Questo testo è un estratto dal libro SuperTele – Come guardare la televisione, a cura di Luca Barra e Fabio Guarnaccia, edito da Minimum Fax

Da Tolleranza Zoro a Propaganda Live

La fruizione televisiva è un rito collettivo. Lo era agli esordi, quando gli spettatori si ritrovavano al bar per un’esperienza simile a quella cinematografica, e lo è ancora oggi che in apparenza il rito sembra essersi evoluto in un consumo più individuale che collettivo. Anche se il pubblico non sempre accende la tv contemporaneamente alla stessa ora per vedere un programma come accadeva fino a poco tempo fa, ci sono altri luoghi reali e virtuali di ritrovo, in primis i social network.

Quella che ruota intorno a Propaganda Live è sicuramente una comunità, che interagisce con il programma stesso e contribuisce a costruirlo. Cominciato nell’autunno del 2017 su La7, Propaganda Live è l’evoluzione di Gazebo (Rai 3, 2013-2017), di cui ha ereditato parte della formula e il team artistico e autori. Presentatore è Diego Bianchi, detto Zoro (anche autore con Marco Dambrosio, produzione Fandango), coadiuvato da un gruppo eterogeneo, a fortissima predominanza maschile.

In onda in prima e seconda serata il venerdì sera, la struttura di Propaganda Live si è abbastanza standardizzata, per quanto non manchino variazioni anche sostanziali: dopo la sua introduzione, Zoro passa la parola a uno degli ospiti fissi, il direttore dell’Espresso Marco Damilano per il suo consueto “spiegone”, cioè la spiegazione dei fatti della settimana; poi è il turno del disegnatore Dambrosio, in arte Makkox, introdotto con la formula «Marco, cosa ti ha colpito questa settimana?». Nel resto della trasmissione, il disegnatore e coautore fornisce uno sfondo disegnato a quanto accade in studio.

Nella prima parte della puntata c’è poi un ospite (talvolta due), sottoposto a un’intervista piuttosto classica, seduta, in genere su uno o più temi di attualità: tra questi, giornalisti come il direttore del Tg La7 Enrico Mentana o l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro, attori come Jasmine Trinca o Fabrizio Gifuni, ma anche musicisti come Nicola Piovani e il vincitore di Sanremo 2020 Antonio Diodato.

Nella terza stagione, gli inserti comici sono di Andrea Pennacchi, detto “il Poiana”, e di Antonio Celenza, specializzato nel doppiare personaggi famosi. Una parte sostanziale della puntata è occupata dai reportage realizzati dallo stesso Zoro da vari luoghi d’Italia e del mondo in coppia con il filmmaker Pierfrancesco Citriniti, mentre sempre fuori dallo studio ci sono le incursioni del cantante Memo Remigi con Leonardo Parata, che fino alla stagione precedente faceva coppia con il tassista Mirko Matteucci “Missouri 4”.

I fatti della settimana e i reportage (talvolta a cura di Matteo Macor o Antonio Bravetti) sono commentati in studio da Francesca Schianchi della Stampa, Paolo Celata del Tg La7, dalla giornalista tedesca Constanze Reuscher e dallo stesso Damilano.

Folto anche il gruppo dei musicisti stabili (la “Propaganda orchestra”), a partire dal cantautore Roberto Angelini, cui a ogni puntata si uniscono ospiti musicali per una canzone o per tutta la durata dello show. A questi elementi più o meno fissi si aggiunge la vasta comunità di persone che intervengono con periodicità varia, dagli operai della Whirpool in lotta per il posto di lavoro agli allevatori sardi, disegnatori (Zerocalcare, Gipi), attori (Valerio Mastandrea), e una giornalista che collabora in particolare sugli esteri, Francesca Mannocchi.

Quello che era il core di Gazebo, e in generale della carriera di Zoro, l’ispirazione e l’interazione con i social e in particolare Twitter, resta spalmato sull’intera puntata, ma ha il momento culmine nella “social top ten” (un best of composto da materiale online) in cui sono commentati status e tweet, spesso per allargare il discorso su un tema con discussioni in studio e collegamenti a materiale registrato. Alla fine, la “var di puntata” (cioè i commenti degli utenti a quanto visto) e il cartone di Makkox chiudono uno show la cui durata supera stabilmente le tre ore.

