Come ogni regime, il fascismo non è qualcosa che può instaurarsi da sé con grida e colpi di forza. Neppure un premierato ad alto tasso decisionistico potrebbe, da sé solo, fare da veicolo per un regime autocratico. Perché si affermi come tale, un’autocrazia necessita di un lavorio costante sul piano della cultura politica di un paese.

Come la storia dei totalitarismi del primo Novecento dimostra, nessuna delle idee nazifasciste poteva vantare un carattere di piena novità.

Il nazifascismo era piuttosto una collezione di idee diffuse da tempo e tra loro in tensione, che rimandavano a miti romantici, visioni caricaturali di un passato antico, richiami a fantasie ancestrali, aspirazioni futuriste, concezioni stereotipate della razza, trabocchi antimoderni, esaltazione dei movimenti rivoluzionari, spinte controrivoluzionarie, solido sostegno alle chiese, pastiche di superstizioni e millenarismo occultista.

L’intuizione più efficace del nazifascismo del secolo scorso fu proprio quella di far penetrare una tale serie ibrida di idee contraddittorie in diversi settori della cittadinanza e delle istituzioni, per presentarsi in modo diverso a pubblici diversi.

L’essenziale, per i leader dei movimenti e partiti fascisti d’Europa, era proprio non avere alcuna ideologia consolidata e riconoscibile, ma contare su una congerie di idee cangianti e flessibili, dotate della capacità tipica degli animali che si mimetizzano con l’oggetto su cui poggiano per meglio schermarsi e poi attaccare.

L’idea, come Mussolini e Franco rivendicavano, non precede, bensì segue l’azione. In tal modo, volta per volta, si potrà sfornare l’idea che più fa al caso.

Tecnica di penetrazione

Per questo, il fascismo non è di per sé né mera violenza né pura ideologia. È una tecnica di penetrazione che sfrutta sapientemente le proprie contraddizioni.

Lo fa per penetrare sia nelle istituzioni, quando mostra le sembianze del risolutore deciso e affidabile, sia nelle coscienze della popolazione, quando alza i toni per sfruttare la natura passionale degli animali che sempre siamo.

Ben al di qua di ogni balcone aggettante, come di ogni invaso norimberghiano (sia chiarissimo per rispetto della storia e del ridicolo), è su questa mescolanza di tecniche anarmoniche che sembra voler contare il governo Meloni, molto probabilmente senza alcun piano, perché la tecnica prende sempre la mano e sa porsi a guida di chi l’applica.

La necessità primaria del governo sembra quella di creare una tensione produttiva tra affidabilità simil liberale e rigurgiti di reazione. Ad esempio, tenere assieme il volto calmo dell’atlantismo e quello rabbioso del richiamo alle radici, alla Patria e alla religione; garantire le libertà classiche del liberalismo e negare al contempo la dignità di qualsiasi alternativa alla famiglia eterosessuale, sedicente naturale.

Il camaleontismo, allora, non è una contraddizione che possa esser rimproverata alla destra o a chi del governo inscena ora l’una ora l’altra parte.

È piuttosto il pezzo sofisticato di una tecnica che funziona proprio in virtù delle sue inconciliabilità. E non solo: è una tecnica che, quando esalta il contrasto interno, riesce a eccitare le contraddizioni degli avversari.

Così, la sinistra dichiara di saper conciliare – o di voler conciliare, quando fa valere un quantum di principio di realtà – diritti civili e diritti sociali, rifiuto della guerra e lotta a fianco dei paesi minacciati dalla Russia, accoglienza e sicurezza. Insomma, la sinistra sembra inconsapevolmente farsi carico di tutte le contraddizioni della destra, rovesciarle di segno, e promettere poi che queste saranno sciolte in ragione del tradizionale e irenico mito compositivo dell’ulivismo.

Così non è, però. È inevitabile che diversi diritti siano tra loro in tensione, come le scelte sullo scacchiere internazionale, come le differenti idee su cosa sia famiglia e cosa natura.

All’opposto della tecnica di penetrazione utilizzata dalla destra, i diversi pezzi della sinistra dovrebbero dotarsi di una piattaforma di idee e proposte riconoscibili e ferme e, sulla base di esse, avviare tra loro forme di negoziazione per giungere a una piattaforma condivisa.

Risolvere

Vivere di contraddizioni, senza però saperle sfruttare, o persino riconoscere, alla fine non paga. Denunciare le contraddizioni altrui, mentre però ci si convince di poter risolvere quelle proprie con sorrisi e buoni intenti, nutre le divisioni.

La capacità di dare indirizzo politico è anche capacità di riconoscere le tensioni e di risolverle in un senso o nell’altro, rischiando magari che la risoluzione si riveli quella erronea o inefficace: càpita, si chiama “politica”.

Di tale natura ferma e riconoscibile fu l’indirizzo direttivo e insieme compositivo che le forze politiche del Secondo dopoguerra seppero dare al progetto di paese.

Queste forse non credettero mai fosse possibile alcun arcobaleno delle idee, e si tennero piuttosto ferme a principi e convincimenti che ciascuna forza riteneva inderogabili, e solo da questi, e per la forza vincolante di questi, seppero ritrovarsi in una piattaforma di Costituzione materiale che seppe dare un impulso vitale in grado di irradiarsi per mezzo secolo e più.

Insomma, quando la destra finge di vincolarsi alle idee forti delle tradizioni immarcescibili, mentre all’opposto alimenta e sfrutta le contraddizioni più patenti, la sinistra non deve farsi trascinare sullo stesso campo.

La comprensibile necessità di coalizione non può né deve significare l’illusione conciliativa. Servono poche idee, chiare, in grado di indicare delle priorità e al contempo delle rinunce.

A partire da una tale chiarezza, per elisione e ponderazione, si potrà raggiungere una piattaforma condivisa, benché minimale, in cui nessuna forza rischia di scolorare nell’altra.

Forse è questo il momento costituente della sinistra in cui far valere il senso di una scelta che è anche sempre una scommessa e dunque anche sempre un azzardo.

Occorre individuare i valori costitutivi che rendono riconoscibili, quindi votabili, le diverse anime di una coalizione. Quest’attitudine franca e decisa è il modo migliore per disinnescare la concorrenza interna e al contempo alimentare una cultura politica pluralista e consapevole, unico antidoto davvero efficace alla diffusione di più o meno temibili pulsioni autocratiche.

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