Il j’accuse sul rischio nucleare, A House of Dynamite fa paura

«A House of Dynamite è il nostro mondo. E come se vivessimo in una casa dalle pareti imbottite di bombe nucleari. Nove paesi possiedono l’atomica. Il rischio è quotidiano: quasi statistico. Non si tratta di dire cosa succederebbe se, ma cosa succederà quando…» A 73 anni la bionica Kathryn Bigelow colpisce la Mostra del cinema di Venezia con un thriller paranoico al cardiopalma che si spera rimarrà fantapolitico. Prima regista donna ad aver vinto un Oscar per The Hurt Locker nel 2010, sin dal suo primo cortometraggio, The Set-Up, realizzato nel 1978 durante i suoi studi di cinema alla Columbia University, non ha mai smesso di esplorare la mascolinità e la virilità in tutte le sue forme. Il suo universo, costruito sui codici molto maschili del cinema di genere, è ispirato dal suo mito Sam Peckinpah, regista di Western muscolosi come Il mucchio selvaggio (1969). Non è dunque un caso se l’autrice, da sempre reattiva e al passo coi tempi, abbia ostinatamente voluto raccontare la brutalità della guerra e le sue derive con uno stile incisivo e realistico inconfondibile. Otto anni dopo il suo ultimo e controverso Detroit che ripercorreva le rivolte razziali del 1967 nella città del Michigan e per cui era stata accusata, in quanto donna bianca, di illegittimità, la regista chiude con A House of Dynamite, la sua trilogia storica politica e militare americana iniziata con The Hurt Locker (ambientato durante la guerra in Iraq) e Zero Dark Thirty (sulla caccia a Osama bin Laden). Decisioni impossibili E se gli Stati Uniti fossero improvvisamente sotto attacco nucleare da parte di un avversario sconosciuto? Ambientato principalmente all’interno della Casa Bianca, il film immagina in tre capitoli con diversi punti di vista, uno scenario terrificante che costringe i leader militari e civili a prendere in 18 minuti contati delle decisioni impossibili e fatali per l’intero pianeta. L’appassionante film di Kathryn Bigelow riflette un paese che si sente perennemente attaccato La regista dice: «Viviamo sotto l’ombra costante dell’annientamento, ma c’è un torpore collettivo» Nel cast, Idris Elba è il presidente degli Stati Uniti, Rebecca Ferguson è la responsabile dell’unità operativa che si occupa della sicurezza della Casa Bianca, Jared Harris è il vicepresidente. E poi ci sono anche gli ufficiali militari, i funzionari e gli assistenti che alla fine, dietro alle loro corazze sono padri, madri, esseri umani che si sgretolano sotto le divise di fronte al disastro imminente. «Credo che quando le persone guardano il film si ritrovano a identificarsi con un personaggio o con l’altro, a immaginare come si sarebbero comportati al loro posto. Noi siamo fallibili, estremamente fallibili e siamo circondati da queste armi che potenzialmente non sono affatto fallibili», ha detto la regista Il film è scritto su fonti di ex funzionari del Pentagono, della Casa Bianca e della Cia dall’ex presidente della NBC News, Noah Oppenheim, che ha vinto l’Osella d’oro a Venezia per la sceneggiatura di Jackie (Pablo Larraín). «Il punto è che, a prescindere da ciò che accade nel mondo, che è sempre instabile in un modo o nell’altro, abbiamo costruito queste armi che potrebbero porre fine a tutta la vita», ha affermato Oppenheim. «In paesi come il nostro, un solo individuo, il presidente, ha l’autorità esclusiva di autorizzarne l’uso. Volevamo raccontare una storia su questo sistema che non riflette alcuna situazione politica di parte, ma è semplicemente la realtà dell’era nucleare». Il j’accuse di Bigelow A House of Dynamite è un j’accuse contro i governi che continuano a finanziare e sviluppare gli armamenti nucleari e scoperchia un tema rimosso: quello dell’incubo nucleare. «Sono cresciuta in un’epoca in cui nascondersi sotto il banco di scuola era considerato il protocollo da seguire per sopravvivere a una bomba atomica», ha dichiarato la regista. «Oggi il pericolo è solo aumentato. Diverse nazioni possiedono armi nucleari sufficienti a porre fine alla civiltà in pochi minuti. Eppure, viviamo sotto la costante ombra dell’annientamento, c’è una sorta di torpore collettivo, una silenziosa normalizzazione dell’inimmaginabile. Come possiamo chiamarla “difesa” quando il risultato inevitabile è la distruzione totale?». A House of Dynamite riflette la paranoia di un paese, gli Stati Uniti, che si sente, dal maccartismo, alla guerra preventiva post 11 settembre, perennemente sotto attacco. Nella Venezia delle polemiche Sorrentino concede “La grazia” Un mondo sempre più minaccioso “Reagire o suicidarsi?” Questo è uno dei mantra di un film che ha una tale efficacia narrativa e registica da alimentare il clima di terrore e la volontà di difendersi da un mondo sempre più minaccioso. E se dietro alle intenzioni pacifiste del film si nascondesse l’ombra della propaganda? In un mondo, citando 1984 di Orwell in cui “la guerra è pace”, la domanda è lecita visto che il precedente film della regista, Zero Dark Thirty, fu avvolto da grandi polemiche quando si scoprì con trascrizioni di e-mail e di riunioni tra Mark Boal, Kathryn Bigelow e diversi alti funzionari del governo, la comprovata collaborazione tra il team del film, la Cia e il Pentagono. Queste rivelazioni furono un ulteriore esempio della connivenza tra Hollywood e la politica di difesa e sicurezza degli Stati Uniti. Kathryn Bigelow insiste invece sul fatto di aver realizzato il suo ultimo thriller politico per mettere in guardia il mondo sui rischi reali di una totale distruzione nucleare globale. «La cosa più importante oggi è comunicare, essere informati il più possibile, in modo da capire quali potrebbero essere le conseguenze. Penso che la diplomazia sia la soluzione numero uno per farci uscire da questo tipo di situazioni». E quando le chiediamo perché la diplomazia sta fallendo: «Siamo isolati in un mondo in bianco e nero che è sempre più polarizzato. Per superare questa situazione dobbiamo uscire dalle nostre bolle e unirci, comunicare per capire come possiamo rendere il nostro mondo più sicuro anche da un punto di vista ambientale». Quello che è certo è che mettendo in immagini le nostre più profonde paure A House of Dynamite è un film appassionante e complesso. L’uomo nell’ombra che ha “creato” Putin. Il Mago del Cremlino travolge il pubblico