In Casino Royale un defibrillatore salva la vita a James Bond che ne ha uno a disposizione nel cruscotto dell’auto – altro che cric – come dovremmo averlo nei nostri condomini. «Meglio le gomme a terra che il cuore sottoterra», scrive Gabriele Bronzetti, cardiologo e ricercatore, nel suo libro Nel cuore degli altri. Quando arte, musica, letteratura e cinema aiutano a raccontare la medicina, pubblicato da Aboca, in cui crea connessioni tra le cardiopatie di artisti e personaggi di film e romanzi e quelle dei suoi pazienti.

Secondo i dati esposti dal ministro della Salute alla Camera il 16 ottobre del 2023, durante la Giornata mondiale della rianimazione cardiopolmonare, in Italia sono più di 60 mila i morti, ogni anno, per arresto cardiaco. «Il cuore è un barista che shakera e versa sangue come un pazzo. Il cervello è il suo cliente più impaziente, uno che se ne va dopo pochi minuti se non viene servito». Perciò è importante che ci sia un defibrillatore a portata di mano. La Legge Mulè del 2021 li prevede nei luoghi pubblici e di lavoro, nelle scuole, nelle università, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie. In molte delle nostre città, le auto dei vigili urbani e della Polizia ne sono già dotate. A Bologna, dove Bronzetti vive e lavora, «viaggiano sui taxi e presto voleranno sui droni».

Stanley Kubrick è morto di infarto, la stessa «malattia professionale» di Sergio Leone, che se n’era andato per arresto cardiaco un decennio prima, a sessant’anni. «Leone aveva le ore contate per quella che chiamava “una crepa nel cuore, una ferita minuscola” per cui l’unico rimedio sarebbe stato un trapianto». Non ha fatto in tempo ad arrivarci. Kubrick «era ben consapevole» che «lavorare troppo» accorcia la vita. «È tutto scientificamente dimostrato»: alla fine «si brucia e ci si spegne di colpo, per un infarto o un ictus». Il regista stava «lavorando alacremente al montaggio di Eyes Wide Shut», il film tratto dal racconto Doppio sogno del medico e scrittore austriaco Arthur Schnitzler, e forse ha «aspettato troppo prima di chiamare l’ambulanza».

Il lavoro e la fine delle relazioni

Eccesso di lavoro, certo, ma la verità è che «se la gente sapesse per quali motivi e in quanti modi si può chiudere una coronaria, si accamperebbe davanti alle terapie intensive». Tipo: le separazioni possono accelerare l’infarto? «Sì, possono farlo». Leggere, per credere (attenzione: spoiler): Lolita, di Vladimir Nabokov, o Un uomo solo, di Christopher Isherwood. «In meno di nove minuti, senza soccorsi, una coronaria chiusa ferma il cuore per sempre». Nove minuti, «il tempo di un uovo sodo». Infarto. Come scriveva Shakespeare: «Date parole al dolore, il dolore che non parla bisbiglia al cuore e gli ordina di spezzarsi». Quindi, dopotutto, il crepacuore esiste, eccome, «dopo traumi o lutti, il dolore insostenibile» strozza il cuore «alla base, proprio sotto la valvola aortica: il sangue è in trappola». Colpisce «soprattutto dopo la mezza età, più le donne (il caso tipico è quello di chi appena perso il marito)». Mi viene in mente Giulietta Masina, morta pochi mesi dopo suo marito Federico Fellini.

ANSA

Il libro si legge d’un fiato (avendo un buon cuore, certo) ed è costruito in capitoli che intrecciano la realtà delle malattie del cuore di pazienti di ogni età con quelle raccontate in romanzi (tra cui Gita al faro di Virginia Woolf o Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf), film (La doppia vita di Veronica di Krzysztof Kieślowski o Blade Runner di Ridley Scott) o legate alla musica (l’album Atom Heart Mother dei Pink Floyd o le sinfonie di Gustav Mahler), ai quadri di Vincent Van Gogh (Notte stellata) o alle poesie di Giovanni Pascoli (Digitale purpurea).

