Luca Bizzarri oltre ad essere un artista eclettico – attore, presentatore, comico, da un po’ di tempo anche presidente della fondazione del Palazzo Ducale di Genova – è anche un pensatore indipendente, come sanno bene i suoi follower su Twitter, un social network quasi del tutto immune all’intelligenza che però Bizzarri riesce spesso ad illuminare con una battuta, un’affermazione, una parola libera.

Arriva ora in libreria con Disturbo della pubblica quiete,  il suo primo romanzo ambientato nella notte di una Genova mai nominata direttamente. Una vicenda che nasce da uno dei consueti eccessi italiani di burocrazia e diventa un viaggio nei vicoli e nelle vite nascoste della città. Della tensione fra un carattere libero, pragmatico, poco ideologico e la realtà del moralismo digitale in cui ci troviamo sempre più invischiati è indicativa anche la prima scena del libro in cui un poliziotto piuttosto che portare in questura e segnalare un ragazzo trovato con un paio di canne in tasca gli offre come alternativa una piccola punizione corporale: una “biccellata” all’orecchio.

«In quella situazione è il punto di partenza ad essere assurdo, il fatto che avere due canne in tasca presupponga un arresto, quello che succede dopo è quindi una concatenazione di assurdità. L’idea mi è venuta da una storia vera di un poliziotto della stradale che tanti anni fa, ormai è una vicenda andata in prescrizione, si metteva il sabato sulla Doria-Creto, una strada qui vicino a Genova dove andavano i motociclisti a fare le gare. Facevano le multe ma non cambiava niente, quindi dopo un po’ si è stufato e si è messo ad offrire una scelta, o la multa o un colpo di paletta sulle mani, perché così si sarebbero ricordati di lui molto di più. Mi ha detto che tutti sceglievano la paletta».

Oggi una scelta del genere sarebbe impossibile, basterebbe un telefono nei dintorni per finire immediatamente sulla barra destra di qualche giornale. La propensione a portare il mondo sui social non è però estranea nemmeno a Bizzarri: «Ho anche io questo istinto, quello della risposta soprattutto, quando leggo una cosa che è una scemenza urlo che è una scemenza. Io poi ho proprio degli haters che qualsiasi cosa pubblichi non vedono l’ora di dire che sono una merda, con loro mi diverto perché mi fanno sentire intelligente, alcuni sono veramente dei minus habens che ti insultano senza aver capito che stai dicendo l’esatto contrario di quello per cui ti attaccano. Oggi ho pubblicato una parodia di Report che abbiamo fatto a Quelli che il Calcio e sotto è nata una discussione su quanto sia attendibile Report come trasmissione».

Bizzarri ha avuto per un giorno le chiavi dell’account Twitter di Carlo Calenda, politico attivissimo su Twitter, dove pare perennemente impegnato a rispondere a questo o quel commento di utenti sconosciuti. «Io voto per la mozione “cancellare tutti i social personali” a chi ha un ruolo istituzionale. Una volta mi sono battibeccato per quarantotto ore con Gasparri, ma lui non poteva vincere perché era vicepresidente del Senato e io invece un comico. Il problema è farglielo capire. Viviamo nel regno della vanità e sui social ci si sta per questo, è bello vedersi seguiti, “cuorati”, “likati”, sono un grande fan della pagina “io professione mitomane” proprio per questo. Però la vanità è esattamente il contrario del ruolo e del rigore che devono avere le istituzioni, io farei una legge che se fai politica sui social non ci puoi stare».

Essere seguiti sui social è comunque una forma di potere, seppur forse sopravvalutato. Bizzarri al momento ha un milione e mezzo di follower su Twitter. «Ma credo che molti siano finti, Gianluca Neri mi aveva aiutato a fare un’analisi e forse il 30 per cento erano veri, da buon genovese credo di essere credibile quando dico che non ne ho mai comprato uno, non so bene come funzioni ma quando hai molti follower in automatico molti sono finti».

Incentivi alla polemica

I social forniscono anche un gigantesco incentivo ad innescare polemiche, a puntare il dito. Assieme al suo socio di sempre Paolo Kessisoglu, Bizzarri realizzò a ottobre 2001, poco dopo l’attentato alle due torri, un famoso sketch con Osama Bin Laden: non è però convinto che oggi sarebbe ancora possibile fare una cosa del genere.

