Qualche giorno fa, dopo aver pubblicato un post sul mio account Instagram in cui parlavo dell’argomento di cui sto per scrivere, qualcuno mi ha accusato pubblicamente di essere un pedofilo.

Se volete dare un occhiata, il commento è ancora lì. L’utente è stato bannato e segnalato e ovviamente esistono gli estremi per una denuncia per diffamazione che, come sappiamo, è un reato penale.

Instagram ha un algoritmo incredibilmente efficiente quando si tratta di individuare un seno nudo nelle foto postate ma nessun meccanismo di intervento verso chi scrive “siete dei pedofili”.

Più o meno nello stesso momento l’anchor men di Fox News Tucker Carlson, uno che sostiene la lobby delle armi, che dice che l’aborto andrebbe abolito e che l’invasione dell’Ucraina è un atto lecito, ha detto in televisione che Balenciaga, attraverso una ormai famosissima campagna pubblicitaria, favorisce l’abuso di minori e ha fatto capire che il marchio potrebbe fare parte di un gruppo di potenti pedofili, esteso a livello mondiale, che si proteggono tra di loro.

Il fact checking e gli attacchi

Anche in questo caso non esistono meccanismi di difesa, di fact checking o possibilità di replica perchè Fox News è un canale televisivo che parla a chi, come il mio follower, non riflette, reagisce d’istinto, sente di avere fedi incrollabili e si lascia invece facilmente trascinare dagli tsunami mediatici con una capacità di intervento pari a quella di un pesce rosso.

Per capire come mai uno dei più portanti (e fino a pochi giorni fa stimati) brand del lusso è finito sotto l’attacco simultaneo di migliaia di persone, giornalisti, media e celebrities bisogna osservare attentamente due foto.

La prima è una campagna per i regali di Natale scattata da Gabriele Galimberti che raffigura bambini, circondati da una serie di oggetti, che tengono in mano degli orsetti di peluche vestiti con paramenti fetish, avvicinabili al mondo Bdsm, pratiche sessuali che hanno a che vedere con la sottomissione, il bondage, il sadomasochismo.

Gabriele Galimberti è un fotografo che raramente lavora con la moda e che al suo attivo ha una serie di fotografie chiamata The Ameriguns, in cui racconta l’amore feticistico delle tranquille famiglie della provincia americana per le armi e una che si chiama Toy Stories, in cui bambini di tutto il mondo vengono raffigurati vicini ai loro giochi, a volte poverissimi, a volte molto ricchi, a volte molto strani. In entrambi i casi l’occhio di Galimberti (che è uno che lavora per testate come il National Geographic) nell’osservazione fredda e cruda della realtà crea uno spaesamento che ci permette di osservare la criticità nella rappresentazione di un’allegra famigliola con un arsenale di fucili da fare invidia a Rambo o di un bambino i cui gli unici giochi sono pistole finte.

In questa visione problematica dell’infanzia, la campagna di Balenciaga (che riproduce quasi esattamente le foto della serie Toy Stories) inserisce un elemento come il peluche con cinghie di pelle che, da un punto di vista meramente semiotico, dice esattamente le stesse cose delle foto di Galimberti, pone cioè la domanda su cosa succeda quando l’idea di innocenza stessa viene sottoposta a pressioni culturali ingestibili.

Non quindi un inno alla pedofilia ma probabilmente il contrario. Un modo per raccontare certe forti idiosincrasie della società attuale che per esempio fa diventare i bambini protagonisti dei profili social di molte celebrity senza alcun assenso da parte loro e spesso senza nessuna preoccupazione di protezione.

Foto più difficili

Esistono poi un altro paio di foto più difficili da decriptare e che proprio per questo hanno portato le teorie cospirazioniste di chi crede che non siamo mai atterrati sulla luna o che l’11 Settembre sia stato provocato dalla Cia a livelli planetari.

La prima ritrae l’attrice Isabelle Huppert in un ufficio mentre sulla scrivania si vede chiaramente un libro dell’artista belga Michaël Borremans. I dipinti di Borremans, esposti nei più importanti musei del mondo, usano un approccio pittorico tradizionalmente figurativo e romantico per raffigurare una realtà contraddittoria, violenta, profondamente introspettiva e allo stesso tempo universale. In alcuni suoi quadri sono raffigurati bambini apparentemente coperti di sangue che giocano con arti umani che, come dice il suo gallerista David Zwirner, insinuano un’idea di violenza senza mostrarla realmente ma costringendo la nostra mente ad attivarsi e prendere una posizione. Si chiama arte. L’hanno inventata migliaia di anni fa ma la sua teorizzazione è piuttosto recente e evidentemente ancora non del tutto popolare.

L’ultima foto dello scandalo infine rappresenta una borsa di Balenciaga appoggiata ad alcune pagine della sentenza della Corte Suprema americana del 2008 U.S vs Williams che dice che la proibizioni dell’uso di immagini contenenti pedopornografia non viola la libertà di espressione sancita dal Quinto Emendamento e deve quindi essere punita. In questo caso direi una posizione piuttosto netta sul tema.

