Una sera d’inverno qualunque, finalmente era tornata tutta la squadra: uno a uno, nel corso di mesi, i ragazzi se l’erano sentita di tornare a frequentare spogliatoi. Gli ultimi a tornare erano stati quelli con comorbilità. Sovrappeso, tiroide, ipertensione. I ragazzi, tre anni dopo l’inizio della pandemia, avevano perso capelli. Chi portava la barba adesso ce l’aveva quasi tutta bianca.

Il calcetto a Roma è un posto crudele dove per negligenze normali si esiliano, in base a codici draconiani da adolescenti, uomini disperati la cui sola risorsa chimica è l’endorfina che gli dà un campo in erba sintetica lungo il fiume. Rischiano l’infarto per quell’ora di tregua dalla vita. Questa era una squadra di ragazzini cresciuti dove però l’inflessibilità dei codici adolescenziali era meno forte della solidarietà. Nessuno aveva proposto di cacciare dalla squadra chi non se la sentiva.

Questi erano ragazzi di quarant’anni che giocavano insieme al fantacalcio dagli anni Novanta e per i quali il fantacalcio, portato avanti per decenni, si era rivelata, di fatto, l’unica forma di resistenza all’incantesimo di nero conformismo che li aveva imprigionati dentro famiglie e professioni dalle logiche inafferrabili. Più delle magliette dei Clash, più di Zerocalcare. Il calcetto li teneva in vita chimicamente. Infatti non cacciavano mai nessuno dalla squadra nemmeno se spariva per mesi. Avevano bisogno di giocare perché avevano la moglie a rischio suicidio o un figlio nato prematuro.

Per le storiacce della vita c’era solo quel rimedio. Come un’erba officinale, erba sintetica. Non sarebbe stato mai cacciato nemmeno quello con l’asma nervosa che doveva interrompere una ripartenza a metà per chinarsi, le mani sulle ginocchia, a cercare di riprendere il filo del respiro.

Il torneo che avevano scelto per ricominciare a giocare tutti insieme non era più quello degli avvocati in cui si erano infilati grazie all’unico avvocato del gruppo, ma un torneo più leggero, ovviamente over 35, senza obbligo di maglia ufficiale, solo fratini gialli per una delle due squadre, spartano, un ex collegio di preti a San Giovanni, ma pur sempre un torneo da prendere sul serio, dovesse essere l’ultimo. Erano per molti le ultime partite della vita, c’è chi non accelerava più per paura di rimanerci.

L’amante

Ma non parliamo di infarti. Cominciamo da prima della partita: da uno della squadra che a un’ora e mezza dalla discesa in campo sta penetrando l’amante tenendosela in braccio; in piedi, si appoggia a un muretto che divide la cucina dal soggiorno della casa dove l’amante vive coi figli, che a quell’ora, ironia della sorte, sono su Lungotevere a giocare a calcetto con ragazzi che un giorno diventeranno uomini e anche loro faranno tutto – si sposeranno, lavoreranno, giocheranno a pallone per sopportarlo.

Quel muretto è il punto e l’ora dove scopano prima della partita perché così lui può sudare via ogni capello di lei, ogni profumo di pelle e di fica e dopo farsi la doccia. Ogni volta, nelle docce dello spogliatoio, che la partita sia vinta o persa, sente il piacere di un atto che gli viene perdonato. Ha bisogno di vederla ogni settimana prima della partita, è così carina, è così elastica, è così comprensiva. Lo fanno quasi sempre in piedi e mai a letto, perché a lei il letto ricorda il marito che se n’è appena andato dopo la lenta rovina del rapporto cominciata con il primo lockdown. Non lo fanno quando lei e il marito si scambiano i giorni della settimana e il giorno della partita non coincide più con uno dei giorni in cui lei è libera. A volte non può andare da lei perché è l’ex marito a dover giocare a calcetto e le chiede di tenerle i ragazzi, perché i due ex vanno ancora d’accordo anzi a volte quando i ragazzi sono fuori a giocare a pallone all’ex marito capita di fare l’amore da lei.

Con l’amante lei non viene e gli ha detto sempre che non vuole venire perché quando riesce a venire con qualcuno si innamora. Ha un suo reddito e una sua rete che la tiene in piedi, anche se i genitori non hanno perdonato la separazione e sono meno presenti, assurdo, forse per lo choc, o per una malvagità prima d’ora ben nascosta, anche col nipote.

