«Quando c’è l’intervallo mi puoi aiutare a portare giù… ah no, aspetta: non è che ti serve un letto da bambino?». 

Corrado non ha capito, Renzo sta parlando dal corridoio, c’è l’audio della partita, zero a zero una brutta Inter.

«Cosa?». 

«A Gino non serve un letto?». 

Gino è il figlio decenne di Corrado.

«No, grazie, gliene abbiamo appena preso uno da adulto, è quasi alto come sua madre», risponde Corrado.

«Allora quando c’è l’intervallo mi aiuti a portarlo giù, va bene?» e indica con un gesto del mento il lettino che occupa quasi tutto il corridoio d’ingresso. Corrado l’ha notato, entrando. Ha dovuto girargli intorno per arrivare alla camera da letto di Enzo, ma non gli ha chiesto niente, non c’era niente da chiedere.

«Eh, va bene», risponde Corrado.

Renzo ha vent’anni in meno di Corrado. Si vedono un paio di volte al mese a casa del più giovane a guardare una partita dell’Inter. Si conoscono da quando Renzo aveva una ventina d’anni e Corrado una quarantina, quindici anni fa. Renzo ha trovato uno che affitta la stanza in più. Deve fare spazio in casa, il letto del bambino non serve più.

«Che brutta Inter», dice Corrado.

«La solita brutta Inter», dice Renzo.

Suona il campanello. La cena.

«Strano», dice Corrado.

«Cosa?». 

«Nessuno abbaia».

Renzo sorride, apre al ciclista.

La cena, spericolata. Un azzardo per il colesterolo di Corrado, routine quotidiana per Renzo. Pizza Margherita e patatine fritte a parte. Bere? Due birre qualunque da 66. L’Inter è sullo 0-0 contro il Monza a San Siro. Sono le ventuno e dieci di un sabato sera milanese.

«Sei contento che hai trovato un coinquilino?», chiede Corrado.

«Sì, da solo non ce la faccio, la casa è troppo grande per uno solo, l’anno prossimo dovrei essere assunto a tempo pieno e allora magari torno a occuparla tutta io…». 

«E chi è che viene?». 

«Una checca».

«Beh, sei abituato». 

«Ormai sì». 

La sorella gemella di Renzo, Tiziana detta Titty, è lesbica ed è sposata con Sebastian, un uomo gay. Un matrimonio che hanno capito in pochi ma che continua a funzionare bene. Una fuga dalle rispettive famiglie, la sorella di Renzo abitava a due chilometri dalla Svizzera e adesso è a Milano con il marito gay argentino. Quando è stato annunciato il matrimonio, davanti ai conoscenti dei due sposi si è aperta una voragine logica dentro la quale sono caduti tutti.

Inter-Monza zero a zero, fine del primo tempo.

È il momento di spostare il letto. Renzo lancia un mazzo di chiavi sul materasso e apre la porta.

«Ikea», dice Corrado.

«E certo», dice Renzo.

Tirano su il letto con materasso e tutto. È leggero. 

«Non so se passa dalla porta», dice Corrado.

Non passa.

«Giriamolo di lato», dice Renzo.

Lo girano di lato tenendo il materasso con due dita e, una a una, le doghe sfilano in processione da un varco apertosi tra il materasso e il telaio. Un frastuono assurdo, la porta aperta sul cortile, i vicini alzeranno un sopracciglio.

«Ma cazzo, c’erano le doghe!», dice Corrado.

«Va beh, lasciale lì, poi le prendiamo dopo, portiamo giù solo il letto e il materasso».

«Se lo sapevi che c’erano le doghe, perché non le abbiamo tolte subito?».

«Eh me ne sono dimenticato».

Il letto, girato di lato, passa dalla porta. Tutto bene.

«Meno male che stai al piano terra… Dov’è che dobbiamo portarlo?», chiede Corrado.

«In cantina. Gira di qua. Ecco, ferma. Questa è la porta giusta, dammi le chiavi».

«Quali chiavi?».

«Quelle che ho buttato sul materasso prima».

«Saranno cadute con le doghe».

Appoggiano il letto sul pavimento del cortile. Nessun rumore, i vicini sono silenziosi, forse dormono già, ma è presto non sono nemmeno le dieci. Renzo torna in casa a prendere le chiavi. Corrado osserva la porta e immagina che la cantina sia lì dietro. Quando Renzo torna e apre, Corrado vede una rampa di scale stretta e ripida che finisce contro un muro, evidentemente c’è un’altra rampa di scale a novanta gradi a sinistra.

«Ma queste scale?».

«Se no mica ti chiedevo di aiutarmi».

«Giusto».

Renzo scende per primo, fa tre-quattro scalini e solleva il letto per metterlo sullo stesso piano di Corrado. Corrado scende cauto, ha fumato troppo durante il primo tempo, ha paura di cadere.

«Certo che hai aspettato proprio il momento giusto per portare giù ‘sto cazzo di letto».

«È tutto il giorno che rimando».

«Oggi sei sempre stato da solo?»

«Sì».

«Quindi nessuno poteva aiutarti».

«No, beh, alle tre è passato un mio amico, potevo farlo allora…»

«Se non altro eri più fresco».

«C’erano le prove del MotoGP».

Arrivano alla svolta di novanta gradi. Non c’è spazio per girare.

«Aspetta, alza su così… lo tiriamo su in verticale, è l’unica».

