Nel film di Mel Gibson La Passione di Cristo i protagonisti parlano le lingue usate nella Giudea del tempo: oltre il greco, l’aramaico e il latino. Curati per incarico del regista da un semitista, il gesuita William Fulco, i dialoghi riflettono anche i modi di dire e gli errori del linguaggio allora parlato: il latino dei soldati romani risulta ovviamente molto più elementare della fluente prosa ciceroniana, e l’aramaico – lingua materna di Gesù derivante dall’ebraico delle Scritture sacre – ricostruito ipoteticamente da Fulco si basa su quello evoluto in seguito, di cui si ha abbondante documentazione e che è ancora in uso alcune comunità cristiane della Siria.

L’aramaico era, insieme al greco ellenistico, la lingua franca di tutta la grande regione orientale – dalla Mesopotamia alle coste mediterranee – e con il tempo si è travasato nel siriaco. Questo, a partire dal II secolo, diviene la lingua più importante tra quelle dei cristianesimi orientali, la prima in cui viene tradotta dagli originali ebraici e greci tutta la Bibbia. Per quanto riguarda i vangeli la versione più antica, detta appunto Vetus Syra, è stata completata probabilmente verso il 170, ed è ora accessibile in una lingua moderna (Les quatre évangiles. Traduction de la Vetus Syra, Éditions des Béatitudes).

Leggibilissima per merito anche di note e quadri riassuntivi, la nuova edizione francese dei vangeli siriaci – tutti e quattro scritti originariamente in greco – li presenta nel testo più vicino alla lingua parlata al tempo di Cristo. L’editore la descrive come una «scuola di lettura della Parola nella maniera ebraica»: i testi originali esprimono infatti un modo di pensare semitico e devono essere affrontati con «riferimenti costanti alle Scritture e alla tradizione ebraica».

Grazie a questa lettura i vangeli «ritrovano così il loro posto nel vasto corpus della letteratura giudaica antica, in una connaturalità linguistica, religiosa e culturale insostituibile per comprendere il testo» scrive il biblista Olivier-Thomas Venard. Più in là si spinge il traduttore Étienne Méténier, riprendendo l’ipotesi dell’esistenza di testi aramaici precedenti i vangeli ed evocando l’esempio dello storico ebreo Flavio Giuseppe che in aramaico scrive i sette libri della Guerra giudaica, traducendoli in greco lui stesso insieme a collaboratori tra il 75 e il 79, con il consenso dell’imperatore Vespasiano.

I manoscritti

La Vetus Syra viene ultimata verso il 170 e il geniale Taziano la utilizza per il suo Diatessáron («attraverso i quattro»), che combina i quattro vangeli. Due secoli più tardi inizia però a essere soppiantata da una nuova traduzione, la cosiddetta «semplice» (peshitta), e poi da altre versioni. Il risultato è che se ne perdono le tracce fino al 1858, quando il prete anglicano William Cureton, orientalista e bibliotecario a Oxford e a Londra, ne pubblica il testo secondo un manoscritto del V secolo trovato nel 1842 in un monastero nei pressi del Cairo.

Ancor più clamorosa e avventurosa è la scoperta di un secondo manoscritto. Protagoniste sono due gemelle scozzesi, Agnes e Margareth Smith. Anche loro ferrate orientaliste ed entrambe rimaste vedove giovani, nel 1892 partono alla volta del monastero di Santa Caterina ai piedi del monte Sinai. «Grande fu la costernazione dei nostri amici – ricorda la prima – all’idea che due donne si avventurassero sole in un così lungo pellegrinaggio. “Credete che torneranno? Vanno fra i maomettani e i barbari” disse qualcuno che sapeva dei nostri progetti. Ma perché?» finge di meravigliarsi.

Il clima era elettrico: nel 1881 la pubblicazione del Revised New Testament di Brooke Westcott e Fenton Hort, stampato dalle università di Oxford e Cambridge, era stata preceduta da un’attesa spasmodica, con prenotazioni e vendite per oltre un milione di copie. Tutto era nato dalla scoperta del codice Sinaitico – il più antico manoscritto completo della Bibbia greca insieme al codice Vaticano, entrambi del IV secolo – proprio nel monastero di Santa Caterina da parte di Costantin von Tischendorf.