Una volta appoggiandogli il mento sulla spalla dopo che lui era venuto lei gli ha detto: «Ho fatto un pensiero terribile mentre venivi: che sia tu che mio figlio state con me, prendete il mio amore, poi ve ne andate». Lui aveva ascoltato queste parole standogli dentro e si era spaventato di essere fisicamente dentro di lei in un momento così serio. Per una volta gli era parso di fare un torto a sua moglie, solo per il fatto di stare dentro al corpo di una donna che stava facendo un pensiero così serio su di lui e su di un bambino.

Di pensieri seri sui loro bambini sua moglie ne faceva, ma mai quando lui le stava dentro, perché non le stava mai dentro, ormai era acquisito e a lui non faceva tanta paura come nel primo anno in cui avevano smesso senza dirselo, perché lui e sua moglie avevano tante cose in ballo. Il loro unico figlio aveva un ritardo mentale, era costretto alla rete umiliante di attività extrascolastiche con cui la scuola cercava velleitariamente di rendere competitivo sul mercato anche il loro bambino.

Lei non viene ma lo sente molto forte e si aggrappa a lui per non cadere e lo stringe a sé con rabbia.

Il graffio

In spogliatoio dopo una buona sconfitta con la prima in classifica si fa la doccia in una stanza con otto getti, che accomoda tutta la squadra in un solo momento. Vapore, una lama d’aria fredda dalla lunga finestrella sotto al soffitto, odore di muffa e d’erba. Il compagno che gli fa la doccia accanto gli vede i tre graffi che l’amante gli ha fatto l’amante sulla scapola sinistra della bella schiena lunga e glabra e gli dice una cosa romana come tante, «ammazza, tua moglie è a tigre deribbaltabbile». Ma questo compagno capisce subito che lui non sapeva di avere dei graffi sulla schiena – lo capisce da come d’istinto il graffiato ha lanciato una mano a toccarsi la spalla, senza riuscire ad arrivare alla clavicola – che non è la moglie la tigre del ribaltabile della situazione, c’è un’amante di mezzo.

Il graffiato stava pensando in quel momento proprio allo sperma rappreso e al sudore di lei e quindi alle tossine di lei che gli stavano cadendo finalmente dal corpo sulle piastrelle bianche per correre verso il buco di scarico, dove sarebbero rimaste impigliate in peli e capelli ma non sarebbero mai più state attribuibili a lui nemmeno se fosse arrivata la scientifica a fare delle rivelazioni.

Si gira e bestemmia, «sì, una cagna in calore mia moglie», ma l’altro ha capito che sono i graffi di un’amante e gli pare così grave che quello abbia dei graffi che ride con lui e trova empatico dirgli «che cagna allucinante», ma a mezza voce per non farsi sentire da tutti i panciuti e i magri che si stanno soppesando le palle insaponate sotto la doccia in quel momento di comunità, di tregua dalla fatica delle loro vite.

Lui che ha visto i graffi pensa con orrore a come, capitasse a lui di tornare a casa con dei graffi sulla schiena, la moglie lo metterebbe fuori casa in un minuto. Al momento gli sarebbe impossibile correre quel rischio. Di fronte al fatto che lui e la sua compagna non fanno più sesso avrebbe voglia di tentare qualcosa con qualcuna, ma in ufficio è diventato un argomento sensibile, è finita l’epoca dei flirt alla macchinetta delle merendine, è considerata una cosa indecente, un gioco di potere travestito da passione o divertimento, e lui non ha modo di trovare altrove, non ha il tempo materiale, e comunque dopo gli anni osceni, dopo il tentato suicidio di sua figlia non vorrebbe mai rischiare di rompere l’equilibrio delicatissimo di casa.

Ama la sua compagna. E la sua compagna gli risparmia la vergogna di dare a pensare che lui è l’unico che non fa più sesso: lei in pubblico è sempre sensuale, mostra le gambe e sta allacciata con lui davanti a tutti, lo bacia, lo bacia sul collo, non vuole dare l’idea che siano una coppia bianca. Durante la doccia la paura per quei graffi lo inibisce ma dopo, quand’è vestito e si mette in macchina, sulla Tuscolana gli si indurisce pensando al rischio che si è preso il compagno graffiato e si ritrova a mormorare “Follia” in mezzo al traffico, in un momento strano mentre un ragazzo giocoliere sputa fuoco davanti a una serie di suv bianchi e rossi che gli suonano perché sta per scattare il verde e lo sanno. Il fuoco, le macchine, una settimana intera per aspettare la prossima partita, la prossima doccia senza pensieri.

