Pochi lettori, tanti libri. E una sfida alle tradizioni della promozione editoriale. «La competizione nel nostro settore non può più valere»: l’ha detto Selena Daveri della casa editrice Sur, ma tutte le altre sette realtà indipendenti che hanno aderito a Bookrave concordano.

Per la seconda volta in pochi mesi, effequ, Iperborea, minimum fax, NNE, Nottetempo, Quinto Quarto, il Saggiatore e la già citata Sur si sono messe insieme e hanno schierato un loro titolo, una novità o un testo da catalogo, da proporre in un unico pacchetto alle librerie seguendo un tema, in questo caso “Radici”.

Le librerie a loro volta hanno tre mesi di tempo in cui organizzare con questi testi quello che più desiderano per coinvolgere i lettori. Gruppi di lettura, performance, iniziative fuori dagli schemi. Questo è Bookrave: non un festival di letteratura, non una fiera.

Un bizzarro progetto collettivo diffuso su tutto il territorio, che esplora nuovi linguaggi per parlare di libri. «“Rave” è un termine dinamico, che va oltre la logorata idea delle presentazioni frontali» spiega Alessandro Montagnese di Nottetempo.

Un circolo

Dopo un primo esperimento nell’autunno del 2023, a cui hanno aderito 120 librerie, il 15 marzo è cominciata la seconda edizione, che durerà fino al 15 giugno e conta già un centinaio di esercizi partecipanti. La genesi però arriva da più lontano.

Dopo la pandemia da Covid-19 NNEditore aveva presentato alle librerie un sondaggio per capire che tipo di eventi si potessero costruire, per innovare un metodo di parlare di lettura troppo legato a schemi polverosi.

Da lì, l’idea di uscire da una visione editoriale troppo autoreferenziale: «Succede ciclicamente che escano libri tutti sullo stesso tema, nello stesso periodo, e ognuno fa per sé. Mettendo in dialogo tra loro gli autori si sfrutta questo fenomeno creando invece un circolo fruttifero», racconta Giulia Tettamanti di NNE.

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In effetti le uscite in Italia hanno un volume considerevole: nel 2022, sono stati 83.950 i libri a stampa pubblicati, quasi il 40 per cento in più rispetto a quattordici anni fa, stando ai dati condivisi dall’Associazione italiana editori (Aie). Le case editrici attive sono più di 5mila.

Per quelle medio-piccole, ma ormai anche per le medio-grandi, «l’associazionismo è una delle vie per salvare questa industria», come osserva Maura Romeo, della casa editrice Quinto Quarto. I suoi libri non sono facilmente classificabili: la loro impronta è soprattutto visiva. Ci sono testi illustrati per l’infanzia e silent book per gli adulti, come Le mani grandi di mio padre di Choi Deok-Kyu, che è il loro titolo per Bookrave. Per Quinto Quarto è «l’occasione quindi di arrivare sugli scaffali di librerie che non conoscevamo».

Anche per Iperborea, è una via per «collaborare con altre distribuzioni. Saremmo tutti concorrenti, ma così ci siamo dati la possibilità di esplorare delle collaborazioni dentro la filiera editoriale», come dice Anna Oppes, responsabile commerciale.

Ad esempio, Iperborea non ha mai gestito direttamente un gruppo di lettura e questa iniziativa ha dato loro l’opportunità di osservare come lavorano gli altri. Le otto case editrici hanno infatti una distribuzione diversa, una promozione diversa e cataloghi molto diversi tra loro: partendo dal tema sono riuscite non solo a trovare un filo comune, ma a passarsi a vicenda nuovi contatti.

«Il rapporto con le librerie è fondamentale, perché sono loro che fanno arrivare i nostri libri in mano ai lettori», aggiunge Chiara Rea di minimum fax.

Tutta la filiera viene così coinvolta, e poi in un certo senso, esce da sé stessa: «Lo scopo era anche invitare figure fuori dal solito ambiente editoriale», dice Maria Claudia Ferrari Bellisario del Saggiatore.

Nella prima tornata, in autunno, il tema era “Corpi”: le librerie hanno chiamato tatuatori, hanno fatto esperimenti con il teatro-danza. «A Ravenna è venuto un biologo per parlare dei corpi dei pesci», ricorda Daveri (Sur).

