È il racconto di un boss del narcotraffico che corona il suo sogno di diventare donna, torna in Messico e si mette al servizio dei diseredati. Sulla carta è un polpettone, ma sorprende, emoziona. Ha proiettato una sconosciuta attrice transgender, Karla Sofìa Gascòn nell’empireo dei premi più ambiti. Un film che cambia genere di continuo uscendo dallo schema del musical convenzionale
Gustav Mahler, Carl Jung, Francis Scott Fitzgerald e Norman Mailer. Ma anche Lenny Bruce, Heinrich Böll, Ingmar Bergman e Isak Dinesen (Karen Blixen cioè, per supremo snobismo citata con uno dei suoi pseudonimi secondari). Erano i nomi snocciolati da Diane Keaton-Mary Wilke compilando quell’Accademia dei Sopravvalutati che è una delle vette comiche di Manhattan. Era quel tipo di rottamazione sommaria dei miti, così congeniale all’intellighenzia modaiola newyorchese, che faceva bollire il sangue



