Uno sta lì da tanti anni, ci abita, entra nei negozi, cammina per le strade, incontra la gente, si guarda attorno: e non ci capisce niente. E la sensazione è che non è colpa sua, se non ci capisce niente. La sensazione, se uno ci pensa, è che è come se ci fosse tutto un impegno collettivo, misterioso, invisibile, metafisico, per far sì che uno non ci capisca niente.

E uno, a un certo punto, si mette seduto, all’angolo tra via Alfieri e via Goldoni, decide che è arrivato il momento di provare a fare un pensiero decente, un pensiero che non si attorciglia. Ma mica ci riesce. Gli si pasticcia tutto, a uno, nella testa.

Che prima c’era tutto pieno di ulivi e ora invece gli ulivi sono tutti una cosa morta, scheletrica, tutti, pure quelli messi come decorazione in mezzo alle rotatorie: non si capisce perché. Uno poi si ricorda che qualche anno fa c’era un cantante famoso che diceva che gli ulivi non si toccano, e c’erano pure un sacco di scienziati che dicevano che c’era una specie di malattia infettiva che li uccideva, che bisognava tagliare quelli infetti così poi la malattia non si diffondeva agli alberi sani. La gente, però, e i politici, e gli artisti di ogni tipo, dicevano tutti che aveva ragione il cantante famoso, tutti, che gli ulivi non si toccano, e si facevano le foto abbracciati a certi ulivi infettati – e però mò uno cammina, vede che gli ulivi son tutti morti. E non ci capisce niente.

Cosa c’era prima

Prima c’era tutto pieno di terreni coltivati, tutto pieno di una natura che è bella, che si chiama Macchia Mediterranea, ora invece uno cammina in campagna o su certe litoranee e in lontananza si alza un fumo nero e denso, il cielo chiarissimo macchiato dal segno di cose che vanno a fuoco, un po’ ovunque, sembra che c’è un incendio ogni due chilometri, e poi il giorno dopo uno torna lì, dove c’era la torre di fumo, e vede la terra tutta nera, non c’è niente, sembra una specie di cancrena dappertutto e nessuno spiega, nessuno dice niente su questa faccenda del fuoco e della cancrena – e ancora uno sta lì, guarda, non ci capisce niente.

Prima c’era un paesotto che ci vivevano venticinquemila persone, ha un mare così bello che se non lo vedi non ci credi, e poi a un certo punto è iniziato che l’estate ci veniva un sacco di gente, milioni di persone, da giugno a settembre, milioni di turisti hanno cominciato a venire lì per vedere questo mare – e gli abitanti del paesotto non ci capivano niente, nessuno spiegava cosa fare con questi milioni di persone, niente, e allora ecco che intanto tutto cambiava ma nel paese non si cambiava niente: lì dove a fatica ci entravano venticinquemila persone ora ne devono entrare milioni, e nessuno costruisce strade nuove, nessuno dice che forse è il caso di ripensare un attimo l’urbanistica del paesotto, che in milioni non ci entriamo, niente, tutti zitti, un gran silenzio pure quando un turista ci muore, al paese, che girava in bici di notte lungo una strada senza luci, e quella strada senza luci è l’unica strada che collega la periferia col centro, e se vai in bici, di notte, a quanto pare rischi di morire. E nessuno dice niente, e uno, per forza, non ci capisce niente.

Prima c’era una specie di economia interna, dicono certi anziani, che uno non se la ricorda nemmeno questa economia interna perché era una cosa che esisteva prima che lui nascesse, prima delle strade piene di turisti, prima degli ulivi secchi e del fuoco, ma tutti dicono che sì, c’erano pescatori che lavoravano tanto, e il mare bello aveva pure il pesce buono, ma mò uno si rende conto che di pescatori ce ne sono pochi, che quelli che prima andavano in mare adesso fanno altri lavori, si aprono locali dove si fa da bere, che ai milioni di turisti piace bere, i cicchetti a un euro, cose così, oppure quelli che facevano i pescatori mò si sono comprati dei furgoncini, che ci attaccano un adesivo con scritto “Navetta con conducente”, che nel paesotto, prima, non c’era mai stato bisogno di taxi o autobus, e però i milioni di turisti mò vogliono essere trasportati nei posti dove non si può andare a piedi o in bici, che rischi di morire se vai a piedi o in bici, e allora pagano un qualche ex pescatore, “Navetta con conducente”, gli autobus pubblici e i taxi continuano a non esserci, e intanto girano voci strane, dicono che dentro a certe navette con conducente si vende roba che sembra una farmacia alternativa, ma uno non lo sa se è vero, uno vuole essere convinto che non c’è niente di vero, uno sente la gente che ogni tanto dice cose, che non sai se sono vere, uno si convince che non sono vere, uno non sa niente di concreto e sembra che non c’è niente di reale, sembra tutto misterioso, metafisico, pure lo spaccio – e non ci si capisce niente.

