Sulla pagina del sito del Grande Fratello Vip dedicata a Elenoire Ferruzzi c’è una breve biografia in cui si dice che è un’eccentrica amante della chirurgia estetica, un’icona transgender e un’amante della famiglia, in particolare della madre. E si fa notare che il suo vero segno distintivo sono le lunghe unghie.

In poche righe gli autori della trasmissione più trash della televisione italiana cercano di ricucire un’immagine di accettabilità intorno a un personaggio che di accettabile non ha niente, perché è stato creato in provetta dalla stessa Elenoire con il preciso obiettivo di essere mostruoso.

Mostro meraviglioso

Mostro è una parola che ha un’origine bellissima. Vuol dire meraviglioso, capace di svelare la nascosta relazione tra uomini e dei, e deriva direttamente dalla parola monere, che vuol dire avvertire. Per i romani un mostro non era una creatura terrorizzante ma qualcuno che, attraverso la sua radicale diversità, il suo allontanamento dai canoni comuni, ricordava agli uomini la loro stupida mortalità e la loro terrena lontananza dalla luce divina. Con il cattolicissimo Medioevo la possibilità di una relazione diretta con Dio è stata tolta dalla circolazione dalla chiesa e i mostri sono diventati esseri spaventosi che mangiano i bambini per il gusto di mangiarseli, perdendo ogni facoltà rivelatrice, ma è l’espressione “mostro sacro” a ricordarci il significato originale della parola.

Elenoire Ferruzzi ha costruito la sua popolarità sui social prima di tutto attraverso il proprio corpo, che è diventato nel tempo qualcosa di volutamente simile a una bambola gonfiabile, di lontano dalla norma, compresa quella del genere femminile.

Il suo corpo è diventato uno straordinario laboratorio sociale in cui Jessica Rabbit da supremo oggetto erotico si è trasformata in una paladina della rivendicazione della propria identità, in un alter ego di Marilyn Monroe che ha deciso di non mettere fine alla sua vita ma di vendicarsi di tutti quelli che l’hanno fatta soffrire.

Attraverso l’ossessivo strumento del kitsch e del camp, due meravigliose armi di scoperchiamento delle verità nascoste, Elenoire racconta la verità a un pubblico televisivo mezzo addormentato che, come nelle fiere dell’Ottocento, ha voglia di vedere il fenomeno da baraccone ma ne vuole anche stare a distanza di sicurezza, incapace di difendersi dalla propria immagine riflessa.

Sincerità

All’interno della scatola solo apparentemente trasparente del Gf Vip, Ferruzzi si è portata dietro il suo carico di polemiche da ex No-vax poi ricoverata per tre mesi in fin di vita per Covid con annessa strana raccolta fondi per aiutarla a curarsi, ma ha anche creato più di un dissidio finendo per accusare un’altra concorrente di portare sfortuna e sputando al suo passaggio. Tutto ampiamente previsto dagli autori del Grande Fratello, che forse si aspettavano anche qualcosa di più esplosivo ma che hanno trovato infine il modo per farla uscire dalla casa più spiata d’Italia perché le dinamiche che fanno crescere gli ascolti sono altre.

All’interno della sua breve parabola televisiva ha però raccontato come un personaggio così radicale, senza nessun tipo di freno inibitorio, risplenda di sincerità rispetto a tutti gli altri partecipanti, conduttori e opinionisti impantanati in una retorica finta buonista da prima serata di rete generalista. Stesso ruolo attribuito a Cristiano Malgioglio a Tale e quale Show, che si permette di dire quello che vuole protetto dal suo travestimento, mostruoso anche in questo caso, strano a dirsi, confuso con una rappresentazione distonica della propria identità di genere.

Le più belle del reame

Non sempre è vero quello che esce dalla bocca di Elenoire Ferruzzi, questo è ovvio. Quello che è interessante è che un personaggio così marginale (nel senso che sta ai margini) sia fragorosamente entrato dentro una specie di laboratorio di scrittura televisiva e ne abbia rivelato l’inconsistenza, pagando ovviamente questa grave colpa con l’immediata esclusione.

I televoti popolari non sono certo la rappresentazione dell’equanimità umana nei confronti di chi inneggia alla sfortuna. Sono la pronta reazione di un pubblico prima divertito e poi infastidito dal mostro.

Dove c’è un mostro, per esempio in ogni film horror che si rispetti, c’è sempre qualcosa che non si vuole vedere che qualcuno ci costringe a vedere per diventare persone migliori. Un mostro apre le viscere dei protagonisti perché ci restituisce metaforicamente la possibilità di mostrare la nostra parte oscura, di tornare in contatto con pezzi di noi non edulcorati, regolarizzati, irregimentati, liberi. In un universo di ricerca ossessiva della perfezione estetica e della sua esatta sovrapposizione alla bontà etica, Elenoire è lo specchio della regina di Biancaneve che ci dice che non siamo le più belle del reame. Perché non lo siamo. E se anche lo fossimo non cambierebbe niente.

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