Un programma, insomma, con una sua identità ormai precisa, fatto per essere fruito sia in diretta, sia recuperato integralmente online o in clip su YouTube, nonostante l’audience della seconda e terza stagione si attesti comunque, nella maggior parte dei casi, sopra la media della rete.

La prima puntata di Tolleranza Zoro, la webserie di Diego Bianchi antenata di Propaganda Live e Gazebo, è del settembre 2007, e inizia con un eloquente «care compagne e cari compagni», a rivolgersi a   quella comunità ideale che ancora oggi esiste. È un one man show, telecamera stretta su Bianchi che si sdoppia in più personaggi, antesignano dei moderni youtuber. 

Bianchi era già una personalità del web, blogger famoso soprattutto per gli scanzonati commenti su YouTube del Grande Fratello.

Zoro è uno di famiglia, commenta in maniera accessibile e chiara, intercalando con immagini che arrivano dalla cultura popolare, pezzi di film e video musicali: questa la cifra di allora che il presentatore si porta dietro fino a Propaganda Live, passando per i programmi di Serena Dandini (2008-2012), ma anche le molte collaborazioni con riviste e giornali, il film Arance e martello (2014), e una discreta quantità di altre cose intermediali di cui è stato protagonista – tra cui Kansas City 1927, pagina Facebook anonima che raccontava le gesta tragicomiche della as Roma di proprietà statunitense.

La dimensione “casalinga” è presente in molte puntate, ma ha acquisito anche più importanza nel corso della crisi dovuta al  Covid-19, arrivando a coinvolgere anche i condomini di casa sua nella creazione di una striscia settimanale, mentre una moderna versione di Tolleranza Zoro diventava parte integrante del programma. I riferimenti al passato e l’esperienza accumulata sono infatti sempre presenti in Propaganda Live, talvolta anche in maniera esplicita.

Il «racconto per immagini»: soggettività, inchieste, servizio pubblico

Una delle caratteristiche principali di Propaganda Live è la lunga porzione, grossomodo collocata nel cuore di ogni puntata, destinata al cosiddetto “racconto per immagini”. È una narrazione documentaria che incrocia uno sguardo sui fatti salienti della settimana con alcuni approfondimenti specifici, presentati sotto forma di inchieste condotte nei luoghi più disparati. Dal punto di vista della forma audiovisiva, lo stile utilizzato è quello di un reportage in soggettiva, con uno spiccato punto di vista sulla dimensione del reale.

È quindi un aggiornamento della classica modalità partecipativa del documentario, nata a partire dai primi anni Sessanta sulla spinta del cinéma vérité, che prevede la partecipazione diretta del regista/autore nell’interazione con i soggetti raccontati. In questi racconti, il soggetto osservante è Zoro, parte integrante della narrazione. Lo spettatore inevitabilmente assume il punto di vista di Bianchi, che riprende in prima persona tutto ciò che accade con un’handycam digitale, lo commenta con considerazioni personali e interviene liberamente nelle interviste ai protagonisti (molto spesso, vere e proprie “guide”, che lo affiancano letteralmente all’interno dell’inquadratura).

In questo meccanismo, la soggettività spettatoriale è interrogata dagli sguardi in macchina continui, come fosse necessario assumere un preciso posizionamento politico dentro al racconto. Le porzioni di inchiesta sono spesso interrotte all’interno del programma per lasciare spazio a commenti esplicativi, in diretta, dello stesso Bianchi, oppure a osservazioni e approfondimenti degli ospiti in studio. Allo stesso modo, Bianchi mette costantemente in scena se stesso all’interno dell’inquadratura tramite la forma del video-selfie. Da un lato, abbiamo un costante rimando all’immaginario social del selfie; dall’altro, l’esito principale di questa messa in scena in soggettiva è proprio una costante autoriflessività, che strizza l’occhio, e allo stesso tempo interroga, gli spettatori del programma.

