e con l’impegno civile fino alla fine dei suoi giorni: si occupa dei diritti delle donne, sostiene apertamente l’ala progressista francese e la comunità Lgbt, nonché la causa a sostegno della disponibilità dell’acqua potabile per tutto il mondo. La sua, perla passione civile e l’approccio al mestiere dell’attore, è una storia che ricorda quella di un altro divo del cinema internazionale morto una settimana prima di lei: Robert Redford. Entrambi hanno vissuto la pratica del cinema abitandolo interamente per attraversare la vita, prendendo molto, offrendo tutto con l’istinto e il desiderio di destinare lo stesso attraversamento anche agli spettatori: la complessità dei sentimenti, la scoperta che tale complessità si può e si deve ospitare sono affidate all’arte, al talento, alla capacità di scegliere dove collocare la propria indomabilità, facendo anche politica attraverso il proprio mestiere. Occupiamo il mondo abusando di termini come “icona” e “stile”, trattando queste parole come orpelli del vuoto, ma Cardinale e Redford sono due esempi precisi, illuminati e perduti, utili a ricordarcene il senso per sempre. [Missing Caption][Missing Credit]