Cose da maschi è un inventario degli oggetti che definiscono (o destabilizzano) la differenza più difficile da immaginare come uno spettro, invece che una dualità: quella tra maschile e femminile. È un osservatorio sulla metà del cielo che ci è sempre parsa nota, dominante, standard, e intende rimapparne le costellazioni visitando sia pianeti familiari che sistemi remoti, mai raggiunti prima dai telescopi.

Per capire cosa siano l’identità di genere, il patriarcato, persino il femminismo oggi bisogna interrogare la maschilità invece di darla per scontata. Dalle armi e automobili di plastica che mettiamo in mano ai bimbi, agli smalti e collane dei cantanti che seguono su Tik Tok quando non li guardiamo, il catalogo delle cose ancora (o non più) maschili di quest’età fluida e immateriale racconta le fragilità di supereroi e leader carismatici, il potere di idoli mingherlini e soft boys, le aspirazioni e i sogni di chi lotta perché quella dei maschi diventi una tribù inclusiva e consapevole della propria mitologia.

Per questa primissima lettera di Cose da maschi, che precede persino il lancio vero e proprio della settimana prossima, sono partito dalla radice di molte cose: i soldi. La differenza tra maschi e femmine d’altronde, si sa, è anche (agli occhi della legge, fuori dalla biopolitica, è soprattutto) una questione di soldi.
Questa settimana è uscito Morgana: L’uomo ricco sono io, in cui Michela Murgia e Chiara Tagliaferri raccontano, tra le meravigliose illustrazioni di un gruppo di artisti scelti da Luca Fontò (che mi ha promesso un pezzo per Cose da maschi), alcune «storie di donne che non hanno avuto bisogno di sposare l’uomo coi soldi». Il podcast da cui nasce questo libro, la cui copertina mentre scrivo campeggia mastodontica sui tram di Roma, mi ha tenuto compagnia in Oregon durante la pandemia. Mentre lo ascoltavo, e poi sfogliando le storie che ne sono scaturite, mi domandavo chi fosse, mitologicamente, quest’uomo coi soldi: come si raccontasse, quale fosse l’inventario delle sue cose da maschio ricco.
Il pezzo che ho scritto su Domani parte dunque dall’oggetto con cui Pietro Aretino, un figlio di calzolai che diventò la più ricca literary celebrity del rinascimento europeo, si fece ritrarre da Tiziano per mostrare a tutti che ce l’aveva fatta: una collana d’oro.

Siamo abituati a pensare alla gioielleria maschile come a una roba di orologi, fermacravatte, gemelli e altri discreti ori signorili, con un controcanto di catenine, anelli e bracciali sottili e cafoni. E tuttavia, sotto casa mia a Filadelfia, i gioiellieri afroamericani di South Street vendono soprattutto grosse collane di diamanti, destinate a uomini di assoluta, tradizionale virilità. Imitano le collane dei rapper che, come Aretino cinque secoli fa, esibiscono incontestabile prova del proprio successo: un successo tangibile e quantificabile, appunto, a peso d’oro. Nel pezzo, che trovate qui, ragiono soprattutto sull’oro al collo di Sfera Ebbasta.
In rima con questa indagine delle collane ho invitato poi Luca San Mauro, un logico matematico dell’Università di Vienna, a mettere insieme le esilaranti (e tragiche) analisi della mitografia italofona di Elon Musk che andava facendo su Facebook. Le epopee di Sfera e di Musk si somigliano, ma le loro divergenti narrazioni riflettono lo sguardo strabico che in occidente (e in Italia in particolare) riserviamo alla creatura che menzionavo all’inizio: l’uomo coi soldi.

Ho frequentato intensamente Luca negli anni del nostro dottorato (io in Lettere, lui in Filosofia) e la lucidità del suo marxismo un po’ da semiotica bolognese e un po’ da observational comedy mi pare ideale per compensare i miei toni solenni e americanizzati da predicatore. Lo trovate qui.
Uno degli obiettivi di questa newsletter è quello di mappare e allargare la percezione della maschilità che le cose e gli oggetti ci restituiscono, per cui non esitate a scrivermi per proporre idee, prospettive e memorie. Grazie per la lettura e a presto,
Alessandro.

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