È proprio il background di videomaker e blogger che permette a Bianchi di prendere in prestito e rimodulare il linguaggio audiovisivo del web per la televisione. È già da Tolleranza Zoro che utilizza questa modalità narrativa: prima concentrato su un gioco di campi e controcampi, in cui lui stesso interpretava personaggi diversi, questa forma finisce per ibridarsi sempre più con quella, più tradizionale, dell’inchiesta televisiva.

Ciò che fa convergere queste due forme apparentemente diverse, una decisamente più satirica e una più d’inchiesta, sono soprattutto due elementi: dal punto di vista formale, il carattere marcatamente soggettivo delle immagini proposte, ma soprattutto la messa in scena esplicita di questa soggettività; per quanto riguarda i contenuti, vi è invece un approccio più “politico”: dai contenuti dei discorsi ricostruiti in una modalità più finzionale (à la Tolleranza Zoro, per intenderci), passando per la presenza fissa in occasione di conferenze stampa istituzionali e incontri con politici locali/nazionali (da cui emerge l’inevitabile vocazione giornalistica alla base del progetto), fino alle storie più intime di immigrazione, subalternità, conflittualità sociali, rintracciate sia in Italia sia all’estero.

Complicando ulteriormente la questione della soggettività, Bianchi ha successivamente utilizzato materiale girato da altri: se è decisiva l’integrazione delle immagini filmate in contemporanea dal partner Citriniti, lo diventano ancora di più le immagini provenienti da (e in alcuni casi commissionate in) varie parti del mondo. Si tratta di un tipo di documentazione che riflette la stessa configurazione visiva da lui adottata (camera a mano, video-selfie, soggettive, sguardi in macchina) e che finisce per costruire uno stile ibrido ma riconoscibile.

Montando materiale di altri videomaker accanto alle immagini girate da lui, utilizzando frequentemente tecniche di montaggio come jump cut e rapidi salti tra contesti diversi, scegliendo personalmente le colonne sonore più adatte a operare raccordi e contrappunti, Bianchi conferma non solo il carattere fortemente soggettivo dei suoi racconti, ma anche la sua natura autoriale, e allo stesso tempo casual, di total film-maker, secondo la fortunata definizione di Jerry Lewis. 

Su questo controllo della forma audiovisiva nella sua totalità (riprese, regia, musiche, montaggio) è utile citare l’esperienza di Pierfrancesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif, che con Il testimone, in onda dal 2007 su Mtv, proponeva un analogo approccio soggettivo e multimediale alla pratica del filmmaking applicata alla tv. Tuttavia, se a caratterizzare l’approccio di Pif è, come ha notato Aldo Grasso, una sorta di «antropologia light» dell’assurdo, dai racconti di Zoro traspare una coscienza politica molto più marcata, attenta in una prima fase all’universo locale della sinistra romana, per poi trascendere su un piano nazionale (si vedano, per esempio, le strategie di recupero della memoria storica della sinistra italiana con le interviste a personaggi come Emanuele Macaluso, Francesco Guccini e Rossana Rossanda, per citare i più recenti).

Inoltre, è indubbio il fortissimo legame di Zoro, come di Pif, con la tradizione delle inchieste giornalistiche «d’assalto». A ben vedere, l’esperienza del gonzo journalism di Hunter Thompson, portatrice di una nuova pratica di giornalismo sporca, libera, volutamente parziale e in prima persona, è probabilmente una delle cifre che più caratterizzano questo approccio soggettivo al reportage. 

Per restare nell’ambito televisivo, l’operazione di Propaganda Live sembra tuttavia procedere verso una vera e propria riattualizzazione della missione originaria del servizio pubblico, come elaborata negli anni Venti da John Reith, fondatore della Bbc: informare, educare, intrattenere. Intesa in quest’ordine di importanza, la triade di Reith è stata subito presa in prestito dai principali servizi pubblici radiofonici europei, per poi essere importata nel dopoguerra anche dai più importanti monopoli televisivi. 

