Con le nuove norme dell’antico Sant’Uffizio per il «discernimento di presunti fenomeni soprannaturali» la chiesa cattolica si muove ancora una volta in questa spinosa materia tra l’approvazione, rara e piuttosto cauta, e la condanna, ora più stemperata rispetto al passato.

Di fronte a questi episodi – in stragrande maggioranza apparizioni mariane, come quelle improbabili di Trevignano – la burrascosa navigazione tra Scilla e Cariddi dell’organismo dottrinale della curia romana vorrebbe trovare criteri più sicuri rispetto al passato. Ma l’impresa resta difficile.

Per valutare questi fenomeni significativo è il passaggio dalle precedenti formule tradizionali tra loro opposte – «risulta il carattere soprannaturale» (constat de supernaturalitate) oppure «non risulta il carattere soprannaturale» (non constat de supernaturalitate) – a ben sei valutazioni possibili formulate in latino, anche se le norme sono state pubblicate soltanto nelle sette principali lingue d’uso europee.

Regole farraginose e sfuggenti

Davanti a un fenomeno ritenuto soprannaturale l’organismo ha dettato regole talmente sfumate da risultare farraginose e sfuggenti. Si scende così – in successione digradante – dall’approvazione, pur prudente e provvisoria (nihil obstat), alla necessità di tenere il fatto sotto osservazione (prae oculis habeatur), al non incoraggiamento per cercare di rimetterlo in carreggiata (curatur), all’affidamento al vescovo del luogo per trovare una soluzione (sub mandato), alla proibizione di aderirvi (prohibetur et obstruatur) e, infine, alla sua riprovazione (declaratio de non supernaturalitate).

Solo il papa potrà dichiarare un fenomeno soprannaturale, ma non è certo la novità sottolineata da diversi giornalisti alle prese con la confusione delle nuove norme. Di fronte a queste viene piuttosto in mente un paragone irriverente, e cioè la gradazione dei giudizi che erano formulati in Italia dal Centro cattolico cinematografico sui film che andavano nelle sale: per tutti, per adulti, per adulti con riserva, sconsigliati ed esclusi.

In sostanza si conferma la tradizionale diffidenza della Santa sede, come quella adottata negli ultimi anni, tra pareri contrastanti, per le apparizioni di Međugorje, che sarebbero in atto dal 1981, una circostanza senza precedenti: non approvazione esplicita ma tolleranza – di fatto un incoraggiamento – della devozione, che ha assunto proporzioni imponenti e trasversali.

Le difficoltà che si addensano in quest’ambito spiegano il parto faticoso delle nuove norme. Le precedenti vennero approvate in forma riservata nel 1978 (ma furono pubblicate solo nel 2011) e la loro revisione è costata cinque anni di lavoro.

Fenomeni soprannaturali

I fenomeni soprannaturali sono in prevalenza visioni e si ritrovano nella maggior parte delle religioni e in tutta la letteratura biblica. Negli apocrifi ebraici e cristiani – ma anche in testi islamici, come i libri «della scala» studiati dal prete spagnolo Miguel Asín Palacios – spesso riguardano viaggi nell’aldilà, che hanno ispirato anche Dante.

Al primo medioevo risale l’apparizione dell’arcangelo Michele sul Gargano, santuario molto visitato, e numerosissime sono quelle della Vergine. Ma ci sono visioni che si riflettono nell’iconografia, arrivando fino al cinema: come l’influenza nel medioevo di quelle di Brigida di Svezia per l’infanzia di Cristo o, molto più tardi, di Anna Katharina Emmerick per la Passione: trascritte e pubblicate nel 1833 da Clemens Brentano, queste ultime si ritrovano nel controverso film di Mel Gibson.

Nella prima età moderna le apparizioni iniziano a preoccupare la sede romana e il concilio Lateranense V chiede nel 1516 che siano esaminate dal vescovo locale prima di essere sottoposte a Roma. Su questa linea si sviluppano le riflessioni teologiche – e di conseguenza giuridiche – che distinguono nettamente la rivelazione pubblica, cioè quella contenuta nella Bibbia, da quelle che vengono definite private.

Secondo una distinzione ribadita nel 2000 dal cardinale Ratzinger nel suo commento alle apparizioni di Fátima: la prima «esige la nostra fede», le seconde possono essere «un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso».

