Kim Ki-duk è stato un regista e sceneggiatore sudcoreano premiato dai più importanti festival cinematografici: Venezia, Berlino e Cannes. È morto nel dicembre del 2020.

Quando la frase «mia madre è un’analfabeta» che avevo pronunciato a un critico fu pubblicata come «mia madre è cieca» mi sentii molto dispiaciuto nei suoi confronti. Nei confronti di mia madre, intendo.

Il suo coreano e il nostro italiano si danno appuntamento nel timido inglese di entrambi (e del suo assistente Yunjeong Kim).

Mentre realizzavo Ferro-3 percepivo con chiarezza come ogni essere umano fosse solo. Mi facevo degli autoscatti per analizzarmi. Sedevo per ore davanti alla macchina fotografica, inespressivo. Penso non ci sia nulla di cui ridere nella vita. Lo pensavo anche quando lavoravo in fabbrica, quando ero giovane e libero. Alla fine considero tutti i miei film dei diari tristi.

Come comincia un diario del genere?

Dopo la proiezione de L’isola al Sundance Film Festival sono tornato nella mia camera d'albergo, ho visto una montagna coperta di neve bianca e ho scritto la sinossi di Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera come se stessi scrivendo una poesia. E così l’ho girato. Senza una sceneggiatura ma con una poesia.

E quando lo finisci?

Inizio un diario più grande. Un regista deve domandarsi sempre più a fondo cosa significhi realmente il suo lavoro. Arirang ad esempio nasce come una confessione ma gradualmente diventa un’accusa. E infine una prigione. Cercavo unicamente di rispondere a quella domanda, desideravo liberarmene ma continuava a crescere e non mi ha più lasciato. È come se stessi ancora girando quel film.

Nel frattempo c’è un pubblico.

Sapevo che molte persone avrebbero odiato Moebius, e, come previsto, è successo proprio questo. Ho dovuto modificare il film ben tre volte. È difficile capire ciò che è bene o male per un mio film. Ne ho fatti quasi venticinque e tuttavia più che fare i miei film, sono i miei film che fanno me e mi somigliamo sempre di più. Pietà è un film su una tipologia di persona proprio come me che, più di avere una madre, ha paura di perderla. Time, Soffio e Dream sono le mie confessioni d'amore. L’arco parla del semplice desiderio di immaginare il futuro. Anche le mie fatiche quotidiane finisco per ritrovarmele nei film. Prima di iniziare a girare Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera stavo costruendo una piccola casa fatta solo di legno e pietra – legno e pietra era la regola – e quella casa è diventata un piccolo set per il mio film successivo, La samaritana.

Amore.

Credo che avere qualcuno che si ama sia il più grande miracolo della vita. Soprattutto per uno come me. Ho vissuto una vita di sensazioni cupe. Tuttavia se la pioggia, la neve e la tempesta non ci fossero, ogni momento della nostra vita sarebbe solo un… singolo momento. Anche la morte. È ancora primavera. Adesso mi sento come un barattolo vuoto. O un pozzo vuoto. Sto passando il tempo a scavare il terreno e costruire case in legno, lontano dai film miei e degli altri. Questa è la mia vita in questi giorni. Mi affatico facilmente e non ho quindi potuto fare a meno di dire qualche bugia. Essere intervistato è una delle cose più difficili. E nel corso del tempo tutte queste risposte diventeranno bugie.

© Riproduzione riservata