L’antifascismo ha rappresentato una cultura dominante per lunghi decenni e durante la cosiddetta “prima Repubblica” è stato politicamente rappresentato da quello che veniva chiamato “arco costituzionale”, ovvero l’insieme di tutti i partiti politici che avevano scritto la Costituzione: Democrazia cristiana, Partito comunista italiano, Partito socialista italiano, Partito socialista democratico italiano, Partito liberale italiano e Partito repubblicano italiano. Questa dinamica serviva a escludere il Movimento sociale italiano, allora l’unico partito politico che non aderiva ai valori dell’antifascismo. Quelle culture politiche sono praticamente scomparse, rimangono in vita evanescenti ectoplasmi. Oggi, pur citando spesso quelle radici, i partiti attuali sono ben lontani da manifestare altrettanta “stoffa” dal punto di vista valoriale e programmatico: il risultato è che da oltre 20 anni l’antifascismo è scarsamente rappresentato nella politica e nel paese.

Una difficoltà comunicativa

Partiamo con ordine. Sono una persona che si sente profondamente radicata nell’antifascismo, credo realmente che la nostra Costituzione sia una delle più avanzate al mondo, perché alta sintesi delle più importanti culture democratiche elaborate dell’uomo, che quasi cento anni fa, si sono riunite per sconfiggere il fascismo e il nazismo. Ma ho sempre pensato che nella parola stessa antifascismo si possa nascondere una grande incomprensione, se vogliamo una difficoltà comunicativa dovuta appunto a quell’andare contro, essere anti e quindi denotarsi negativamente.

Ad aggravare la situazione vi è anche l’errata convinzione che l’antifascismo sia necessario solo in presenza del fascismo, quasi in un rapporto osmotico. È vero che la parola “antifascismo” viene coniata proprio in quel periodo storico con l’espresso significato di opporsi al fascismo, ma è altrettanto vero che le forze politiche e i valori che hanno creato questo fronte erano presenti già precedentemente con una loro autonomia e autorevolezza. Purtroppo questo essere antifascisti ha determinato di fatto uno stretto collegamento tra i due mondi, e siccome molti, erroneamente, considerano scomparso il fascismo, si chiedono, anche innocentemente, che senso ha dichiararsi antifascisti essendo (apparentemente) scomparso il fascismo.

Un andare contro, che è la sua forza e che ha il suo senso, ma che non è facile da capire per chi non ha ben chiaro che cosa siano l’antifascismo e il fascismo e il rapporto che intercorre tra di loro.

La crisi

Chi ha sposato questi valori, sa bene che nell’antifascismo, si sono riuniti i migliori ideali della politica e delle democrazie avanzate come la libertà, la giustizia giuridica e quella sociale, la pace, l’uguaglianza, la tolleranza, la solidarietà e potremmo continuare. Valori minimi di cui nessuno oggi si priverebbe, base di ogni democrazia degna di questo nome. Ma con la caduta del muro di Berlino, tutto questo si è relativizzato: omologando il comunismo russo, o peggio ancora lo stalinismo, al comunismo in generale, è venuto meno uno dei cardini sui cui si sosteneva e, come ha profetizzato Sergio Luzzatto, l’antifascismo è andato in crisi.

Le destre, che mai hanno definitivamente ripudiato la loro storia – il tentativo di Gianfranco Fini è stato troppo personale e non sostenuto dagli allora suoi vari colonnelli – hanno colto l’occasione per negare il significativo nesso tra antifascismo e democrazia. Questa stagione è stata rappresentata dalla formula “memoria condivisa” che alla base prevede un reciproco riconoscimento nel fatto di essere tutti italiani, ma che nella sostanza manifesta invece un generale oblio di ciò che sono stati il ventennio fascista prima e la guerra poi.