Sulle tracce del filologo e teologo di Lipsia si muovono le ferventi presbiteriane Agnes e Margareth, la cui epopea è raccontata da Leo Deuel in Cacciatori di libri sepolti e poi da Janet Soskice in un intero libro loro dedicato (Sisters of Sinai, Chatto & Windus). Le due donne dimostrano molto più tatto e garbo del giovane e appassionato tedesco, come scrive ancora Agnes: «Gli uomini di cultura che visitano i monasteri orientali hanno forse l’abitudine di badare soltanto al proprio profitto o di dimostrarlo un po’ troppo chiaramente, non dando ai monaci nessuna informazione circa il proprio lavoro né circa il valore dei manoscritti in possesso del monastero; li trattano, anzi, come se fossero davvero tanto stupidi quanto si figurano certi viaggiatori».

Allertate da Rendel Harris, orientalista di Cambridge protagonista del ritrovamento di un antico testo cristiano a Santa Caterina, le gemelle chiedono ai monaci di vedere i più antichi manoscritti siriaci. Ed ecco emergere, in un piccolo locale buio, un codice, «scoraggiante a vedersi, sporchissimo, con le pagine tutte appiccicate». È un palinsesto, dove la scrittura più recente si sovrappone a un testo più antico: «Era scritto – racconta Agnes – su due colonne, una delle quali oltrepassava il margine dello scritto posteriore, di modo che molte parole si potevano leggere facilmente; tutte appartenevano al sacro racconto».

Il bollitore

I 368 fogli del codice, poi noto come Siro-Sinaitico, vengono fotografati sul posto. Indispensabile è l’aiuto del vapore di un bollitore per il tè per separare le pagine unite tra loro. La scoperta fa sensazione in Europa, e in pochi anni il manoscritto viene studiato a fondo: è del IV secolo, un centinaio d’anni anteriore a quello pubblicato da Cureton, ma entrambi i codici conservano un testo ancora più antico, probabilmente della fine del II secolo.

In seguito, brani dei vangeli siriaci saranno scoperti in altri palinsesti (a Santa Caterina nel 1975 e in Biblioteca vaticana nel 2023) ma senza più trasmettere l’emozione che pervade le pagine di Agnes Smith. La donna torna altre volte a Santa Caterina per completare lo studio del Siro-Sinaitico, e nel 1895 si accorge di un dettaglio, sfuggitole prima, nel racconto dell’incontro di Gesù con la samaritana narrato nel vangelo di Giovanni (4,27).

Sono due parole che «da sole avrebbero meritato tutti i nostri viaggi al Sinai, perché illustrano un’azione di nostro Signore di cui, per quanto si sa, non si parla in nessun altro testo e che, a giudicare da quanto conosciamo del suo carattere, presenta un certo grado di probabilità» scrive. Secondo il testo siriaco Gesù, sedutosi stanco presso il pozzo di Giacobbe, parla «in piedi» con la donna. Perché? «L’orientale intento a insegnare sta normalmente seduto. E il comune orientale non si alzerebbe mai, di sua libera volontà, per cortesia nei confronti di una donna», osserva Agnes sulla base della propria esperienza.

La scoperta

«Può darsi che nostro Signore si fosse alzato in un impeto d’entusiasmo per le grandi verità che stava dicendo; ma mi è caro pensare – continua – che il suo grande cuore, pieno d’amore anche per i più umili fra gli esseri umani, lo rendesse superiore alle restrizioni proprie della sua razza e del suo tempo, spingendolo a dimostrare nei confronti del nostro sesso, anche per una persona di così cattiva reputazione [come la donna samaritana che si era legata a cinque uomini], quella cortesia che fra tutti i popoli veramente progrediti è considerata una manifestazione di vera e nobile virilità».

E conclude: «L’aver gettato una sia pur debole luce su questo bellissimo episodio del suo pellegrinaggio fra noi è un privilegio inestimabile, che compensa largamente tutte le fatiche affrontate». Il dettaglio notato da Agnes Smith puntualmente si ritrova nella nuova traduzione francese dei vangeli siriaci insieme a oltre millecinquecento varianti rispetto al testo originale.

Méténier osserva che queste «differenze minori» mostrano «Gesù radicato nella sua cultura d’origine». Ma nello stesso tempo il predicatore di Nazareth è anche diverso, secondo l’acuta interpretazione della scopritrice del Siro-Sinaitico. Che al Cairo annota divertita di aver contribuito, lei donna emancipata, a portare alla luce l’originale ebraico – che si credeva perduto e ritrova nel ripostiglio (genizah) di un’antica sinagoga – del Siracide, autore biblico noto per la sua misoginia.

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