Ed è proprio quella spiccata vocazione al servizio pubblico delle trasmissioni tv della Rai delle origini a essere ripresa e attualizzata da Diego Bianchi nei suoi “racconti per immagini”. I principali riferimenti, anche per l’analoga modalità partecipativa, sono proprio alcune inchieste televisive prodotte dalla Rai a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta. In particolare, viene in mente il modello proposto da Mario Soldati nel Viaggio nella valle del Po (1957), e successivamente in Chi legge? (1960, con Cesare Zavattini), dove l’autore si propone come mediatore tra i pubblici e una realtà a loro sconosciuta e tutta da scoprire (in quel caso, l’Italia). Tramite questi programmi, Soldati crea un vero e proprio personaggio tv attorno a cui finiscono per ruotare tutti i discorsi: sempre presente nell’inquadratura, introduce e commenta in studio ciò che ha raccolto e montato, molto spesso con l’ausilio di una bacchetta da maestro (simile a quella utilizzata da Bianchi nella social top ten).

L’altro modello di riferimento – implicito o esplicito – sembra essere Ugo Gregoretti che, con il suo Controfagotto (1961), riesce a congiungere un nuovo prototipo di satira, irriverente e grottesca, con il genere dell’inchiesta televisiva: Gregoretti rompe totalmente gli schemi formali fino a quel momento codificati, utilizzando in modo disinvolto la macchina a mano, quasi sempre in movimento, e comparendo anche lui all’interno dell’inquadratura, in un costante dialogo con i personaggi intervistati.

La stessa ambizione di assemblare informazione, educazione e intrattenimento in un solo programma caratterizza, dunque, la proposta di Diego Bianchi: riattualizzando la forma pedagogica dell’inchiesta televisiva, Propaganda Live la colloca all’interno di un contenitore d’intrattenimento ma decisamente caratterizzato politicamente.

A ben vedere, l’operazione si colloca sulla scia di quanto già compiuto da Bianchi nelle citate esperienze in Rai. Nello specifico, si tratta di una ripresa di quella tradizione della Rai 3 di Angelo Guglielmi, nata alla fine degli anni Ottanta come nuovo modello di tv-verità, servizio pubblico con taglio progressista e intrattenimento «di qualità» con una forte attenzione nei confronti delle rinnovate esigenze della audience. Lo stesso spirito, potremmo dire, ravvivato da Andrea Salerno come produttore e autore di punta di molti programmi di Rai 3, tra cui tutti quelli di e con Diego Bianchi, e trasferito nella sua recente esperienza di direttore di rete di La7, dove ha poi finito per “dislocare” l’intero gruppo di Gazebo.

Nella foto: Andrea Salerno, Diego Bianchi, Marco Dambrosio (LaPresse)

La community e il coinvolgimento delle audience

Propaganda Live si basa su una forte intermedialità, con la social top ten, gli hashtag proposti in diretta, e infine la var di puntata, cioè lo spazio a fine trasmissione per i commenti sullo show. Ma la vasta comunità di spettatori interviene anche in altri modi: è mobilitata – o si mobilita spontaneamente – in occasioni particolari, mandando video e raccontando storie che sono parte integrante del programma. Sui social sono attivi gruppi di fan come Propaganders in the world (quasi 12.000 membri su Facebook, anche se il gruppo non sembra più attivo), mentre la pagina del programma supera i 385.000 follower su Facebook e i 275.000 su Twitter.

È insomma un lavoro di unione di componenti televisive e social, di partecipazione attiva del pubblico e di impronte autoriali. Se la community online è fondamentale, non è da meno la presenza in studio. Ci sono lunghe liste d’attesa per partecipare al programma (il pubblico è naturalmente volontario, non pagato), trasmesso live dal Teatro 2 degli Studios International di via Tiburtina a Roma, con una scenografia che ricorda una grande nave. Il primo pubblico del programma è quindi quello in studio, con cui conduttori e ospiti interagiscono sempre. Molti applausi, a differenza di tantissime altre trasmissioni, sono spontanei e non coordinati. L’orchestra addirittura suona alcune canzoni, prima di cominciare e nei break, e Bianchi interagisce con il pubblico in studio a telecamere spente.

