Alice e Fabio hanno rispettivamente ventotto e ventinove anni, origini siciliane, da tre anni degli impieghi a tempo determinato; lei per un’agenzia di comunicazione e lui è nel marketing.

Lei convive con due ragazze, in Porta Venezia, e lui con un suo amico, in Porta Romana, e si sono trasferiti entrambi a Milano dieci anni fa, per frequentare prima la triennale e poi la specialistica; lei ha anche fatto un master.

Lei paga la camera, nell’appartamento condiviso con le altre, seicentocinquanta euro al mese e lui settecento, e se ci si mettono, poi, le bollette, e gli alimentari, e l’abbonamento ai mezzi e alla palestra, delle cene e pranzi fuori casa, gli imprevisti, che possono sempre capitare, i biglietti aerei per tornare in Sicilia per Natale, Pasqua, l’estate, che sono una mattonata sui denti in piena regola, la psicoterapia, che serve – diciamocelo – e che, però, lei ha dovuto ridurre a una volta ogni due settimane per spender meno, magari il compleanno di quell’amica o quell’amico, a cui bisogna far un regalo, certo, ecco, al di là dell’affitto, che è già folle per una, una stanza, se ci si aggiungono queste spese, ogni mese dai rispettivi conti spariscono circa millequattrocento euro.

Senza risparmi

Considerato che hanno uno stipendio di milleseicento euro Alice e Fabio di risparmi in pratica non ne hanno. Sulla soglia dei trent’anni, devono ancora condividere casa con altre persone, e devono ancora vivere in affitto, e devono ancora chiedere aiuto ai genitori, a volte.

Sulla soglia dei trent’anni, hanno un impiego a tempo determinato – Alice è al suo terzo giro sempre per la stessa agenzia sempre con lo stesso stipendio, Fabio al secondo, stessa situazione – sulla soglia dei trent’anni, nonostante lo desidererebbero pure, la sola idea di comprar casa, andar a vivere per conto loro, pure in un buco in periferia, pare assurda a entrambi.

Di tornare in Sicilia chiaramente non se ne parla neanche, lì per loro non c’è niente; se al nord l’assalto alle opportunità è feroce, al sud non c’è nulla su cui buttarsi: nulla. Quindi restano a Milano, restano nelle loro camere in affitto, restano nelle agenzie per cui lavorano e, nel frattempo, sono, entrambi, sempre meno convinti che questa loro situazione possa prender una piega diversa nel prossimo futuro.

Vita da Millennial

Questa è la vita di Alice e di Fabio, e la loro è una vita come tante.

È, difatti, la vita della gran parte di noi che stiamo solleticando i trenta, dei Millennial. Che siamo stati costretti a migrare, lasciare il sud, la famiglia, che ci stiamo affacciando su un mondo quantomeno complesso, su un mondo, tra la crisi climatica, le guerre, le altre, diverse crisi, che versa, ai nostri occhi incerti, in una situazione che ci sembra a tratti quasi impossibile da ricuperare.

Un precariato esistenziale a cui siamo abituati, certi di noi persino assuefatti, che si riflette sulla gran parte degli aspetti della nostra stessa vita.

Il futuro ci appare lontano, incapace di rapprendersi in qualcosa di concreto, e il presente un tempo continuo: stiamo camminando, ma è come se stessimo procedendo su un tapis roulant: un passo avanti all’altro, la stanchezza l’avvertiamo, però siamo fermi, sempre allo stesso punto. Una progettualità, allora, non crediamo di potercela permettere: qualcosa che ha a che fare con noi stessi, con l’indole della nostra generazione, certo, ma anche con il contesto in cui ci troviamo.

Alice e Fabio sono della generazione della crisi.

Potrebbe andar peggio, mi dicono. Hanno entrambi un impiego, e pure se l’incertezza del determinato mette loro addosso tanta ansia i soldi per pagar l’affitto non mancano, e hanno entrambi dei genitori alle spalle che, dovessero mettersi male le cose, potrebbero aiutarli, e hanno l’un l’altro.