«Oggi l’indignazione ha un grilletto facilissimo e purtroppo poi c’è chi dà retta a questa indignazione, il problema non sono tanto il signor Mario o la signora Maria che scrivono su Twitter, quanto che se cinquanta persone scrivono “vergogna” sui social poi ci sono dei giornali che titolano “tempesta social” e in realtà sono appunto cinquanta persone. Il problema dell’indignazione è un problema inventato, non è reale. Durante le riunioni con gli autori discutiamo delle possibili reazioni a quello che vogliamo fare, ci stiamo attenti e ciò nonostante spesso succede un casino lo stesso. Se tocchi le tifoserie ad esempio sei finito, poi anche la politica …l’indignazione sembra uno sport nazionale ma sono appunto sempre questi pochi che si indignano. È un po’ come i siti di meteorologia, nessuno clicca quando dicono che c’è sole, si clicca quando prevedono le nevicate. La regola del click è prospettare la tragedia».

Bizzarri è abituato a sentirsi definire comunista, leghista, renziano, grillino, di destra, di sinistra: «Me ne hanno dette di tutti i colori perché non si riesce a pensare che uno possa semplicemente vedere le cose e cercare il lato comico, no, deve essere per forza schierato».

In un paese di partigianerie e consorterie non è facile essere dei pensatori indipendenti: «Ho avuto un buon maestro in mio padre, anche lui è un piantagrane e lo era quando ancora non c’era internet. È uno con cui si discute amabilmente ma quando ha una posizione è difficile fargliela cambiare. E comunque a me lo scontro dialettico diverte molto».

Nel romanzo uno dei personaggi ha un momento di verità – e di disillusione – quando si rende conto in cosa consista davvero la professione che ha scelto per la sua vita, una sensazione che Bizzarri pur avendo avuto una carriera molto importante conosce bene: «A 15 anni volevo fare l’attore di teatro, volevo essere Gabriele Lavia non presentare il festival di Sanremo, ho fatto l’accademia… pensavo che riuscire nel mio mestiere sarebbe stata la realizzazione della vita, purtroppo ti rendi conto quando le cose le raggiungi che aperta una porta dietro ce n’è un’altra e non c’è mai fine, non c’è mai la via di uscita che ti faccia sentire in pace con te stesso. O per lo meno la strada giusta non è quella della realizzazione personale».

Nel libro Bizzarri cita la scena finale di American Psycho di Bret Easton Ellis, quella in cui il protagonista scopre per l’appunto che non esiste una via d’uscita. «Uno dei primi monologhi che ho recitato in teatro era proprio su American Psycho, un testo che quindi conosco bene. In Lunar Park e in White, Ellis parla di quando ha scritto quel romanzo e leggendo quelle pagine ho avuto la conferma di quello che avevo sempre sospettato, ovvero che quella storia di serial killer nasce dall’urlo di disperazione di una persona che non ha mai ucciso una mosca e sta dicendo “sono qua, sono vivo, per favore guardatemi”. La cosa terribile di quel libro è quando lui confessa tutti quei reati terrificanti e tutti continuano a non guardarlo lo stesso: non trova un senso nemmeno in quello. Mi sembra anche un ritratto della mia generazione, la prima generazione per cui non c’erano i dogmi, il matrimonio, la famiglia, noi il senso delle cose abbiamo fatto fatica a trovarlo. La mia felicità oggi sta nell’eremitismo, sto diventando un frate benedettino: ora et labora».

Non ci sono buoni e cattivi

In Disturbo della pubblica quiete non ci sono buoni e cattivi: «Questa è una cosa che mi ha insegnato il teatro: non puoi interpretare bene un personaggio se lo giudichi moralmente, perché le persone non sono così, Adolf Hitler non credo fosse cosciente di essere una bestia disumana, credo che avesse delle giustificazioni molto valide dentro di sé per quello che stava facendo. Poi è una bestia disumana, ma visto da fuori, non visto da dentro. Mi ricordo un articolo di Romolo Rossi su Donato Bilancia in cui sosteneva che una parte atroce come quella di Bilancia esiste in ognuno di noi, ma grazie a Dio la riusciamo a tenere a bada. È utile saperlo quando ti viene voglia di giudicare, per questo cerco sempre di farlo il meno possibile».

Tratto da PDR Il podcast di Daniele Rielli, disponibile su YouTube, Spotify, Apple e Google Podcast

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