Il dibattito sullo schwa

Lo schwa: con la lingua ci riappropriamo della nostra differenza

Foto Unsplash
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  • Instagram da qualche tempo offre la possibilità di indicare il genere in cui ci si riconosce: maschile, femminile o non binario. Adesso posso dirlo: quanta aria in più nella mia mente dopo aver selezionato quel they/them.

  • Non mi sento maschio, non mi sono mai sentito maschio, non sono un lui e non sono una lei. Prima di averlo capito, mi è stato fatto notare. A cinque, sette, dieci anni: quel che sono, dal punto di vista dell’identità di genere, sin dalla prima infanzia ha creato problemi.

  • Non si tratta affatto di una posizione ideologica, come qualcuno dice, o di un gioco, una posa, una moda. Nel mio caso quei pronomi testimoniano un modo di essere, personale ma anche collettivo.

Le polemiche sul linguaggio inclusivo sono ormai all’ordine del giorno. Dato che in media il livello non è adeguato alla posta in gioco, vorrei inserire sulla scena qualche dato di esperienza in prima persona, per provare a uscire almeno un momento dalla logica dello scontro impersonale tra fazioni opposte. Lo faccio a partire da un fatterello social. Nelle scorse settimane, dopo molteplici autocensure e ripensamenti, finalmente mi sono deciso: ho inserito i pronomi nella bio di Instagram. Pe

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