Lo scalpel

Troviamo solo ciò che cerchiamo: Bronzetti, che ha visto morire il padre di scompenso cardiaco, dice che è quel che si insegna nelle scuole di medicina, ma sono certa di averlo letto da qualche parte anche a proposito di chi viaggia e siccome quando visitai Città del Messico non mi importava niente di come funziona il corpo umano, non ricordo di aver visto «un affresco grande come un’area di rigore, gremito da cinquanta fuoriclasse». È la Storia della cardiologia di Diego Rivera – quello che causò un bel po’ di lavoro extra al cuore di Frida Kahlo – dove, in basso a destra, è ritratto Andrea Vesalio, padre fondatore dell’anatomia, che studiò anche a Padova.

E poiché da un po’ di tempo mi importa, invece, dell’anatomia umana, qualche settimana fa, durante un lavoro che stavo facendo, mi sono soffermata sul De Humani Corporis Fabrica di Andrea Vesalio: c’è una copia preziosa della prima edizione, anno 1543, tra i 1200 volumi di una delle collezioni di libri antichi di medicina più importanti al mondo, nello studio che fu del medico e chirurgo Vittorio Putti, dentro l’istituto ortopedico Rizzoli, a Bologna, uno dei dieci migliori al mondo, secondo la rivista statunitense Newsweek. Nel «grande murales di Rivera», Vesalio, scrive Bronzetti, tiene «in una mano grondante» un cuore «appena estratto da un cadavere, nell’altra brandisce il bisturi». Scalpel. Ho imparato che in inglese si chiama così guardando la serie Grey’s Anatomy (guardiamo solo quel che già vediamo, mi viene da parafrasare).

A proposito delle diagnosi

«Cerchiamo ciò che conosciamo». Per questo, «nell’epoca della medicina di precisione si dovrebbero fare esami di screening prima che siano le madri a chiederceli». Bronzetti sta concludendo il capitolo 5, quello in cui racconta di una donna abruzzese che ha salvato il figlio – Francesco, 13 anni – da una patologia insidiosa «capace di provocare una morte improvvisa in un giovane perfettamente asintomatico. La diagnosi precoce è tutto». In quelle pagine, la storia della donna abruzzese si muove in parallelo con la trama del romanzo Cronaca di una morte annunciata di Gabriel Garcia Márquez. Placida Linero (attenzione: spoiler) «vivrà il resto dei suoi giorni col rimorso di non aver riconosciuto i segni infausti nascosti nel sogno del figlio».

Il romanzo di Márquez «parte da un corpo senza vita per indagare le relazioni familiari e sociali nella loro valenza coesiva e distruttiva». Come in un’autopsia, aggiunge l’autore. La madre ascoltata da Bronzetti, al contrario del personaggio uscito dalla fantasia dello scrittore colombiano premio Nobel nel 1982, ha seguito la sua «ostinazione visionaria e diagnostica – dia-gnosi letteralmente significa “vedere attraverso”  – dando a noi medici una severa lezione di medicina». Infatti, non riusciva più a dormire dopo aver saputo di un ragazzo di quattordici anni morto per una rara malformazione cardiaca e quindi aveva affrontato un lungo viaggio: «per ripetere l’ecocardiogramma soltanto tre mesi dopo averne fatto uno identico, nello stesso ambulatorio, con lo stesso medico». Troviamo solo ciò che cerchiamo. Fino a quel giorno, il ragazzo era stato «seguito per una cardiopatia congenita non grave». Quel giorno, il medico scoprì che il suo cuore aveva la stessa malformazione di Lorenzo, di cui aveva parlato perfino il Tg della sera. Sarebbe una grande puntata di Grey’s Anatomy.

© Riproduzione riservata