Quelli del neofascismo sono ambienti a grande prevalenza maschile. In contesti di questo orientamento, dove dalle differenze “naturali” si fanno discendere differenze nei diritti e nei doveri, è evidente che la differenza di genere non possa che essere fondamentale nell’elaborazione dell’identità politica.

Del resto è questa la più importante e significativa fra le diversità che attraversano gli esseri umani, tralasciando la complessità e le sfumature che in questa area sono comunque rifiutate. Come guardano dunque a sé stessi questi uomini, spesso giovani? Cosa è la mascolinità per loro?

Boys don’t cry

La crisi dei maschi e della mascolinità è un argomento che ritorna spesso nell’estrema destra. Quello della crisi è certamente il punto di vista più diffuso, è quello con cui viene definita la narrazione principale. L’autovittimizzazione e il panico morale come molle di una riscossa sono un approccio comune, soprattutto fra le forze antisistema.

In un articolo a firma Azione studentesca Padova di novembre 2020, comparso sul bollettino Agoghè, si afferma: «Soprattutto oggi, con una retorica imperante che ci vuole vedere tutti pieni di lacrime ma vuoti di muscoli, che devirilizza il maschio della sua forza protettrice e propone l’esempio del “boys-do-cry”, cioè di maschi schiavi della propria empatia incontrollata e mai dominata».

La crisi della mascolinità

Sono riassunte in una sola riga le tre principali tesi: in primo luogo che la crisi della mascolinità sia una cosa recente, poi che il maschio sia vittima di una forza egemone snaturante, infine che il ruolo sociale dell’uomo sia retto dalla propria fisicità e consista nella protezione della donna e nella repressione della propria complessità emotiva.

Il Primato nazionale, mensile di CasaPound, ha centrato l’uscita di marzo 2023 proprio su questo tema. L’articolo di punta del focus è di Francesco Borgonovo, vicedirettore de La Verità e collaboratore fisso del periodico del gruppo neofascista.

La tesi è chiara e il pezzo inizia così: «Vi sono pochi dubbi sul fatto che ci troviamo a vivere in una società matriarcale, a dispetto di ciò che sentiamo costantemente ripetere a proposito dell’oppressione patriarcale che sarebbe pervasiva e soffocante. Le prove sono più che evidenti: le Grandi madri perverse sono ovunque. [...] Del femminile risaltano in ogni dove gli aspetti deteriori: l’accoglienza è un valore assoluto che non va messo in discussione, al pari dell’emotività».

La superiorità

Del resto la tesi di Borgonovo non è certo nuova: non appena insediata Elisabetta I, che a metà Cinquecento succedeva alla sorella Maria I, uscirono in Inghilterra pamphlet che tuonavano contro “l’odioso regime delle donne”.

È insomma scoperto ed evidente che la narrazione della crisi della mascolinità sia una strategia che si oppone all’avanzamento nel campo della parità di diritti fra uomini e donne. È un oggetto retorico tutt’altro che recente, ha una sua storia ed emerge periodicamente come strumento di reazione.

Ed è ancor più chiaro quando nello stesso fascicolo, poche pagine dopo l’intervento di Borgonovo, viene pubblicato uno scritto, inedito in italiano, di Guillaume Faye – una delle personalità più estreme della nuova destra francese – dove dalla scarsità di donne fra i grandi nomi della letteratura e della scienza viene dedotta una superiorità maschile, se non generale, in almeno tutta una serie di ambiti culturali. Un gioco di prestigio che inverte cause ed effetti.

Creature emotive

Quella della mascolinità in crisi è una strategia che si situa nell’ambito del suprematismo, in questo caso suprematismo maschile.

Vale la pena tornare sui due testi citati poco sopra, perché la questione dell’emotività – caratteristica femminile che, per così dire, inquina il maschio – viene sottolineata in entrambi i casi.