Stanno assieme da cinque anni, difatti, si sono conosciuti durante la specialistica, su Tinder, e non si sono più mollati. E così da un annetto sognano. Potrebbero voler vivere per sempre a Milano oppure no, potrebbero voler andare ad abitare in periferia oppure no, potrebbero voler tentare l’estero oppure no, potrebbero voler avere dei figli oppure no.

Potrebbero: è sempre tutto in divenire.

E nel divenire Alice scopre d’essere incinta.

Abitare il loro Tempo

Panico, felicità, panico, felicità; non in una successione ordinata, ma in un vortice che assedia, travolge. Alice lo dice a Fabio, parlano per una notte intera delle opzioni, piangono un po’, prima lei e poi lui, quindi s’infilano nel letto e provano a dormire, contusi, ma quando lei all’alba dice di voler tornare giù e parlare con i suoi genitori, lui, che non ha dormito come lei, le risponde subito: è la scelta più sensata.

Ed entrambi, senza dirselo a vicenda, si sentono al tempo stesso più sereni e dei bambini; presto potrebbero diventare genitori, ma tutto ciò che sanno fare davanti a un fatto tanto grande è correre dai loro, di genitori. A ogni modo, tre giorni dopo tornano in Sicilia e raccontano tutto alle famiglie, ma quale sia l’epilogo della storia non è importante, qui.

Ciò che importa, invece, è che ad Alice e Fabio gli strumenti giusti per abitare la loro età, il loro Tempo non siano stati dati, e quel che è peggio è che, intanto, viene detto loro, viene detto a noi, che far figli è nostro dovere.

Prima di procedere oltre, chiariamo un punto.

Nessuno nasce per assolvere dei doveri distinti e, soprattutto, imposti da altri. Nessuno ha uno scopo precipuo nella propria vita, tantomeno secondo il genere di nascita. Nel caso specifico: nessuno ha il compito di fare dei figli. Piuttosto ognuno ha il diritto di decidere se e quando farne, ha diritto di scelta. Ognuno ha il diritto di scegliere se, ai figli, preferire la carriera, adottare una muta di Husky, un’armata di gatti, viaggiare da soli per il mondo, collezionare monete, biglie o francobolli. Ad alcuni i bambini possono non piacere, fanno rumore, richiedono troppe attenzioni, procurano ansie. Alcuni semplicemente non sentono l’istinto genitoriale. Alcuni vogliono vedere come si metteranno le cose nei prossimi anni. Alcuni credono che portare nel mondo altri esseri umani quando il pianeta sta collassando non abbia senso.

Le ragioni per cui una persona potrebbe non volere dei figli sono sempre e comunque una in più di quelle che possiamo immaginare: fine della storia.

E torniamo ad Alice e Fabio.

La zona d’ombra

Loro qui si collocano in una zona d’ombra: di figli potrebbero volerne, un giorno, non è qualcosa cui hanno ancora avuto modo di pensare, ecco tutto, ma per loro è ancora presto. È presto perché questo nostro contemporaneo gli strumenti non glieli ha concessi; e ancora: l’affitto della stanza eccessivo e il contratto a tempo indeterminato che non arriva e il costo della vita che seguita a salire e le crisi che si susseguono senza soluzioni di sorta.

Per quanto la loro sia, tradizionalmente, l’età giusta per far dei bambini, per quanto abbiano una relazione stabile da anni, per quanto lavorino, Alice e Fabio, banalmente, non possono permettersi di prendere felicemente la notizia di una gravidanza, e fa male, mi dicono: fa molto male.

E fa male perché, nel frattempo – alla confusione – devono aggiungere chi dall’alto – letteralmente: esponenti di governo e politici – rimprovera loro, ormai di frequente, una certa indolenza, una svogliatezza a entrare finalmente nell’età adulta, far la loro parte.

Ci credete pigri, dediti a un divertimento che è solo infantile, siete convinti che preferiamo lo spritz a un figlio; al momento, tra l’altro, è vero, quantomeno per me. La realtà è che ci chiedete di far venire su la vita lì dove è difficilissimo farlo, di far crescere una foresta in un terreno che a noi sembra arido, e noi, qui, possiamo solo chiedervi quale senso avrebbe piantare nuovi alberi in questo campo che muore, e che ci maltratta. Possiamo solo chiedervi quanto distanti siate dal reale; o se mentiate consapevolmente.

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