Alla fine di tutto, c’è l’accoglienza dei lettori. I partecipanti possono scegliere un solo libro, o due o tre, ma c’è stato chi ha voluto leggerli tutti e otto. «Noi mandiamo un vademecum con le proposte di abbinamento, ma a Testo (fiera che si è tenuta a Firenze in febbraio, ndr) sono state proposte altre accoppiate e funzionavano tutte», spiega Silvia Costantino, ufficio stampa di effequ. Questo perché ci sono linee sotterranee che, proprio come le radici, collegano le opere proposte.

Di padri e ritorni

«La figura paterna è al centro di tutte le narrazioni», osserva Oppes (Iperborea): nel loro Il grande Nord di Malachy Tallack, c’è un padre che muore e dà la spinta al protagonista per partire. In Saluterò di nuovo il sole di Khashayar J. Khabushani (NNE) c’è un padre sopraffatto dalla sua nuova terra, gli Stati Uniti, che rapisce i figli per riportarli in Iran. Padre occidentale di Simone Lisi (effequ) lo mostra già nel titolo: mentre ricerca le origini dello yoga il protagonista esplora i rapporti intergenerazionali nella sua famiglia.

Le mani grandi di mio padre (Quinto Quarto) affianca la cura di un uomo verso il figlio neonato alla cura del figlio adulto verso il padre anziano. Gli stessi gesti sono sdoppiati e speculari, con decenni di mezzo: è anche un testo politico, spiega l’editrice Romeo, perché rispetto ad altri paesi in Italia gli anziani sono ai margini della società, e perché la cura è un attributo ritenuto solo femminile.

Ci sono i viaggi, che siano quelli lungo il 60° parallelo del Grande Nord, che mostrano come la globalizzazione abbia raggiunto le popolazioni anche a quelle latitudini, o che siano nel tempo, come Legami di sangue di Octavia E. Butler (Sur) dove il contatto con un passato che è personale ma anche collettivo, ossia la violenza razzista dello schiavismo nelle piantagioni, lascia dei segni indelebili. Ci sono i tentativi di fuga dei racconti di Chris Offutt, in A casa e ritorno (minimum fax) che finiscono con dei ritorni obbligati.

Ci sono le storie di chi arriva da lontano, e pur cercando di integrarsi mantiene le radici di provenienza, come in Estranei di Alessandro Gazzoli (Nottetempo), che racconta un anno in un centro di educazione per gli adulti stranieri: «Non va letto come un saggio, è più una cronaca», spiega Montagnese.

C’è la ricerca di un’identità di genere, che è a sua volta una radice del nostro essere, e di una nuova lingua che possa fluire, come in Perché sono da sempre un corso d’acqua di Kim de l’Horizon (il Saggiatore). E questa nuova lingua è propriamente una lingua madre, che la persona protagonista ricerca risalendo il proprio albero genealogico: «Il titolo originale era Blutbuch, il “libro del sangue”. Noi abbiamo scelto l’acqua per rimarcare il concetto della liquidità», dice Bellisario.

I libri non scadono

La centralità del tema non mette in contatto titoli diversi solo a livello di contenuto, ma anche lontani tra di loro come storia editoriale. Alcuni di questi libri sono novità, altri, come Butler, Offutt, Lisi, sono titoli di catalogo a cui gli editori tengono molto.

Per tre mesi tornano fissi su uno scaffale, che non ruota mai: questo più prosaicamente significa che, come osserva Romeo, le librerie prenotano in partenza almeno cinque copie per libro e, in totale, novità e riproposte vengono riposizionate in almeno 500 copie.

Oltre al buon successo commerciale, però, specialmente per i titoli di catalogo c’è l’occasione di una seconda vita, oltre i tempi naturali dell’editoria: «Ci piaceva l’idea di scegliere un libro che non fosse una novità, per andare contro al meccanismo di ricambio che a volte fa sembrare i libri quasi degli oggetti usa e getta», dice Rea (minimum fax).

Non cambiano solo le modalità di presentazione, ma le stesse modalità di fruizione: «Riconquistiamo il tempo della lettura e, forse, possiamo ripensare come si parla di libri. C’è una tendenza all’iperbole quando si presentano le novità. Sono tutti “urgenti”, “necessari”, e invece a volte funzionano in momenti diversi per lettori diversi», spiega Costantino (effequ). Che sottolinea: «Un libro non scade».

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