Insomma, «la chiesa non si governa a forza di apparizioni e di rivelazioni particolari» e soprattutto «non conferma mai dei veggenti ma i credenti: riconosce dei luoghi di pellegrinaggio e di rinnovamento della fede, ma si pronuncia molto raramente sull’autenticità delle “apparizioni” che li hanno fatti nascere». Così il cardinale Roger Etchegaray nel Dizionario delle «apparizioni» della Vergine Maria (Edizioni Art, curato da René Laurentin e Patrick Sbalchiero con l’aiuto di Sylvie Barnay), dove sono censite ben 2.400 apparizioni. Ben poche sono però quelle ritenute attendibili e in qualche modo riconosciute.

Da Guadalupe a Fatima

Ad aprire le apparizioni mariane dell’età moderna è nel 1531 quella di Guadalupe, nella Nuova Spagna coloniale, l’attuale Messico. Il veggente è un indio, il vedovo Juan Diego, e in nahuatl (una delle lingue azteche) si conserva il più antico racconto del fenomeno. Il culto è precoce e popolarissimo, finché nel 1946 la Madonna di Guadalupe viene proclamata da Pio XII patrona delle Americhe. Poi per tre volte Giovanni Paolo II visita il santuario messicano, dove nel 2002 canonizza il visionario.

Sono però in Europa le più discusse apparizioni. Del 1846 è quella francese della Salette, trascurata da Pio IX ma all’origine di un culto molto controverso «reinventato da intellettuali e occultisti», come ha sintetizzato Lucetta Scaraffia. Seguono nel 1858, sempre in Francia, le apparizioni di Lourdes che arrivano quattro anni dopo la proclamazione del dogma dell’«immacolata concezione», cioè la credenza secondo la quale Maria sarebbe preservata dal peccato originale.

Risalgono infine al 1917 quelle – più politiche – di Fátima, in Portogallo, legate a due «segreti» al centro per decenni di dicerie e speculazioni che hanno coinvolto la «consacrazione» della Russia, una visione dello stesso Pio XII e l’attentato a Giovanni Paolo II. Le apparizioni portoghesi coinvolgono tre bambini e il secondo segreto viene scritto dall’unica superstite dei veggenti fattasi suora carmelitana, Lucia dos Santos. Le prime due parti del testo sono del 1935: rese note nel 1941, riguardano la visione dell’inferno e la devozione al «cuore immacolato» di Maria, connessa alla consacrazione della Russia. La terza – risalente al 1944 e inviata in Vaticano nel 1957 – costituisce il cosiddetto terzo segreto di Fátima, che è stato pubblicato nel 2000 e comprende la visione dell’uccisione di un papa e di molti fedeli.

A questa storia, che si è intrecciata con le due guerre mondiali e con l’anticomunismo della Guerra fredda, ha posto fine Giovanni Paolo II con la pubblicazione del testo e del commento di Ratzinger. Il senso del messaggio di Fátima non è, secondo il teologo tedesco, quello di svelare «eccitanti rivelazioni apocalittiche sulla fine del mondo o sul futuro corso della storia», ma quello di «mobilitare le forze del cambiamento in bene».

Ridotto in fin di vita nel 1981 dall’attentato del 13 maggio, in coincidenza con la data della prima apparizione mariana ai piccoli veggenti portoghesi, il pontefice attribuisce la sua salvezza alla Vergine di Fátima. «Fu una mano materna a guidare la traiettoria della pallottola e il papa agonizzante, trasportato al policlinico Gemelli, si fermò sulla soglia della morte» scrive tredici anni dopo, in terza persona, lo stesso Wojtyła.

Devoto di Fátima, ai tre «pastorelli» portoghesi si era di fatto unito come veggente Pio XII. Tra il 30 ottobre e l’8 novembre 1950 – poco prima e poco dopo la proclamazione del dogma dell’«assunzione» di Maria in cielo – il pontefice vede ripetersi per quattro volte il prodigio del sole avvenuto a Fátima. A rivelarlo pubblicamente nello stesso santuario è, il 13 ottobre 1951, l’inviato papale, il cardinale Federico Tedeschini, e in Italia la vicenda viene rilanciata sulla Domenica del Corriere del 28 ottobre successivo con una riuscita copertina disegnata da Walter Molino.

Tre anni dopo, un’altra visione di Pacelli è fatta filtrare alla stampa e confermata dopo la sua morte da uno dei suoi collaboratori più disincantati, Domenico Tardini, che il 2 dicembre 1954 annota – subito dopo un incontro con il papa, allettato per una malattia – le parole riferitegli da Pio XII: «Questa mattina, mentre assistevo alla santa messa, io ho visto per un attimo il Signore. È stato un attimo, ma io l’ho visto bene». E aggiunge il prelato: «Esco alle 13.30 molto turbato».

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