Ma anche durante il live il pubblico in studio è parte integrante dello show: partecipa a sondaggi estemporanei, alzando le manine di plastica che sono fornite a tutti all’ingresso, volontari sono saltuariamente invitati sul palco, e in diverse occasioni Bianchi passa il microfono a membri del pubblico per intervenire. Questo potrebbe far pensare a un controllo attivo e intenso, a delle istruzioni costanti e precise: non solo questo non avviene, ma al contrario l’atmosfera è molto rilassata e scanzonata, si accede come a un teatro off vicino casa, autori e responsabili del programma danno pochissime gentili indicazioni, autori e protagonisti chiacchierano e si fanno selfie con i fan. Il pubblico si siede vicinissimo ai conduttori, gli ospiti (fissi e occasionali) sono in mezzo al pubblico. Si ha, davvero, il senso della community, di traslare una comunità tv e social in un incontro dal vivo.

Se Gazebo tradiva ancora un’impostazione piuttosto romanocentrica, Propaganda Live ha lentamente perso questa caratterizzazione locale, e anche il pubblico in studio viene da zone diverse d’Italia. Andare in studio a vedere una puntata è innanzitutto un modo per trovarsi in mezzo ai propri simili. Si tratta, insomma, di vari modelli e tipologie di audience che vanno a comporre questa comunità: il pubblico in studio, quello a casa in diretta, il pubblico che recupera le puntate in streaming sul sito di La7 o anche su YouTube, e che si ritrova sui social per commentare, discutere, partecipare, direttamente o indirettamente, al programma.

Una televisione ibrida e intermediale

L’esperienza di Propaganda Live rappresenta, dunque, un unicum nel panorama della televisione italiana di oggi. La capacità di tenere insieme dimensione politica e approccio satirico, sguardo di approfondimento sul reale e attenzione scanzonata all’universo dei social network, così come l’attitudine nel mantenere assieme un nucleo di telespettatori di nicchia, che si sente (in presenza come a distanza) parte di una stessa comunità, e una discreta presa su un pubblico più generalista o mainstream, rappresenta una cifra che caratterizza e distingue la trasmissione.

Oltre a rifarsi ai programmi d’inchiesta e approfondimento che hanno caratterizzato la costruzione di un’idea ibrida di servizio pubblico fin dalla televisione italiana delle origini, Propaganda Live ha come referenza anche tutto quell’universo politico della satira televisiva à la Rai 3, di cui La7, a partire dalla “svolta” di Andrea Salerno, sembra diventata erede e, in un certo senso, prolungamento naturale.

La trasmissione condotta da Bianchi non offre soltanto un “pasto” da consumare passivamente, ma coinvolge direttamente lo spettatore nelle forme della sua messa in scena in diretta.

Per quanto questo meccanismo sia ormai implicito in moltissimi programmi, nel caso di Propaganda Live è esplicitato nella sua stessa struttura: troppo lungo per essere seguito dall’inizio alla fine, e tutto di fila, per molti spettatori il programma assume la forma di un vero e proprio contenitore, pieno di generi variegati e destinato a pubblici diversi, ma soprattutto costruito per una fruizione non necessariamente in diretta.

Se la diretta, infatti, permette un’interazione dal vivo e immediata con gli spettatori che, in studio o da casa, sono in grado di mutare la struttura del programma e indirizzarne i contenuti in tempo reale, la fruizione in streaming diventa più di una semplice possibilità di recuperare un appuntamento mancato.

La natura a compartimenti in cui si articola il programma è riflessa nella struttura stessa della piattaforma digitale di La7, che permette di recuperare sia la trasmissione intera, sia brevi porzioni da consumare come snack. La stessa redazione, veicolando i contenuti in tempo reale sui social network, finisce per alimentare hype e discorsi che, sul lungo periodo, scavallano la dimensione della diretta, e assumono una vera e propria coda lunga nei giorni seguenti.

La possibilità, infine, di recuperare alcune porzioni del programma tramite podcast ufficiali sul sito di La7, dove in una sezione apposita sono caricate alcune interviste o monologhi che hanno caratterizzato la messa in onda della settimana precedente, testimonia ulteriormente la natura ibrida e intermediale di Propaganda Live, dove riescono a coesistere, seppur in tempi e modalità diverse, cinema, televisione, web e radio. 

Damiano Garofalo e Luca Peretti sono autori del testo Propaganda Live – La tv come comunità intermediale tratto dal libro SuperTele – Come guardare la televisione, a cura di Luca Barra e Fabio Guarnaccia, edito da Minimum Fax

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