Uno scrittore grazie alle buone vendite del suo primo romanzo aveva cominciato a scrivere sui giornali (recensioni, elzeviri, reportage, interviste, pezzi di costume), fare presentazioni (soprattutto ai libri degli altri), girare per festival letterari e Saloni del libro, andare in radio, comparire perfino in tv, insegnare presso scuole di scrittura creativa, firmare petizioni per giuste e nobili cause, concorrere a premi prestigiosi e anche non prestigiosi (ma con assegno), siglare prefazioni, postfazioni, fascette pubblicitarie, curare collane di narrativa, insomma aveva cominciato a svolgere così tante attività che alla fine, dopo qualche anno, alla domanda sul perché non scrivesse più romanzi, aveva dovuto ammettere che “gli portava via troppo tempo”.

«Saresti diventato uno di quegli scrittori che non ha il tempo di scrivere?», gli domandò amareggiato l’editor che l’aveva seguito all’epoca del suo primo romanzo.

«Ecco, proprio così. Tu hai il dono della sintesi».

«Se la motivazione non è dentro di te, io non posso farci niente».

«Una cosa potresti farla. Potresti scrivere al posto mio».

«Intendi scrivere il tuo secondo romanzo?».

«Ti ho buttato giù una traccia, poche paginette. Nessuno mi conosce meglio di te, sono sicuro che farai un ottimo lavoro».

L’editor accettò titubante ma l’operazione si rivelò un autentico successo, con lo scrittore che schizzò in testa alle classifiche di vendita e i media che parlarono di una “resurrezione miracolosa”.

Un successo travolgente

La cosa prese una china pericolosa. Lo scrittore infatti drogato dal nuovo successo pretese che l’editor continuasse a scrivere romanzi al posto suo. Di anno in anno le richieste erano sempre diverse - non a caso la critica aveva parlato di un eclettismo da virtuoso della prosa.

«Quest’anno ho bisogno di un flusso di coscienza ma senza dimenticare che è un giallo».

«Quest’anno voglio andare allo Strega, mi raccomando, mettici qualche vocabolo desueto e un po’ di noia».

«Quest’anno va molto un tema sociale forte e una spruzzata di femminismo».

«Quest’anno provocatorio e scorretto. Si devono incazzare, basta con il buonismo e con il politicamente corretto».

«Quest’anno una favola per adulti, linguaggio elementare, una strenna, devono regalarlo mica leggerlo!».

Queste erano solo alcune delle richieste che lo scrittore faceva all’editor, il quale nel frattempo si era messo in proprio.  Aveva aperto uno studio di Servizi editoriali, un ufficio di neanche quaranta metri quadri in periferia, uno sgabuzzino in cui entravano a malapena lui e una scrivania, interamente consacrato all’opera in fieri dello scrittore. Il segreto era ben custodito, tuttavia nell’ambiente editoriale qualcosa cominciò a trapelare.

L’assalto giornalistico

Un giornalista d’assalto s’intrufolò nottetempo nell’angusto ufficio dell’editor per fargli un’intervista agguato: «È vero che lei è il vero autore di tutti i best seller di un noto scrittore?».

«Non so di che cosa parli», si difese l’editor.

«Andiamo, nell’ambiente lo sanno tutti. Gli scrittori non hanno più tempo per scrivere, ci voleva qualcuno che scrivesse al posto loro…»

L’editor cercò di mantenere la calma: «Come vede qui sono solo, e sto anche invecchiando… Mi spiega come farei?».

«Be’ via, la maggior parte dei romanzi best seller son fatti con lo stampino», ridacchiò il giornalista.

A quelle parole l’editor aprì la porta per invitarlo gentilmente a uscire.

«Non vuole svelarmi nemmeno un trucco? In fondo prima o poi dovrà tramandare il suo artigianato come succedeva nelle botteghe rinascimentali».

L’editor si trincerò dietro un silenzio inscalfibile.

«Andiamo», insistette il giornalista. «Non mi consiglia neanche una lista di libri che gli scrittori dovrebbero leggere per diventare più bravi?».

L’editor scosse la testa: «Non esistono libri da leggere per diventare scrittori migliori. La letteratura non è una dieta a punti».

Un vizio stupido

Le stagioni letterarie si susseguirono con i loro riti sempre uguali, premi, saloni, festival, qualche pettegolezzo di poco conto, e l’editor continuò a stare chino sul tavolino per più di dodici ore al giorno. Quel reggere da solo tutta la produzione dello scrittore era diventato per lui molto più di un’occupazione redditizia: era un vizio stupido. Era molto più di un ghost writer, era il deus ex machina. Più che le regalie degli editori per compiacerlo, lo gratificavano le telefonate dello scrittore dopo che l’ultimo libro era uscito.

«Mi hai rifatto alla perfezione, ancora una volta», era solito dirgli. «Leggere la mia voce scritta da te mi ha emozionato, non so come sia possibile ma ti prego di continuare».

«Non ti è mai venuta la voglia di riprendere a scrivere?».

«Per quale motivo? Se ci sei tu che lo fai così bene al posto mio».

«Forse dopo tanti anni…».

«Sai qual è la vera novità? Scendo in politica, mi hanno chiesto di candidarmi. Dopo così tante comparsate nei talk volevo anche vedere…».

«Addirittura dalla letteratura alla politica?».

«Perché ne parli con delusione? Sembra che per te sia un peggioramento».

«No no, per carità. Solo che la scrittura e la politica sono due cose antitetiche: la prima distrugge le certezze, la seconda le rinsalda».

«Ma via, ancora con queste posizioni da talebano dell’arte. Piuttosto tu dovresti fare con altri ciò che hai fatto con me».

«Scrivere i loro libri dalla A alla Z?».

«Avresti un successo pazzesco. Hai idea di quanti scrittori in questo paese in realtà non vogliano scrivere e non aspettino altro che un serio e dedito professionista come te per darsi alle bocce o al wind surf?».

«Non saprei…»

«Mi immagino già uno stuolo di pretendenti scrittori che non firmano neanche i contratti se non compare la clausola che sia tu, proprio tu, a scrivere il libro».

Il capolavoro impossibile

L’editor proseguì a testa bassa il suo lavoro solitario, ma a un certo punto sentì crescere dentro di sé un desiderio umanissimo e comprensibile: quello di avere una piccola gratificazione tutta sua. E allora, tra un romanzo e l’altro dello scrittore, buttò giù un piccolo libretto che avrebbe voluto pubblicare a nome suo. Prima di mandarlo ad agenti ed editori, gli parve un atto dovuto inviarlo proprio allo scrittore di cui stava producendo con strepitoso successo l’opera omnia.

«L’ho letto», gli disse al telefono lo scrittore, dopo qualche giorno.

«E allora? Come ti sembra?».

«Posso essere onesto?».

«Certo, devi essere onesto».

«A mio avviso è un capolavoro. Ho pianto, mi sono commosso».

«Dici sul serio?».

«È il miglior romanzo che tu abbia mai scritto, compresi gli innumerevoli miei».

«Davvero?».

«Sai che non parlo mai per scherzo. Ed è per questo che ti chiedo di darmelo. È perfetto per me, per il punto in cui è arrivata la mia carriera. Lo sai che senza di te avrei dovuto scrivere e non vivere. Del resto ormai la mia voce è la tua, la tua è la mia, chi noterebbe mai la differenza? L’hai scritto tu ma nel mio stile, per una volta l’hai firmato con il tuo nome ma la mia mano si sente a ogni riga, è inconfondibile. Mi capisci? È molto ambizioso, e l’ambizione era quello che mi era mancato in tutti questi anni».

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