«Minchia…», sbuffa Corrado. Ha una certa età, è fumato, ha mangiato pizza e patatine e bevuto birra, sono le dieci di sera e ha già sonno.

Tirano su il letto in verticale. Corrado sposta la testa e vede che la rampa finisce di nuovo contro un muro.

«Ma come? Ce n’è poi un’altra?».

«Sì».

Il letto è in verticale, sarebbe più comodo, a questo punto, farlo scendere così, ma il soffitto della rampa è troppo basso, devono rigirarlo come prima.

Ricominciano a scendere senza fretta. Arrivano al secondo pianerottolo. Di nuovo in verticale, Renzo sguscia giù qualche gradino.

«Ecco, giriamolo».

Rigirano il letto in orizzontale e finalmente la rampa finisce in un corridoio buio buio, si intravvedono delle file di porte metalliche.

«Accendiamo una luce?», fa Corrado.

«L’interruttore ce l’hai dietro le spalle».

Corrado fa scattare l’interruttore, non succede niente.

«Lampadina bruciata, mi sa», annuncia Renzo.

«Ce la fai a centrare la serratura con ‘sto buio? Ho lasciato tutto in casa, cellulare, accendino, tutto».

«Ce la faccio, ce la faccio». Armeggia un po’, qualche bestemmia sottovoce, poi tac la porta si apre.

«Accendi», dice Corrado. «Qua dentro è ancora più buio».

«Eh, qui la lampadina non c’è proprio».

«Come non c’è la lampadina?». 

«Mi dimentico sempre di metterla, ma non preoccuparti, ci penso io».

Entra nello stanzino nero.

«Attento che inciampi, non si vede niente».

Corrado sente solo dei rumori, è una scena completamente nera.

Renzo afferra il letto e lo tira verso il centro dello stanzino, si sente un rumore metallico. «La porta si chiude?», chiede.

Corrado fa la prova.

«No, tocca. Se noti, tutto quello che abbiamo cercato di fare è stato un disastro… non siamo nemmeno stati in grado di accendere la luce. Non puoi tirarlo un po’ più indietro?».

«No. C’è qualcosa».

«Cosa?».

«Non lo so, non vedo niente, è una roba pesante, di metallo».

«Dai, prova meglio».

Niente. Poi rumori, sospiri, un oggetto pesante che cade, rumore attutito. Dal piede di Renzo.

«Ahiaaaaa!». 

«Ti sei fatto male?». 

«Ahiaaaaa cazzo!».

«Ma porca puttana, è possibile? Cosa cazzo ci facciamo qui al buio? La partita è già ricominciata».

«Aspetta, aspetta, ecco, ecco. Prova adesso». 

«Sì, si chiude», dice Corrado. “Per un millimetro”.

«Basta e avanza».

«Vado a prendere le doghe».

Corrado rifà le scale, entra in casa, prende le doghe, legate tutte insieme per fortuna. Dalla stanza da letto arriva l’audio della partita. Ingenuità della difesa. Clamoroso a San Siro. Ridiscende le scale.

«Mi sa che ha segnato il Monza». 

«No, ma figurati», dice Renzo.

«Vedrai. Dai lasciale lì, le doghe. Non ho preso il telefono e nemmeno un accendino. Al buio non ce la farai mai a mettere bene».

«No, no, aspetta, ce la faccio».

Rumori, sbuffi, sospiri, altri rumori, rumori che non promettono niente di buono.

«Dai, cazzo. Renzo. Mezz’ora che siamo in ballo con ‘sto letto. Bastava avere una fonte di luce. Bastava farlo di giorno, non adesso che siamo devastati. Sei tornato il ventenne di quando ti ho conosciuto, sono bastati due mesi senza Nena».

Corrado si pente subito. Non è la cosa da dire in quel momento. Renzo non reagisce, continua a trafficare con le doghe, suoni come di xilofono stonato.

«Le doghe. Le droghe», dice Corrado.

Renzo ridacchia. «Fatto. Uomo di poca fede. Dai, andiamo».

«Bobby è rimasto a lei?», chiede Corrado.

«Sì, è suo». Bobby è il cane. Un bastardone enorme, bianco e peloso, più orso polare che cane, un mezzo maremmano. Non abbaiava mai, solo quando suonava il campanello. Oltre al cane è rimasto a lei anche il bambino. Figlio di lei, non di lui, ma come se.

Arrivano in casa. Si rimettono sul divano. Sono tutti e due sudati e affannati. La birra è finita. «Ho una Pepsi in frigo», dice Renzo. «Ma non ho voglia di alzarmi».

«Nemmeno io».

«Ha segnato davvero, il Monza».

“Eh”.

Corrado comincia piano. Una risatina quasi tra sé e sé. Però poi gli torna in mente la sequenza disastrosa di eventi, le doghe per terra, la porta di casa troppo stretta, le rampe ripide, le lampadine che non c’erano, la porta della cantina che non si chiudeva, e la risata si fa più prepotente.

«Cazzo fai?» chiede Renzo.

«Niente, sto pensando a…» e ride. «Sto pensando a prima…».

«Cosa?» e comincia piano piano a ridere anche Renzo.

«Che disastro che siamo. Pressapochisti che fanno ottant’anni in due anzi più di ottan…» non finisce la frase e ride con le lacrime agli occhi. Renzo lo segue. Ridono tutti e due come due scemi o come due fumati. Poi suona il telefono di Renzo.

«È lei», dice Renzo, all’improvviso serio.

«Ti lascio solo, vado a bermi la Pepsi in cucina».

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