Il dominio delle emozioni è una distinzione fondamentale per la mascolinità, per come è intesa in questi ambienti politici. Lo stesso Anders Breivik – il terrorista neonazista che nel 2011 ha ucciso 77 persone in Norvegia – in una intervista a sé stesso, presente nel suo manifesto politico, afferma che in un’epoca dominata dal femminismo moderno e dalla rivoluzione sessuale «gli uomini non sono più uomini, ma metrosessuali e creature emotive».

Contro la masturbazione

Empatia ed emotività sono qualità da respingere perché contrastano non solo l’ideale di maschio, ma sono di ostacolo al raggiungimento della visione del mondo ricercata dall’estrema destra. Un uomo che non controlla le proprie emozioni non può essere un buon soldato politico, non può essere inquadrato in maniera affidabile in una gerarchia, non può essere cellula di uno stato organico.

D’altra parte l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni degli altri, è un sentimento che travalica etnie e culture. All’empatia i confini nazionali risultano del tutto trasparenti. L’empatia è un impedimento alla violenza.

Del resto nelle chat Telegram di alcuni gruppi dell’estrema destra compaiono ciclicamente consigli circostanziati contro la masturbazione, pratica da combattere perché abbassa il testosterone e quindi l’aggressività.

La gang

La via degli uomini è un libro del 2012 di Jack Donovan, portato in Italia dalla casa editrice di Casaggì, la comunità militante a cui appartengono le persone coinvolte nel pestaggio di Firenze di febbraio scorso.

«(...) il richiamo arcaico e naturale della Gang, dell’istinto vitale e del combattimento, oltre i dogmi del femminismo imperante, del pensiero debole e della società liquida», così viene presentato il libro, che ha avuto un certo successo negli ambienti del radicalismo di destra statunitense e che gode di traduzioni in alcune delle principali lingue occidentali.

Il centro del discorso di Donovan è che la mascolinità si realizza pienamente solamente nella struttura sociale della “gang”, ovvero una «coalizione coesa e gerarchica di maschi, alleati per affermare i propri interessi contro le forze esterne».

L’autore dà anche una definizione di mascolinità, ovvero «essere un uomo in un gruppo di uomini. Soprattutto, mascolinità è ciò che gli uomini vogliono gli uni dagli altri». È questo un contesto in cui la propria identità individuale diviene inscindibile da quella collettiva, è una delega del sé alla gang.

Ed è chiaro su un punto: «il ripudio della mascolinità violenta è l’assassinio dell’identità maschile».

Androfilo

L’altro concetto veicolato come essenziale è la definizione di un perimetro, di una zona, che a sua volta definisce il gruppo: «È sempre stato un lavoro da uomini, quello di tracciare il perimetro (...) separare noi da loro». Forma una gang, traccia un confine, difendilo: è questa, volendo, la quintessenza della concezione del mondo propria dell’estrema destra. Ed è un lavoro da uomini.

Donovan è però un personaggio controverso, anche in seno alla destra radicale: omosessuale, rifiuta di essere definito gay – in quanto, a suo dire, quella parola ha un portato ideologico progressista – e preferisce dirsi “androfilo”, in una esclusione totale non solo della femminilità da sé, ma anche delle donne dalla vita ideale di un uomo.

Tornano alla mente alcuni ambienti delle Sa, le "camicie brune" che furono il primo gruppo paramilitare del partito nazionalsocialista tedesco, in cui l’omosessualità era la norma.

Un progetto politico

Questa idea di mascolinità – opposta, complementare, totalmente duale alla femminilità – che impone una protezione e quindi un controllo sulle donne, inseparabile dalla fisicità e dall’aggressività, deve svolgersi all’interno di un gruppo esclusivo e gerarchico.

Al tempo stesso la mascolinità è dipinta come vittima, fiaccata dal progresso, indebolita dal progredire dalle lotte di emancipazione femminili.

La mascolinità nel neofascismo è quindi parte di un progetto politico, uno strumento necessario – anche dal punto di vista pratico, dell’organizzazione interna – alla realizzazione della struttura sociale desiderata. È cioè un’idea di mondo, il mondo dei maschi.

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