C’è stato un mondo (lo ricordavo in un articolo di letture estive) in cui i libri contavano. Un’epoca d’oro in cui un romanzo non solo vendeva milioni di copie, ma galvanizzava l’opinione pubblica, scatenava accesi dibattiti e faceva ruotare la storia di qualche grado sul proprio asse. Quando l’argomento che tutti discutevamo era addirittura un libro, non un tormentone social, un meme, un reel o un podcast, ma un volume di carta con le pagine numerate. Un esempio. Il nome della rosa di Umberto Eco che negli anni Ottanta vendette 60 milioni di copie nel mondo di cui sei in Italia.

Il successo

Ora torna sulla scena Dan Brown, uno scrittore che ha venduto 200 milioni di copie, una specie di Pil del Belize trasformato in thriller esoterici. Dan Brown è ovviamente primo in classifica con uno sprint che non ricordavamo dai tempi della biografia del principe Harry.

Felice l’intera filiera editoriale. Da solo vende di più della somma di tutti gli altri nove in top ten. C’è finalmente un libro che fa tornare la gente in libreria. Dan Brown ne è consapevole e scrive nel suo romanzo: «La più grande casa editrice al mondo, Penguin Random House, pubblica circa 20.000 libri all’anno e genera oltre 5 miliardi di dollari di fatturato lordo annuo».

Nel mondo reale, Brown stesso è responsabile di una frazione non trascurabile di quei 5 miliardi di dollari. Dan Brown è l’autore del Codice Da Vinci, un mega best seller, un romanzo middlebrow che Umberto Eco detestava, perché si occupava, al contrario, di temi di cui si occupava pure lui. Prelevati dalle tenebre del passato come Massoni o Cavalieri Templari, Leonardo da Vinci o Dante, pagani, monaci o papi.

Protagonista Robert Langdon, il professore universitario non di semiotica ma di simbologia, interpretato al cinema da Tom Hanks. Langdon è l’Indiana Jones dei simboli, sempre in fuga da chi lo insegue, tra un affresco leonardesco, architetture gotiche, intrighi internazionali e una pistoletta dietro l’angolo. Protagonista di Il codice Da Vinci, Angeli e Demoni, Il simbolo perduto, Inferno e Origin, è alla sua sesta avventura. L’ultimo segreto, per Rizzoli, è ambientato a Praga. La capitale letteraria e mistica d’Europa dalla cui biblioteca gesuita del Klementinum, una delle location del romanzo, è festa venerdì scorso il tour mondiale di promozione.

Eco scrisse Il pendolo di Foucault e il discusso Il cimitero di Praga per dimostrare che i complotti sono roba da non credere; Brown invece – come nota Paolo Di Paolo – un po’ ci crede, e infatti il ​​suo thriller è infarcito di noetica, carburante intellettuale del romanzo. Cos’è? Per Aristotele la forma più alta di sapere.

Per Dan Brown: una disciplina fondata da un ex astronauta nel 1973 che studia percezioni extrasensoriali e precognizione. A metà tra Platone e Voyager 2. E naturalmente in questo thrillerone pop esoterico, quasi 800 pagine per 27 euro, c'è il libro nel libro, un manoscritto misterioso che potrebbe cambiare i nostri presupposti su coscienza, morte e realtà. Katherine Solomon, compagna di Langdon, sparisce: rapita da forze occulte che non vedono l’ora di disturbare le vacanze praghesi del professore. Neurochimica, esperienze extracorporee, precognizione, vita dopo la morte, personalità multipla, parapsicologia, persino un golem: c’è tutto.

Il segreto alla base

Ogni genere di fenomeno che un aristotelico un po’ scettico potrebbe liquidare come una sciocchezza. Il nostro cervello, sostenendo la teoria neurochimica della studiosa, non è un’entità cognitiva autonoma, ma piuttosto un portale verso una mente universale. Il libro di Katherine è al centro di un vortice cospiratorio che coinvolge uno scienziato rivale, una mente criminale dei suoi tirapiedi, funzionari governativi disonesti, un poliziotto praghese corrotto e, appunto, un golem.

Brown è soprattutto uno scrittore d’azione, il suo eroe è costantemente all'inseguimento di chiunque lo stia inseguendo, che sia a Firenze, a Roma, a Barcellona o in qualche altra popolare destinazione turistica come ora a Praga, in una giornata frenetica, durante la quale vengono sparati colpi di pistola, scassinate serrature, scoperti passaggi segreti e rivelazioni scioccanti sono palesate in fuga.

«La trama iperattiva si basa su una prosa iperventilata», si legge nella recensione del New York Times, è zeppa di cliffhanger, cioè momenti che ci fanno venire voglia di continuare a leggere per sapere cosa verrà dopo. È questo, alla fine, il punto. Non tanto la qualità letteraria (Eco scuoterebbe la testa, indignato come davanti a un refuso in latino), ma il fatto che, ancora una volta, un libro (la cui macchina narrativa è divertente) riesca a farsi sentire nel rumore di fondo. È questo l’«ultimo segreto»: la tenacia del romanzo di resistere, anche travestito da pseudoscienza, all’invasione dei meme e dei gattini.

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