Com’è fatto il paradiso, oggi? Devo lavorare a una riscrittura dantesca per il Teatro Stabile del Veneto: devo quindi documentarmi. Fossi un uomo del medioevo, andrei a guardare i muri di una cattedrale; fossi un uomo dell’Ottocento, leggerei romanzi: ogni epoca ha le sue pareti dove proietta desideri, sogni, aspirazioni. Ma sono un uomo del 2020, ho trentadue anni, e le immagini di un ideale paradiso condiviso vado a cercarmele negli specchi magici dei servizi streaming. Lì, mi dico, troverò le forme più pop del desiderio contemporaneo.

Il paradiso su Netflix

Mi rivolgo quindi a Netflix, il più potente fra tutti gli oracoli. Tra le novità, ha successo la serie tv tedesca Come vendere droga online (in fretta): due studenti delle scuole superiori mettono su dall’oggi al domani un imponente business di droga online. Rovesciamento teen di Breaking Bad: davvero ciò che esordisce in tragedia si ripresenta come farsa. Vengo poi a sapere che la storia è vera, ispirata alla vicenda di due ragazzi di Lipsia.

Proseguo: c’è un documentario dal titolo Down to Earth with Zac Efron – il sottotitolo italiano è Con i piedi per terra. Il bellissimo divo americano di High School Musical compie per otto puntate un fantastico viaggio in alcuni fra i luoghi più belli della terra: Islanda, Francia, Costa Rica, Sardegna, Puerto Rico.

Ancora, c’è Snowpiercer, serie tv ispirata a una graphic novel già protagonista del film omonimo del 2013 di Bong Joon-ho (l’autore di Parasite). In seguito a una catastrofe, il mondo è diventato un immenso deserto di ghiaccio. Gli unici sopravvissuti si trovano nello Snowpiercer, un treno avveniristico a moto perpetuo, rigorosamente diviso tra prima, seconda e terza classe. La terza classe tenta di raggiungere gli agi e i lussi della prima, la quale a sua volta fa ovviamente di tutto per difenderli.

Lascio le novità e mi rivolgo ai classici imperituri del catalogo, perpetui emanatori di tendenza: Peaky Blinders, epopea mascolina di una gang di criminali che nella Birmingham dei primi anni Venti lotta per il dominio del territorio. Ma soprattutto La casa di carta, fenomeno pop internazionale intorno a un gruppo di criminali senza arte né parte che prova a rapinare la Zecca di stato secondo l’antico vangelo robinhoodiano di rubare ai ricchi per dare ai poveri.

Dalla Casa di carta discendo poi ad altri analoghi sottoprodotti di grande successo: da Élite, ambientata in un prestigioso liceo privato spagnolo dove i rampolli delle famiglie più ricche si trastullano fra droga, sesso e criminalità, a White Lines, dove lo stesso teatro di rum&cocaina si sposta sulle spiagge di Ibiza.

  (Un'mmagine della serie tv Snowpiercer)

Una festa a tema

La prima impressione che ne ricevo è che il paradiso somiglia molto alla location di una festa a tema: che si tratti di un treno superveloce o di una scuola esclusiva, di un’isola tropicale o di una villa in California, il suo primo comandamento è quello di tenere fuori ogni idea di altrove. Abitati da donne e uomini bellissimi, benedetti dalla ricchezza, i paradisi di Netflix sono sfolgoranti come giostre su cui tutti vogliono salire ma da cui nessuno vuole scendere, macchine scintillanti per la generazione dell’invidia. Treni, isole, banche, licei privati, atolli tropicali: micromondi chiusi e impenetrabili, dove uscire è facile ed entrare difficilissimo, i cui passaggi sono sanciti da dure prove o regolati da scontri violenti. Il dio di questi paradisi è, sempre, il denaro. Come scrive Frank Herbert: “Gli dèi arridono sempre al guadagno”.

Nel discorso Netflix esistono due mondi alternativi. Da un lato l’inferno del disagio economico, il lavoro alienante, la lotta per la sopravvivenza; dall’altro un paradiso di appartamenti di design, lavori affascinanti, peripezie sessuali e invidiabili conflitti borghesi. Unico strumento di elevazione da un mondo all’altro: la forza del coraggio, l’energia della volontà, la sventatezza della disperazione.

