All’inizio mi sono sentita completamente fuori posto. Ma proprio per questo…feral. Tornata dopo anni all’estero e con un bagaglio pieno di aziende multinazionali, ristabilirsi tra le montagne a 35 anni, parlare di fermentazione e di botaniche senza alcol, con la barbabietola come protagonista? Non è esattamente il pitch da business school, ma ho capito in fretta che se vuoi costruire qualcosa di vero devi sentirti a disagio nei posti giusti
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
Feral è nato da un’intuizione, certo, ma anche da una specie di insofferenza. In un mondo gastronomico dove tutto sembra perfetto, composto, instagrammabile, io volevo qualcosa che arrivasse storto, selvatico, un po’ fuori asse.
I nostri quattro gusti nascono per incuriosire, per spiazzare, per far alzare un sopracciglio e farlo abbassare dopo il secondo sorso. Feral è una bevanda fermentata, botanica, analcolica, sì—ma è anche un’idea: quella di rompere gentilmente uno schema, di farci sentire a nostro agio nel fuori posto. Volevamo ridare dignità a
ingredienti dimenticati, riscrivere il modo in cui si può stare a tavola, anche senza alcol nel bicchiere.
Quando mi chiedono il perché della complessità delle nostre ricette, rispondo che Feral non è nato per piacere a tutti, almeno inizialmente (in futuro chissà, tutto è possibile).
Il mercato no-alcol in Italia
Quando abbiamo iniziato, due anni fa, eravamo in tre. Adesso siamo una decina, e nel frattempo è cambiato molto il mercato. All’inizio dovevamo quasi scusarci perché non avevamo alcol, ora sta diventando una scelta positiva di curiosità, non solo un bisogno per chi deve guidare o è in gravidanza. Certo, in Italia siamo molto legati alle nostre abitudini: proprio per questo è stata una scommessa costruire qui la nostra fermenteria. La nostra squadra è giovane e internazionale, ma tutti abbiamo scelto di stare proprio qui (d’altronde, senza sfida, che divertimento ha una startup?).
Siamo in un posto bellissimo in Trentino – mia terra di origine – tra vignaioli con cui abbiamo stretto delle bellissime amicizie. Feral entra nella crepa. In quel momento in cui qualcuno cerca qualcosa di nuovo, senza dover rinunciare al gusto, alla complessità, all’esperienza. E, anche se siamo solo all’inizio, l’interesse sta crescendo. Anche perché le persone si stanno facendo domande più profonde su ciò che bevono, che sia a base d’uva, di barbabietola, o di tè.
Selvatici
Com’è stato lanciarsi in questo mondo? All’inizio mi sono sentita completamente fuori posto. Ma proprio per questo…feral. Tornata dopo anni all’estero e con un bagaglio pieno di aziende multinazionali, ristabilirsi tra le montagne a 35 anni, parlare di fermentazione e di botaniche senza alcol, con la barbabietola come protagonista? Non è esattamente il pitch da business school, ma ho capito in fretta che se vuoi costruire qualcosa di vero devi sentirti a disagio nei posti giusti.
Feral è imperfetta nel senso più bello del termine. La barbabietola – rossa o bianca – è stata il nostro punto di partenza: un ingrediente umile e potente, che abbiamo voluto far parlare. Fermentata, infusa con botaniche, spezie, radici, legni… diventa tridimensionale. Ogni bottiglia nasce da un processo maniacale, dalla selezione fino all’affinamento. La fermentazione è il nostro cuore, il nostro metodo, il nostro tempo lento. E no, non ci fermeremo alla barbabietola. Ci sono un sacco di ingredienti marginali che meritano un palco.
E, oggi, dove vendiamo? Oltre all’Italia, siamo arrivati quasi subito in Germania, Olanda, Belgio, Svizzera, Danimarca, Francia, Inghilterra, e da poco siamo sbarcati anche in Spagna, Dubai e Singapore. Ogni paese ha la sua curiosità, il suo modo di ascoltare un sorso. Ma ovunque ci siamo trovati accolti proprio per ciò che siamo, inizialmente dai ristoranti stellati (che ringraziamo ogni giorno per averci fatto da apripista: sono stati i primi a ballare quando gli altri erano ancora un po’ timorosi sul buttarsi), ma subito dopo anche da osterie, bistrot, botteghe rinomate: un po’ disallineati dalle abitudini alimentari classiche.
Questo mercato sta crescendo velocemente, e, se cresce bene, cresce per tutti.
Detto questo, forse una cosa ci differenzia dalla maggior parte dei prodotti 0 per cento alcol a oggi sul mercato: non cerchiamo di imitare l’alcol. Non siamo il “quasi vino”, non de-alcoliamo, siamo qualcosa di completamente diverso anche a livello di note gustative e sentori. Lavoriamo su fermentazioni vere, vive. Su botaniche complesse, come la bacca di ginepro, il pepe di Sichuan o quello garofanato. Ogni bottiglia è un piccolo atto di ricerca, e anche di amore.
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