Abbiamo tuttɘ un’idea ben precisa di cosa sia un privilegio, ed è un’idea molto precisa finché qualcunɘ non ci dice che siamo noi a essere privilegiatɘ. Allora ci accorgiamo che la definizione è più sfuggente e relativa di quello che pensavamo.

Privilegi vs. capitali

Ancora tantɘ credono che un privilegio sociale sia una condizione di benessere economico tale da non doversi preoccupare di quello che capita alla maggior parte delle persone. Privilegio sarebbe non dover avere a che fare con la sanità pubblica perché ci si può permettere quella privata; privilegio sarebbe non dipendere da trasporti gestiti male e mantenuti peggio, ma permettersi mezzi propri per arrivare dappertutto; privilegio sarebbe avere accesso a luoghi, istituzioni, graduatorie che dovrebbero essere aperte a chiunque ma di fatto sono a disposizione solo di precise e alte fasce di reddito.

Questi però non sono esempi di privilegio sociale, ma del possesso di capitali: che siano in denaro o in conoscenze di persone o di ambienti esclusivi, sono risultati che si ottengono con il possesso, ereditato o guadagnato, di qualcosa. Il privilegio sociale consiste invece nell’avere possibilità in più (oppure ostacoli in meno) rispetto ad altrɘ che hanno gli stessi nostri diritti ma che, in assenza del privilegio che abbiamo, non possono esercitarli, in parte o del tutto, non per via di qualcosa di acquisibile, ma per via di qualcosa che ci viene attribuito grazie a caratteristiche non “acquistabili” direttamente, ma socialmente valutate come migliori.

Corpo e cultura

Un esempio banale per la sua evidenza: nelle società occidentali, attualmente, avere la pelle bianca è un privilegio. Chi non ha la pelle bianca riceve dalla società e dalla cultura intorno a sé chiari segnali di essere consideratɘ “non normale”: dalla fastidiosa domanda “da dove vieni”, all’attribuzione di caratteristiche stereotipate (tipo “il ritmo del sangue”) alla mancanza di fiducia di molte istituzioni, che chiedono solo a chi non è bianco di certificare spesso la propria identità o la propria capacità di comunicare correttamente, o di giustificare il possesso di denaro e beni materiali. Anche se è reato in molti paesi chiederlo in una offerta di impiego, un numero ancora enorme di datori di lavoro è in imbarazzo nell’assumere persone non bianche al di là delle loro qualifiche – e spesso manifestano cose più sgradevoli dell’imbarazzo.

Così come il colore della pelle, anche molte altre caratteristiche dei nostri corpi hanno acquisito valori escludenti sulla base di pregiudizi, stereotipi e bias culturali; questi si sono trasformati da strumenti di dominio espliciti se non addirittura codificati in leggi (dall’apartheid sudafricano, legalmente terminato nel 1991, alla legge che impediva alle donne italiane di intraprendere la carriera in magistratura, abolita nel 1963) in silenziosi ma efficacissimi strumenti di potere, stigmatizzati in pochi casi estremi ma ancora largamente utilizzati. Tra questi, quelli legati al genere sono particolarmente odiosi perché pretendono di sancire attraverso le differenze naturali tra i corpi quello che invece è costruito socialmente.

La piramide del patriarcato

Aggiungiamo molto spesso valori distorti che la nostra società attribuisce a caratteristiche umane, che di per sé non avrebbero alcun tipo di preferibilità rispetto ad altre. Ecco che nascere uomo bianco e cisgender diventa un privilegio: ho molte meno pressioni sociali sul mio destino, mi sono concesse libertà nell’uso del mio corpo che per altri generi sono causa di disprezzo o discriminazione, il pay gap è a mio favore, sono meno giudicato e con più risorse alternative per il mio aspetto, una gran parte degli oggetti e degli spazi che vivo sono progettati per corpi come il mio, la maggioranza delle applicazioni tecniche e dei modelli di comportamento sociale e sanitario sono pensati per il mio genere. Non mi mancano oppressioni dovute al patriarcato vigente, ma sicuramente come uomo eterocis sono al vertice di una piramide sociale dei generi che il patriarcato preferisce.

Responsabilità attiva

Dovrei essere più responsabile – non colpevole, come credono in tantɘ, ma responsabile – di tutte queste cose, che me ne accorga o meno, perché per chi non ha il mio corpo le cose sono ingiustamente ben diverse, e riceve anche da me forme di oppressione che non dipendono dalla mia volontà, ma dal mio adeguarmi a uno stato di cose. Non ha senso dichiararsi fuori da queste dinamiche, dire “io non sono così” o “non tutti gli uomini sono così”, oppure ancora “a me interessano le persone e non se sono uomini o donne”, o infine “a letto facessero quello che gli pare, non m’interessa”.

Nessunɘ può evitare che la società intorno a sé, il mondo culturale nel quale vive, crei valori intorno alle diverse caratteristiche naturali con le quali nasciamo; è però il minimo del nostro dovere sociale capire se quei valori fanno male a qualcun altrɘ, quando e per quale motivo sono stati creati, a beneficio di chi hanno senso ancora oggi. Rispondere a queste domande è fondamentale innanzi tutto per conoscere sé stessɘ.

Nessunɘ di noi nasce scegliendo le caratteristiche che avrà il proprio corpo, e nemmeno scegliendo quali valori la società del suo tempo attribuirà a quelle caratteristiche. Non è una colpa nascere “così”, qualsiasi cosa sia “così”, ma come minimo dovremmo sforzarci di sapere se per il solo fatto di essere “così” subiamo dei condizionamenti sociali per i quali non ci accorgiamo di essere agenti di una forma di oppressione verso qualcunɘ. Per questo esiste, sempre più potente, una domanda sociale sull’identità di genere: per capire se la vita che vivo, che “dall’interno” non mi pare ‘sta gran fortuna, in realtà fa parte di un sistema di potere basato su vite ben più misere e sofferenti per dare alla mia quelle cose che non mi sembrano affatto speciali.

Potere inconsapevole

Il problema ulteriore di mescolare poteri e oppressioni senza rendercene conto è che potere, forza, resistenza, violenza, sembrano nelle chiacchiere la stessa cosa; la gerarchia in atto ti dice da dove vengono e cosa sono queste dinamiche sociali, ma bisogna rendersi conto che questa gerarchia c’è, è complessa, funziona e da sola non si eliminerà. Trasformarla da una struttura verticale che crea differenze ingiuste a una più orizzontale, in tutte le sue forme, non fa perdere autorevolezza, esperienza, capacità, responsabilità. Consenso e rispetto, informalità e parità, non significano mancanza di valori chiari o di guide efficaci, ma vogliono dire un ambiente umano –  lavoro, relazioni, famiglie, sport – liberi da forze non volute, dove privilegi e oppressioni vengono riconosciute e si lavora per eliminarle distribuendo i benefici il più possibile e minimizzando gli effetti delle oppressioni.

Strumenti di lotta

Le questioni di genere fanno questo: forniscono gli strumenti per togliere di mezzo i poteri che non hai voluto, che non hai scelto, che ti fanno essere quello che non vuoi, e ti restituiscono la responsabilità, la capacità e la libertà di essere umanɘ. Questo potere lo abbiamo tuttɘ, dobbiamo cominciare a usarlo sempre più spesso, perché i problemi sociali si risolvono socialmente, ciascunɘ nelle sue relazioni, condividendo le esperienze e le conoscenze. Aspettare quellɘ con l’idea geniale, valida per chiunque, non funziona. Ce ne siamo accortɘ già troppe volte.

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