La tecnologia ha sempre accompagnato l’evoluzione della viticoltura. Rifiutarsi di ascoltare le esigenze di una fascia crescente di consumatori sarebbe miope. Il mercato parla chiaro: aumenta la domanda di vini a basso o nullo contenuto alcolico
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani, sullo sfogliatore online e in edicola
Chi mi conosce sa che sono un produttore che osa, che guarda al futuro, ma con i piedi ben piantati a terra. O meglio, in quel terroir che la mia famiglia si impegna a valorizzare da generazioni, in Alto Adige. Grazie alla visione pionieristica di mio padre, Paolo Foradori, il Barthenau Vigna S. Urbano è stato il primo vino dell’Alto Adige a riportare in etichetta, già nel 1987, il nome della vigna di origine. Una scelta controcorrente che oggi viene riconosciuta come fondamentale per la valorizzazione dell’identità territoriale.
Interpretare le evoluzioni
Rimango fedele a questa visione ma non si può ignorare il mondo che cambia. Parte del compito di un produttore è il saper interpretare l’evoluzione dei consumi, senza per questo snaturare la propria essenza. Il nostro lavoro, in vigna come in cantina, si fonda sulla ricerca dell’equilibrio. Ed è con questo spirito che, a partire dal 2020, ho iniziato ad approcciarmi con serietà ai vini dealcolati. La spinta decisiva è arrivata da un’attenta lettura del mercato: non abbiamo ignorato le statistiche degli ultimi 20 anni sui consumi mondiali, né sottovalutato i segnali che da tempo emergevano sui tavoli dei ristoranti e davanti ai banconi dei Winebar. A questo si è aggiunto un vantaggio competitivo importante: grazie alla nostra tenuta in Mosella, acquisita nel 2014, avevamo già costruito solidi rapporti con partner dotati delle competenze e delle tecnologie più avanzate per la produzione di vini dealcolati di alta qualità.
La tecnologia ha sempre accompagnato l’evoluzione della viticoltura. Rifiutarsi di ascoltare le esigenze di una fascia crescente di consumatori sarebbe miope. Il mercato parla chiaro: aumenta la domanda di vini a basso o nullo contenuto alcolico. La maggiore attenzione al benessere, alla ricerca di prodotti con meno calorie, alla guida responsabile, alla moderazione nei consumi, così come l’inclusività verso chi non può o non vuole bere alcol, sono ormai driver consolidati. A questi si aggiunge un elemento nuovo e trasversale: la pressione sociale e lavorativa che ci spinge verso prestazioni sempre più attente e performanti. Fattori che influenzano le nostre scelte, a casa come al ristorante. Non si tratta dunque solo della Generazione Z, come sento dire, ma di una tendenza che coinvolge un pubblico ampio che cerca prodotti di qualità, ma senza alcol.
Il vino dealcolato è diventato così oggetto di crescente interesse da parte produttori, consumatori, distributori e critici. Ma la sfida vera – per noi produttori – è riuscire a creare prodotti che abbiano una loro coerenza espressiva, pur parlando un linguaggio diverso rispetto al vino tradizionale. Non basta togliere l’alcol: servono investimenti, ricerca, una profonda competenza enologica.
Non è un semplice processo di sottrazione. Questo è il nodo cruciale che il comparto vitivinicolo deve comprendere: questo tipo di prodotti deve rimanere all’interno della nostra filiera. Serve il coraggio di continuare a fare qualità, anche in territori ancora poco esplorati. I produttori tedeschi, ad esempio, hanno colto fin da subito il potenziale strategico della categoria, evitando di delegarla all’industria delle bevande analcoliche.
Hanno lavorato sulla selezione varietale, sulle tecnologie di dealcolazione, sul mantenimento del profilo sensoriale. In Italia, purtroppo, si continua a perdere tempo in polemiche sterili che non fanno altro che ostacolare l’evoluzione e la competitività del settore. La vera sfida non è resistere al cambiamento, ma innovarsi con coerenza.
© Riproduzione riservata