L’assistente

Ora vediamo cosa pensa un altro, chiamiamolo il terzo. Al terzo gliel’ha detto il secondo, con un messaggio. Quella squadra è fatta di gente che sta in un’area particolare della società italiana e romana. C’è in quella squadra, riassunto, tutto l’arco della sinistra da chi in realtà è cattolico e di centro ma non lo dice, e ha paura degli sbarchi ma difende i rifugiati a parole per un dovere appunto più cristiano che politico, fino a chi ha ancora legami con i centri sociali, per esempio quello di loro (il “terzo”) che fa il notaio e da notaio lavora pro bono per un centro sociale della periferia di Roma ogni volta che lo chiamano.

Proprio lui, il notaio, ha il problema di essere il compagno di un’importante femminista romana e anche se da sempre i due si considerano liberi di fare l’amore in giro, non combinano niente né con altri né tra di loro. Parcheggia la macchina a due parallele da casa tormentato dalla notizia di quei graffi.

Per chi legge e non è un uomo nato a metà degli anni Settanta può essere un sentimento-ragionamento difficile da comprendere. I sentimenti di questa generazione di uomini non sono sentimenti universali, fra tre generazioni risulteranno bizzarri come le foto dei damerini fascisti che se ne andavano al bordello. Insomma, solo come documento bizzarro segnaliamo il particolare equilibrio dell’autostima di questo notaio comunista stimato da tutti i suoi clienti. Nella sua cerchia sanno tutti che è libero di sperimentare.

Qualcuno sa che c’è una sua assistente che ama stuzzicarlo. In realtà lui sa che l’assistente è una ragazza “seria” con cui gestirebbe benissimo lo studio se non avesse occhi per gli avvitatissimi tailleur pantalone di lei. E d’altronde mai vorrebbe rischiare di lasciare la moglie per un rapporto con una giovane futura notaia di destra con cui in caso di relazione non potrebbe mai avere una coppia aperta, anche solo di nome, anche solo di principio.

Situazione patetica, lo sa lui per primo. Addirittura la moglie si sente libera di fare battute sull’assistente.

Così, questa sera, dopo il calcetto, turbato dalla storia dei graffi, resta in macchina sotto casa arrabbiato per il cul de sac in cui si è messo. È un personaggio molto più da commedia rispetto ai suoi compagni che hanno i figli malati di malattie varie che non se ne andranno mai. Lì seduto al volante, fermo, si copre col giaccone, apre un libro sopra il volante per far finta di aspettare qualcuno sotto casa leggiucchiando, poi si slaccia i pantaloni e si mette una mano dentro. per sfregio, per venire e impiastricciarsi mutande, fare almeno una cosa pericolosa, che almeno è un reato, lì fra i pantaloni grigi slacciati, sotto la camicia, come forma meschina, minuscola di libertà sessuale, per aver fatto almeno qualcosa di stupido, guardando ovviamente l’Instagram dell’assistente con tutte le sue foto delle vacanze dove sembra una diva – il mal di schiena cronico dell’assistente si smorza solo in vacanza, quando le viene voglia di farsi delle foto con dei costumi turchese o crema o neri perché si sente più alta di tre quattro centimetri.

Smart working

Ognuno ha detto a un altro che un compagno si è fatto fare i graffi dall’amante. Quella notte nessuno riesce a prendere sonno. Il quarto vive nell’appartamento accanto a quello del suocero vedovo che ha appena installato la seconda protesi all’anca e da quando sono cominciati quei dolori alle anche, da poco dopo l’inizio della pandemia, la sua bocca è cambiata, le labbra gli sono scomparse, ora ha come il disegno di una bocca triste da fumetto con i due angoli all’ingiù.