Sono un drammaturgo, e so bene che ogni racconto poggia sulle potenzialità di un desiderio. Un personaggio non è ciò che fa, ma ciò che vuole raggiungere. Mi affaccio all’occhio della caverna magica, e domando all’oracolo di mostrarmi il paradiso dell’uomo di Netflix: la nuova Terra promessa. È quello l’Empireo da cui promanano tutti i desideri possibili: il Luogo a cui bisogna accedere, costi quel costi. Non esiste altro bene al di sopra di quello. Qualsiasi sacrificio, qualsiasi crimine è legittimo pur di uscire dalla condizione oscena del povero. Ma la soglia del paradiso, si sa, è sorvegliata da angeli severi, e il passaggio alla prima classe non è per tutti. Chi riesce a trasumanarsi, si angelica, e buon per lui; chi non ce la fa, ricade nell’inferno della frustrazione. There is no alternative.  

Povertà infernale

Se Netflix, come ogni grande medium, è portatore di un discorso, questo è molto chiaro almeno su un punto: se esiste un inferno, è la povertà. Il disagio economico è il fardello, il peccato originale di cui liberarsi, con un riscatto fatto di talento, fortuna ma soprattutto di duro lavoro. Elevarsi tramite la fatica.

Niente di più novecentesco, certo; eppure tanto contemporaneo se si pensa a come Donald Trump risponde sempre a chi gli chiede quale sia il vero segreto del suo successo: hard work, hard work, hard work.

Ma se i baricentri del boom si spostano, se la crisi dilaga, se le distanze sociali si ampliano fino a rendere il benessere un Olimpo per pochissimi e lo spazio tra inferno e paradiso un divario incolmabile ai più, anche questo american dream fuori tempo massimo diventa ossessione nevrotica, illusione tragica e, infine, estetizzazione consolatoria. I rapinatori che cantano Bella Ciao s’innamorano con la stessa facilità dei personaggi di Beautiful, così come Parasite somiglia più a Miseria e nobiltà che non alla Corazzata Potëmkin. La terza classe di Snowpiercer non vuole un nuovo ordine del treno, ma sostituirsi agli abitanti della prima; Zac Efron ci sorride da spiagge dove la maggior parte di noi non metterà mai piede.  

Conflitto di classe

Altro quindi che ritorno del tema della lotta di classe, come tanto si è detto nell’anno di Joker e di Parasite: l’assunto è identico, e invertendo l’ordine degli addendi il risultato non cambia. Il conflitto di classe, quando c’è, è ammiccamento, puro pretesto, il set dove mettere in scena un teatrino che c’entra molto più con Charles Darwin che con Karl Marx: la lotta per il territorio.

Ricchi e poveri si giocano la stessa idea di paradiso: un paradiso senza mistica, senza coscienza e senza utopia – ma soprattutto un paradiso con pochissimi posti. Qualcuno c’è già e vuole restarci, qualcuno invece vuole entrarci a tutti i costi. Lo sappiamo: tra l’essere e il voler essere lo spazio è breve, e Netflix ci illude di poterlo colmare col coraggio e la volontà. Ci parla sibillino come Lady Macbeth al marito per incitarlo all’omicidio del re Duncan: “Perché hai paura di essere negli atti e nel valore / quello che sei già nel desiderio?”. Del resto, il motto di Come vendere droga online, è uno spot perfetto per un regicidio: “Oggi nerd, domani capo”.  

Paradiso lontano

Ma il dubbio rimane. Che la volontà non basti, e che quel paradiso brilli da una lontananza siderale, promettendo qualcosa che non è (più) in grado di mantenere, lasciandocene solo il dozzinale schema narrativo. Zac Efron torna nella sua tenuta a Los Feliz; i rapinatori della Zecca culminano la loro impresa con il più patinato degli esili su un’isola tropicale.

Ciò che sembra politico viene tolto per sempre alla politica e consegnato alla retorica, al melò, alla cartolina, all’instastory, insomma all’impolitica. Quello che resta non è il dilagare della violenza di classe (come spesso a qualcuno, un po’ esoticamente, piace ripetere), ma una sorta di nenia collettiva, una favolaccia consolatoria: l’ipnosi circolare di una stella morta.

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