Fate casino. «La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino» scrive Michela Murgia in Dare la vita (Rizzoli), da una settimana in libreria. Un libro che subito fa casino, scaravolta la classifica, vola al primo posto, detronizza Volo che rimane sul podio al terzo e fa il vuoto, tenendo a distanza al secondo posto l’altra novità, il giallo Mondadori di Antonio Manzini, Tutti i particolari in cronaca, uscito lo stesso giorno.

Un manifesto

Sono i due libri leader che inaugurano il nuovo anno letterario. Diversi e importanti. Il libro postumo della intellettuale e attivista appena scomparsa, e il debutto di un autore amatissimo, quello che ha inventato il vice questore Rocco Schiavone, in quel campionato letterario a parte che è il Giallo Mondadori. Ne hanno già scritto su Domani Alessandro Giammei, su Murgia, e Antonio D’Orrico su Manzini. Murgia scrive questo libro durante l’estate, lo termina nella prima settimana d’agosto. Il 10 agosto muore. A curare l’edizione è Alessandro Giammei, filologo, professore di letteratura a Yale, nonché suo figlio d’anima e curatore dell’eredità delle sue opere.

In Dare la vita la scrittrice affronta la questione dei legami di sangue. Lei, figlia di due madri (come ha raccontato in Accabadora il suo romanzo Einaudi, un classico da mesi primo in classifica nei tascabili, ora superato solo dal rilancio televisivo di La storia di Elsa Morante ), lei che non ha generato figli ma li ha scelti (come nel suo altro romanzo Chirù, sempre da Einaudi).

Ha scelto «il figlio logico», così lo chiama, diverso dal figlio biologico perché nasce appunto da una scelta. Dalla famiglia queer alla gestazione per altrə (gpa), Murgia argomenta le sue posizioni, tanto che questo libro è manifesto politico, ma mai testamento, scrive sul Corriere la sua amica, un’altra grande scrittrice, Teresa Ciabatti: «Murgia ricompare in morte (da grande scrittrice quale è stata faceva letteratura dentro e fuori dai libri, in questo caso si spinge oltre facendola in vita e dopo — un giorno qualcuno studierà l’atto narrativo incredibile, senza precedenti). E dunque Murgia ricompare, per nulla addolcita dalla morte, sempre combattiva, diretta, a qualcuno sgradita. Ricompare per chiedere un cambio di legislatura a tutela dei diritti di chi non è consanguineo, contro il mito, la retorica — la violenza? — della famiglia tradizionale.

È subito chiaro che questo libro postumo è altresì contro un altro tipo di retorica: la morte che pacifica, la morte come fine».

Con acume Ciabatti continua «I nemici di Murgia — principalmente idee e leggi — non possono stare in pace, poiché lei rende l’esistente, il presente politico universo narrativo post mortem. Bersaglio perpetuo suo e del mondo (chi parla semplicemente di femminismo sbaglia) che da lei prende il testimone, quel «fate casino» auspicato.» E mette a fuoco il potere delle parole della scrittrice.

«Come è riuscita Murgia nell’impresa di superare la morte? (questo ha fatto)».

Manzini al secondo posto

Il giallo Mondadori non è un semplice giallo, non semplicemente una fortunatissima collana di libri, ma qualcosa di più. Un format nazionalpopolare nato per semplificare la fruizione, invogliare la lettura in un Paese tradizionalmente di non lettori. E, poi, la geniale impaginazione, giornalistica, su due colonne di testo e la consistenza morbida che ne facilitarono la tascabilità.

Manzini fa centro in questo format, con un romanzo bellissimo, Tutti i particolari in cronaca (ottimo titolo e perfettamente calzante al contenuto) di cui Antonio D’Orrico ha scritto: «Manzini è uno dei pochi scrittori che sa prendere le misure della vita così com’è, al grado zero. Per questo è maestro nel raccontare le città di provincia (la Aosta dell’esule Schiavone, ma pure questa Bologna, rimpicciolita e mai nominata, di Tutti i particolari in cronaca) e potrebbe controfirmare la frase di Ennio Flaiano che dice: «C’è un sacco di gente che vive e lavora a Macerata. (L’essenza di Cechov)».

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