Il tennis ha un rapporto inscindibile con il pubblico: dove manca, fa una pessima pubblicità al prodotto e niente come la vista di spalti desolati può rovinare l’immagine di un torneo. Che sia perché si è scelto di giocare in posti in cui ci sono soldi e non appassionati o perché, come è successo nell’ultima edizione del torneo di Roma, la politica del costo del biglietto ha scoraggiato molti potenziali spettatori, soprattutto nelle giornate iniziali del torneo. Il pubblico contribuisce per un terzo al fatturato globale del tennis nel mondo, e un altro terzo arriva dalla commercializzazione dei diritti televisivi, insomma, dalle trasmissioni per il «pubblico da casa».

Il restante terzo è fornito dagli sponsor. Se non si cattura l’attenzione degli appassionati, si rischia di perdere terreno e, oggi, ci sono parecchi latri tipi di intrattenimento pronti a prendersi spazio. In questo ha ragione Gaudenzi: Netflix è un concorrente, YouTube pure. Non lo sono soltanto gli altri sport.

La partecipazione attiva degli amanti del tennis è dunque un fattore fondamentale nell’economia di questo sport. Comprano biglietti, si abbonano per seguire le partite in diretta e, cosa nuova che ha ribaltato molti paradigmi del rapporto sponsor/giocatore, giornalista/lettore, atleta/tifoso, si trasformano in merce pregiata: follower sui social network.

I dinosauri e i giovani

Il modo in cui il tennis e i tennisti usano i social non è un aspetto secondario della sua comunicazione odierna e va quindi tenuto presente, facendo la premessa che difficilmente troverete in me uno sponsor della miniaturizzazione e della brutale semplificazione dell’informazione che Instagram e X, l’ex Twitter, o TikTok spingono con veemenza, tanto da aver ridotto gli argomenti a fotografie o video di dieci secondi con una riga di testo; tuttavia, ignorarne l’esistenza produce solo lo spostamento degli investimenti e dell’attenzione del pubblico dal vecchio al nuovo mondo, con effetti evidenti su chi ancora vorrebbe esercitare il mestiere del fornitore di notizie e commenti.

Nel tennis, la moda di rivolgersi direttamente al consumatore (il tifoso incallito o il semplice appassionato) da parte del produttore (il tennista, ma anche il commentatore) è dilagata, ma siamo ancora in una fase in cui risultati e penetrazione sono lontani rispetto al mondo social sportivo di riferimento, quello del calcio.

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(...)  I «grandi vecchi» del tennis, la triade Federer-Nadal-Djokovic, usa il mezzo in maniera artigianale, come farei io. Ancorché con atteggiamenti differenti: Federer, per esempio, è piuttosto parco di interazioni – salvo su X, quando era solito dedicare qualche mezz’ora qua e là a rispondere a piacimento a domande dei suoi fan, ma è un’attività che ha sospeso una volta smesso l’abito del professionista in attività. Djokovic, diversamente dagli altri due rivali, è solito riprendere le storie su Instagram quando viene taggato ed è molto attento a valorizzare le pagine dei suoi tifosi, diffuse in tutto il mondo, ma pure lui usa i social senza un approccio «scientifico». Nonostante abbiano sbriciolato ogni primato del tennis, i tre non raccolgono un pubblico adeguato alla loro fama: Roger Federer, con buona approssimazione il tennista più famoso del mondo e di sempre, su Instagram assomma 12 milioni di follower; Nadal 21, Djokovic 14. Molti meno di tanti calciatori che non sono né Ronaldo (620 milioni) né Messi (498): Neymar ha 220 milioni di seguaci, Erling Haaland 40 milioni di follower. Ma per battere i tre mostri sacri è sufficiente Jude Bellingham, il centrocampista britannico del Real Madrid (27).

Chi è arrivato prima di loro alla fama tennistica è praticamente inesistente: Andre Agassi conta su 650.000 fan, Boris Becker la metà, Pete Sampras non usa i social, così Stefan Edberg e Ivan Lendl. Tra i giocatori in attività e ancora in giovane età, Carlos Alcaraz e Alex Zverev sono quelli con i social più avanzati. In particolare, il profilo Instagram del campione spagnolo (5 milioni di follower) presenta soltanto immagini che in gergo si definiscono pulite, cioè scattate da un fotografo e acquistate dalle agenzie: prima della pubblicazione, vengono lavorate e filtrate. Non ci sono scatti o, peggio ancora, autoscatti fatti con il telefonino. Insomma uno spot pubblicitario a cielo aperto.

Per quanto riguarda il tedesco, è evidente – a un occhio accorto, quindi non necessariamente il mio – che ci sia un’agenzia alle sue spalle, anche perché è tra i pochi tennisti a produrre le cosiddette matchday, storie da pubblicare il giorno della partita in cui un’immagine si accompagna a numeri e statistiche. Nel calcio sono popolarissime, mentre il tennis è ancora parecchio arretrato.

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Il cattivo

Fa eccezione alla regola del professionismo Nick Kyrgios, il bad boy del tennis. Il suo uso dei social risponde a una personalità selvatica e di difficile contenimento, in campo come nelle performance verbali. L’australiano non si è mai trattenuto dal dare rispostacce a colleghi, tifosi, giornalisti, anche con l’uso generoso di turpiloquio e, probabilmente, è l’unico tennista a non aver bisogno di un social media manager perché il suo tratto è proprio la spontaneità e l’assenza di regole deontologiche. Infatti, nonostante non abbia mai vinto uno Slam, né un torneo Master 1000, il suo profilo Instagram è seguito da oltre 4 milioni di fan e altri 700.000 aspettano che utilizzi X per sfottere qualcuno, o per vendicarsi di qualche mala parola. A volte Kyrgios ha ragione a prendersela, altre no, i suoi modi sono spesso opinabili ma il suo fare da spaccone è perfetto per i social, terreno ideale per le fazioni: o di qua, o di là, come su un campo da tennis, con una sottile rete che separa i due (milioni) di contendenti.

Guardando all’Italia, Jannik Sinner ha guadagnato quasi mezzo milione di fan su Instagram solo nelle due settimane magiche degli Australian Open 2024. Ma ha una fanbase ancora limitata che si ferma a un paio di milioni di utenti. Anche nel suo caso, la produzione di contenuti sembra essenzialmente «casalinga» e un esperto di marketing digitale avrebbe qualcosa da obiettare sulla mancata ottimizzazione di un profilo così interessante. Che è poi, in generale, l’andazzo dei giovani emergenti: Arthur Fils, per esempio. Il francese nato nel 2004, per chi è interessato alle dinamiche di questo mondo, può essere un ottimo caso studio giacché ha ancora una base di seguaci molto contenuta (sotto i centomila utenti), ma ha già un account professionale e moderno. Al primo risultato pesante, è facile pensare che il suo profilo esploderà.

Estratto da “”Parlare al silenzio. La mania di raccontare il tennis” (add editore)

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