Sbagliando si impara

Come possiamo tradurre la poetica degli errori

Illustrazione di Marilena Nardi
Illustrazione di Marilena Nardi

Ci sono scrittori e poeti che sbagliano di proposito e altri che lo fanno invece in maniera inconsapevole. Per tutti l’interrogativo è lo stesso: in che modo si può rendere lo stesso lapsus ma in una lingua diversa? La traduzione non è una sequenza di azioni meccaniche, ma richiede la capacità di mettersi in gioco

  • Il lettore non specialista potrà restare perplesso, eppure si tratta di una questione scottante in ambito letterario: come tradurre anagrammi, acrostici, pangrammi, lipogrammi e così via?
  • Altrimenti detto, se l’opera di partenza prevede dei particolari procedimenti creativi, come riuscire a trasporli anche nella traduzione? 
  • Nel suo lavoro precedente, Franco Nasi ha affrontato dei testi che si presentavano a prima vista intraducibili, ma che hanno poi trovato risposte inattese e sorprendenti nelle strategie adottate da vari professionisti. Massimo esempio di tali procedure fu il romanzo pubblicato da Georges Perec nel 1969, La disparition (in italiano La scomparsa).

Esistono due grandi famiglie di errori. Una è quella che ci avvelena la vita quotidiana. Si tratta di errori nostri o altrui. Soltanto con i miei, riempierei questo articolo, ma anche su quelli altrui avrei molto da dire, cominciando dalla burocrazia, per poi passare al medico che dimentica di averti fissato un appuntamento, al meccanico che ti distrugge la macchina lasciatagli in riparazione, o al capitano della nave portacontainer che blocca per giorni e giorni il canale di Suez. Queste, però

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