Questa visione dell’antifascismo solo in maniera oppositiva è però mutilata; l’antifascismo a mio avviso è ben altro, non è solo la pur importantissima opposizione al fascismo. Quando pensiamo all’antifascismo, perché così è stato nella storia, dobbiamo pensare a una stagione di affermazione dei diritti, delle conquiste sociali, di autodeterminazione degli individui, in sostanza di sviluppo e progresso. Il fascismo è un male assoluto, se vogliamo un disvalore assoluto, e per questo non è sufficiente fare un’analisi quantitativa del fenomeno. Smentire la formula “Mussolini ha fatto anche cose buone”, non deve essere solo inteso come lo smontare quelle presunte affermazioni positive, ma vuol dire far comprendere che anche se le avesse veramente fatte, il fascismo sarebbe comunque sbagliato. Non fare il museo del fascismo (o in qualsiasi modo lo si voglia chiamare) è stato un errore dell’antifascismo, il fascismo va smontato potendolo studiare.

Persona e libertà

La Costituzione – e di converso la carica del presidente dalla Repubblica – è il principale prodotto ed eredità, dei Comitati di liberazione prima e dei padri costituenti poi, è diventato ultimo baluardo contro questi sconvolgimenti e se vogliamo decadimenti. Una delle principali conquiste dell’antifascismo consacrate nella Costituzione si trova nella parola “persona” (art. 2 e 3); in questo lemma così proposto si condensano le visioni cattolica e comunista sulla centralità dell’uomo e del suo diritto a una vita dignitosa. La traduzione giuridica di ciò che si sosteneva già durante la guerra di liberazione, il superamento dell’io fascista da parte del noi della resistenza. Venendo meno l’antifascismo, viene anche meno la centralità di questa conquista, che mette al centro della scena politica del paese l’individuo, la sua vita e il suo benessere come cittadino. Un secondo cedimento di un principio cardine dell’antifascismo, correlato con il precedente, è quello del concetto di libertà e libertà individuale (art. 1). Decenni di populismo hanno conferito credibilità alla frase “il popolo ha sempre ragione”. Quest’assunto non solo non è vero ma è anche anticostituzionale.

I padri costituenti conoscevano bene il pericolo, Hitler è stato eletto dal popolo, per questo hanno inserito un capoverso così articolato nell’art. 1 della Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Questo frase così composta sta a significare che il popolo pur detenendo il potere di governare e autodeterminarsi è comunque vincolato alla Costituzione stessa perché, come prima scritto, il popolo può sbagliare e quindi anche per lui vale il sistema dei contrappesi. La mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro, vincolando le persone al reciproco rispetto delle libertà personali.

L’ultimo pilastro dell’antifascismo ad andare in crisi è l’europeismo, in Italia fortemente radicato nella popolazione, oggi invece indebolito dalla crisi dell’antifascismo e dal contemporaneo attacco dei sovranismi. La crisi dell’antifascismo, che ha il compito di emanciparsi dalla sua nemesi, ha risvolti fortemente negativi sulla vita politica, nazionale e locale; dalla perdita di valori e identità, alla relativizzazione della politica che diventa fluida e senza ormeggi stabili. Ne deriva una incapacità di programmazione sul lungo termine, di cosa vorremmo essere come paese tra 20\30 anni o magari 50 anni. Questa modifica del dna del paese attuato senza passaggi politici istituzionalmente chiari e formali è una deriva molto preoccupante. A titolo d’esempio di questa anomalia che mina la stessa struttura dello stato, vorrei ricordare lo scontro tra il Quirinale e le forze politiche dell’allora governo Cinque stelle-Lega che gridarono all’impeachment (formula sconosciuta al nostro diritto) sulla tentata nomina a ministro dell’Economia di Paolo Savona in chiave antieuro e anti europeista.

Un rilancio forte dell’antifascismo, saldato nel passato ma aggiornato alle nuove sfide, dovrebbe essere al centro dell’agenda di ogni partito politico, specialmente per quelli che si richiamano maggiormente ai valori democratici e europeisti, Enrico Letta su questo punto ha un’enorme sfida aperta.

 

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