Quando c’era Twin Peaks 

Uno non ci capisce niente, non sa niente. Ma veramente. Sa soltanto che prima, una decina d’anni fa, c’era un bar, c’erano degli amici, c’era la birra, e con gli amici si dicevano cose del tipo che il paesotto sembrava sempre di più una cosa tipo Twin Peaks, la serie tv di David Lynch, dove tutto si svolge in un paesotto, che si chiama appunto Twin Peaks – ed è un posto piccolo e appartato dove la gente però è strana, fa cose strane, e tutto sembra misterioso, tutto sembra metafisico.

È come se sottoterra c’è una specie di Loggia Nera, una specie di porta per l’inferno, uguale alla serie, dalla quale fuoriescono demoni, demoni che rubano la vita e la testa a chi vive sopra, una cosa del genere anche qui, nel paesotto, si diceva al bar, una decina d’anni fa, e ora uno cerca certi profili su Facebook, gli amici del bar son tutti spariti, cioè, ci sono, esistono, ma hanno smesso di vivere, come se fossero tutti una specie di fiori appassiti, che ci sono ancora, lì, ma fermi, inermi, prosciugati – sembra che qualcosa è venuto fuori da sottoterra, dalla Loggia Nera, e ha preso la vita di tutti, la testa di tutti, e tutti mò sono lì che esistono ma non vivono, una roba che uno se ne rende conto e non ci capisce niente, nessuno riesce a spiegare niente, è così, è così e basta.

C’era un paesotto, prima, che si chiamava Gallipoli, dicono che il nome vuol dire “Città Bella”, roba di etimologia, roba di greco, e uno ci ha vissuto quasi trent’anni, in un posto che si chiama Città Bella, e di questo paesotto a un certo punto hanno cominciato a parlarne tutti, articoli sui giornali, servizi in tv, longform, post, tutti, ma uno che lì ci ha vissuto quasi trent’anni non riesce nemmeno a capire cosa dicono, questi tutti che ora parlano, che lui alla fine è arrivato soltanto a non capirci niente.

Forse ha capito soltanto che quella cosa che dicevano al bar, una decina d’anni fa, era vera: che è una specie di Twin Peaks mediterranea, questo posto che si chiama Gallipoli, e non solo fuoriescono certi demoni, ma piano piano tutto sta scivolando dentro a una Loggia Nera, una porta sotterranea per l’inferno, che magari si trova lì, all’incrocio tra via Alfieri e via Goldoni, dove uno una volta è riuscito a baciare una ragazza, e quella ragazza era contenta, e c’era un profumo di mare che entrava nelle narici, mischiato al profumo dei capelli di quella ragazza, e sembrava che quello era il posto migliore dove vivere e morire, sembrava di capirci tutto, della vita, della morte, tra via Alfieri e via Goldoni, una notte di fine estate di una quindicina d’anni fa, che Gallipoli era un posto come tutti gli altri, ma più bello, perché si mischiavano certi odori che in nessun altro posto al mondo, perché uno riusciva a baciare una ragazza e poi lei diceva: «Andiamo in spiaggia», e uno andava in spiaggia, non c’era nessuno, solo lui e la ragazza, e gli ulivi in mezzo alle rotatorie erano belli e un po’ pacchiani, e non c’era puzza di bruciato ma solo di pesce, e i pescatori, su certe barchette, puntellavano l’acqua nera con certe luci che a uno, a guardarle, gli lacrimavano gli occhi, in spiaggia di notte, un profumo di mare, un profumo di capelli di una ragazza contenta. Prima. E mò, invece, niente. Non si capisce niente. Che forse è meglio, non capirci niente, boh: uno non lo sa.

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