La provocazione

Mettendo insieme tutto questo materiale senza darsi il tempo di conoscerne l’origine risulta molto difficile capire che l’operazione era volutamente provocatoria, come del resto tutta la linea narrativa di Balenciaga da quando Demna Gvasalia è diventato direttore creativo e che l’intento non solo non è quello di appoggiare la pedofilia ma anzi di mostrare le mancanze culturali che la nostra società ha nei confronti dell’argomento.

Non si può però non dire che un certo tipo di contenuti quando escono dalle mura protettive di un museo e vengono usati in maniera indistinta per fini commerciali e visti da un pubblico spesso non preparato, possono creare fastidio, ansia ma anche disgusto, repulsione o dolore. Questo è non solo possibile ma probabile e in qualche maniera avrebbe dovuto essere prevedibile da parte dello staff di Balenciaga e del suo direttore creativo.

Le scuse

Mentre sto scrivendo questo articolo arriva peraltro la prima ufficiale risposta proprio di Demna che, oltre a scusarsi, dice chiaramente di essere consapevole di avere oltrepassato la soglia dell’accettabilità anche se il suo lavoro è proprio fondato su quello, cioè sull’idea di superamento del limite di ciò che si può dire o fare dentro un progetto commerciale.

Da questa ennesima tempesta mediatica che coinvolge il mondo della moda si possono ricavare almeno un paio di insegnamenti.

Il primo è che ciò che può essere detto e ciò che non può essere detto pubblicamente, fuori o dentro un’iniziativa commerciale, viene spesso stabilito dagli umori della massa indistinta degli utenti dei social molte volte guidati da troll, cioè personaggi che intenzionalmente fanno crescere il livello di conflitto senza che ci sia un reale motivo. Quando l’onda mediatica raggiunge proporzioni ingestibili il pensiero delle persone va quasi unilateralmente in quella direzione e non sembra più possibile opporsi, anzi sembra un’impresa pericolosa, per non dire mortale.

Se la destra estrema americana è entrata in questa discussione politicizzandola e usandola come arma contro i democratici è evidente che il fortissimo richiamo della notizia ma anche la sua facile mal interpretabilità sono diventati l’ennesima arma potente del retrivo pensiero dei trumpiani ormai delusissimi.

La verità è cioè stata frantumata e riplasmata per generare il massimo del livello di controversia, per impedire ogni riflessione seria, per sovrastare la realtà con un pensiero unico dominante che sbatte i colpevoli in un angolo e vince ai punti.

Messaggi sociali

La seconda questione riguarda quanto sia possibile usare un progetto commerciale globale come Balenciaga (ma ne abbiamo parlato anche per Gucci che si è recentemente separato dal suo direttore creativo Alessandro Michele) per fare passare messaggi sociali o politici a volte fortemente divisivi.

Demna Gvasalia, lui stesso rifugiato di origine georgiana, aveva messo in scena negli ultimi due show delle rappresentazioni della guerra, costringendo stampa e compratori a riflettere su argomenti di fatto molto lontani da una borsa da duemila euro.

Quando contenitore e contenuto, come in questo caso, sono così lontani, la loro dissonanza può diventare un elemento narrativo interessante ma può anche minare la credibilità del messaggio. L’unica cosa in grado di sostenere le scelte fatte e probabilmente anche l’unico modo per salvare marchio e azienda dai contraccolpi finanziari di caos come questi è l’intervento diretto della persona che ha pensato tutto, che ha creato questa linea di pensiero e di espressione visiva: il direttore creativo.

Il fatto che la risposta di Demna sia arrivata con così grande ritardo, dopo che Balenciaga aveva detto di voler denunciare chi aveva prodotto il servizio fotografico (quindi tentando malamente di deresponsabilizzarsi), è sintomo che nella moda, e forse in generale, non esiste nessuna abitudine al confronto pubblico.

Per quanto la relazione che si instaura tra cliente, marchio e direttore creativo sia decisamente umana e i codici espressivi siano direttamente collegabili al pensiero di una persona e non ad una strategia di marketing, di fronte ad una tempesta mediatica di queste proporzioni le risposte sono sempre poco convincenti e soprattutto molto poco personali. È molto probabile che questi esempi, sempre più frequenti, costringano le aziende a valutare interventi più efficaci, veloci e soprattutto più sinceri.

Anche se spesso non ce ne accorgiamo, viviamo in tempi in cui la comunicazione, a qualsiasi livello, è estremamente pervasiva e lavora sull’immediatezza e sul conflitto per evitare confronti approfonditi. Noi utenti siamo spesso trascinati dentro vortici in cui manca un senso centrale e non riusciamo a mantenere una giusta distanza che ci dia lucidità di giudizio.

È necessario, credo, ricordarsi sempre di mettere in moto schemi di difesa critica, di riflessione e di discussione che sono l’unico strumento di protezione possibile per non finire ad affogare nel regno del vago, dell’indistinto, del falso ma sarebbe anche giusto che gli stessi meccanismi, prima, durante e dopo la valutazione di un progetto creativo, venissero messi in campo da chi vuole percorrere la strada difficile del pensiero libero, della provocazione, del cambiamento.

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