Lui, il “quarto”, si sente il più triste della squadra perché dopo che è circolata la notizia dei graffi quelli che sono rimasti al bar dicevano tutti «ste cose le devi sapeffà», da esperti, e lui si è sentito che non sapeva farle pur avendone un gran bisogno perché è da tre anni che non fa più sesso con la moglie. Dopo quelle chiacchiere al bar fuori dall’ex collegio di preti il quarto ha scritto un consiglio all’amico per fare anche lui quello esperto: «Non te fa caccià di casa, mettice sopra un cerotto grosso, una fascia per le contratture».

Il quinto ha il figlio piccolo che ha lo streptococco da anni e la gastroenterologa non riesce a debellarlo, quindi al bambino vengono dei momenti di isteria dove vaneggia e ha paura della bomba atomica. Il quinto insomma avrebbe voglia di andare a qualche festa come una volta ma è una situazione, un equilibrismo, non ci riesce, e gli dispiace a morte essere l’unico a non vivere davvero, a non farsi fare i graffi, ma deve accettarlo; la notte, come da piccolo, ha ricominciato a dire gli “Angelo di Dio, che sei il mio custode…” per sentire un senso di protezione.

Il sesto durante le sere di coprifuoco di ormai due anni fa aveva cominciato a fare una specie di sexting non esplicito con una collega in smart working, ma non hanno mai consumato dal vivo, perché quando lui stava per accettare gli approcci vaghissimi di lei sua moglie ha fatto causa alla Rete per dodici anni di finto contratto e ne è nato un dramma familiare.

Il “sesto” e la collega anche stanotte si mettono a parlare delle cose che vorrebbero fare “con qualcuno”, e ne parlano esplicitamente ma mai dicendosi che vorrebbero farlo tra loro; quando la collega smette di scrivere per venti minuti, lui non può sapere se si è sentita in colpa, se l’ha chiamata il marito, se l’ha scoperta o se lei si è stesa in soggiorno col vibratore, ma anche se fosse poi quando torna in chat la collega non ammette di aver fatto niente. In quei venti minuti lui si immagina cosa succederebbe se tornasse lui a casa con i graffi mentre sua moglie è in causa con la Rete – una tragedia.

La fotocopia

Il settimo è il caso più interessante. Seguitemi. È a letto accanto alla moglie che dorme. Si è steso nudo, come fa sempre dopo il calcetto. Sotto una montagna di trapunta. Sta scrivendo sul telefono: «Questo coglione della squadra ora vedi come si fa cacciare di casa perché si è fatto graffiare da una». L’altra persona gli risponde: «Vuoi farmi venire voglia di graffiarti?» «Sì, piccola Xerox». L’app è settata su cancellazione automatica entro un minuto e blocco degli screenshot. «Adesso mi voglio graffiare da sola, perché tu non vuoi i miei graffi». «Sì, piccolina. Solo che io li voglio, ma proprio perché li voglio non me li puoi fare».

Questa amante soprannominata Xerox è la sorella di sua moglie. Sono diventati intimi durante i giorni in cui la madre delle due si è suicidata. «Non ti serve graffiarmi per rovinarmi, basta che le racconti cosa sta succedendo tra di noi». La moglie è nella prima fase del sonno: sembra morta, non russa ancora. La moglie e la sorella si assomigliano molto, hanno i capelli a caschetto tinti biondi e due visi da statue. La sorella è la ragazza perduta – ormai ha 46 anni ma è ancora la ragazza perduta. Tutti la considerano una che ha molte storie, perché non si è mai sistemata.

Lei da quei giorni dopo il suicidio ha cominciato a dedicarsi al cognato completamente. Non dice se prima fosse devota a un altro uomo. Ma gli chiede il permesso per tutto quello che fa. Permesso di comprare delle scarpe su Vinted. Permesso di masturbarsi. Permesso di partire in vacanza. Permesso di andare a ballare con l’amica appena divorziata. Permesso di andare a fare il controllo dei nei. Permesso di andare dal dentista. Darle o negarle quei permessi regala alla vita del “settimo” una completezza che prima non aveva.

Da quando si scrivono così non si sono mai sfiorati. Lui pensa che sua cognata un giorno si suiciderà, e non sa a quel punto lui come reagirà, se confesserà, e se a quel punto anche sua moglie si suiciderà – perciò non è troppo colpito dai graffi del compagno di squadra: è una notte come tante, e dopo quelle chiacchiere dà alla sorella della moglie il permesso di dormire, e si addormenta anche lui in un minuto.

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