«Se voi rinunciate alla carriera farete opere d’arte; se ogni momento non vorrete urtare né il direttore del giornale, né il collega, né la potenza tale, né l’industria tale, né... né nulla, se non volete urtare nessuno, non vi riuscirà a fare un’opera che abbia la vivacità della nostra. Gran parte della vivacità della nostra è data dal fatto che ormai noi abbiamo bell’e fatto carriera. Io, almeno, ho bell’e fatto carriera; una carriera che è finita molto in alto... a 500 metri, insomma».

Con la consueta ironia che lo contraddistingueva e che molti hanno dimenticato – limitandosi a cogliere in lui solo l’aspetto polemico e radicale – Lorenzo Milani, in una conversazione con alcuni studenti e professori di una scuola fiorentina di giornalismo nel dicembre 1965, raccontava così la lettera ai giudici da poco ultimata e soprattutto il suo essere finito Barbiana.

Il 23 novembre del 1954 Milani era infatti stato nominato priore della chiesa di Sant’Andrea, a Barbiana, nel comune di Vicchio, nel Mugello, sul fianco nord del Monte Giovi, a 460 metri sul mare. Dopo essere stato cappellano per sette anni a San Donato di Calenzano, ora era sì priore, ma priore di Barbiana, una piccola parrocchia di montagna.

Sabato 27 maggio ricorrono i cento anni della nascita di Lorenzo Milani, nato nel 1923 e morto a 44 anni nel 1967, appena dopo aver dato alle stampe Lettera a una professoressa a firma “Scuola di Barbiana”, scritto con i suoi allievi e allieve (per chi ancora ha qualche dubbio, rimando alla edizione critica dell’opera curata da Valentina Oldano all’interno dei Meridiani Mondadori dedicati a Milani, 2017).

La salita sul monte del presidente della Repubblica avrà una sua dimensione pubblica, certo importante. Il comitato nazionale ideato dai centri milaniani di Firenze e presieduto da Rosy Bindi e istituito dal ministero della Cultura con l’obiettivo di celebrare la figura e le opere del prete fiorentino ha coordinato gli eventi della giornata inaugurale del Centenario che si aprirà al mattino proprio a Barbiana, con alcune testimonianze e interventi, alla presenza di Sergio Mattarella e del presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi, a cui seguirà la marcia e nel pomeriggio la messa celebrata dal cardinale Betori.

La giornata quest’anno sarà sotto i riflettori. Non dobbiamo dimenticare però che la marcia, con fatica, è giunta alla sua XXII edizione e non tutte sono state degnamente seguite. La marcia oltre a ricordare Milani è un modo per tenere vivo il messaggio che ha lanciato (e non un modello da imitare) su certi cortocircuiti o disfunzioni della chiesa, della scuola, della politica che sono ancora nervi scoperti nel 2023.

Certo sotto forme diverse, ma ancora tragicamente attuali. Basti pensare al fenomeno della dispersione scolastica strettamente connesso con il perdurare delle disparità, sociali, economiche e digitali che la pandemia ha riportato a galla in modo evidente nelle scuole: «Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati.

Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi», si legge in Lettera a una professoressa.

Punizione

Allora quando sabato vedremo le immagini del presidente a Barbiana, le riprese di quel luogo in mezzo alle verdi vallate mugellane, gli zoom indiscreti sui banchi di quella scuola o sulla piscina fatta costruire per far passare la paura dell’acqua ai suoi piccoli montanari, ricordiamo però alcune cose.

La scelta di Barbiana fu perfidamente crudele: non può essere considerata come una semplice parrocchia di montagna, l’unica destinazione libera e disponibile, per «promuovere» così finalmente don Lorenzo da cappellano a priore. La durezza di quell’atto non va addolcita dal lieto fine di quella esperienza, di cui ora tutti sono consapevoli.

Barbiana è ora un luogo ben conosciuto, diventato, proprio per quella sua scuola, un capitolo nei manuali di pedagogia, un nome citato negli articoli di giornale, tanto da richiamare un papa, nel 2017, e un presidente della Repubblica, oggi. Barbiana non va guardata però con gli occhi di oggi, non fu il rifugio dove Milani si ritirò, alla stregua di un eroe romantico che rifugge dalla modernità e inizia a fare scuola a un gruppetto di ragazzi, all’insegna di una pedagogia critica antiborghese.

Occorre fare uno sforzo e cercare di osservare Barbiana dal punto di vista di Milani, quando ci arrivò nel freddo inverno del 1954, come punizione per quello che stava facendo a San Donato di Calenzano, per le incomprensioni e le gelosie tra i confratelli, per le polemiche e gli scontri con i politici democristiani locali, per le scelte pastorali e per la scuola intesa «VIII sacramento».

In quei giorni di dicembre per il trentunenne don Lorenzo, Barbiana era il nulla. Non era quasi nemmeno una parrocchia: era una chiesa sul fianco nord del monte Giovi, sull’Appennino toscano, 127 anime, senza corrente elettrica (che sarebbe arrivata solo nove anni dopo, nel 1965), né acqua e telefono, senza una strada sterrata che facesse arrivare le automobili direttamente alla canonica. Perfino oggi è difficile raggiungerla (il papa arrivò in elicottero).

Fino a pochi mesi prima infatti la diocesi di Firenze era ferma nella convinzione di non mandare nessuno a sostituire il priore precedente. Quando il cardinale Dalla Costa vi andò per la consueta visita pastorale, annotò infatti nel verbale: «Data la piccolezza del popolo e la posizione scomoda della chiesa, un sacerdote valido a Barbiana non avrebbe lavoro adeguato». Barbiana veniva lasciata aperta apposta per lui.

Milani obbedì (per questo fa sorridere chi ancora si ostina a qualificarlo come ribelle) e il 7 dicembre arrivò a Barbiana. La mamma Alice Weiss temeva che Lorenzo si spezzasse e sperava, come don Bensi, padre spirituale di Milani, che Barbiana fosse una soluzione transitoria, di passaggio.

Ma fu ancora don Lorenzo a risponderle con la durezza che solo un figlio sa avere con la propria madre, definendo «crudeli» tali raccomandazioni: «non posso però credere che tu desideri che io mi metta nello stato d’animo del passante o del villeggiante. Sarebbe come se tu chiedessi a Adriano (il fratello, ndr)]di prometterti che divorzierà presto anche da Sita! E neanche c’è motivo di considerarmi tarpato se son quassù.

La grandezza d’una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui s’è svolta, ma da tutt’altre cose». Nella lettera emergeva tutta la sua grande forza di volontà, che lo spinse, fin dai primi giorni ad organizzarsi per «rimanere» sul Monte Giovi. Per questo si fece accompagnare al comune di Vicchio, per comprare il pezzo di terra nel cimitero di Barbiana dove voleva e fu sepolto e ricominciare a seminare per riprendere le attività del suo ministero sacerdotale interrotto a San Donato.

Dieci anni dopo, nel gennaio 1964, scrivendo sempre a don Bensi, ritornava fuori l’idea del suicidio, sintomatico dello sconforto provato da don Lorenzo a fronte dell’evidente abbandono in cui venne lasciato dalla sua chiesa: «Il Vescovo non s’è visto, il rettore non s’è visto. Vengono solo i preti scemi (come dice lei).

Forse invece vengono solo i preti umili che hanno pietà. Poi vengono i poveri abbondantemente, son quelli che mi han fatto dimenticare tutti voi e il suicidio. Sono stati i miei confessori i miei direttori spirituali i miei maestri il mio Dio (l’altro Dio mi perdoni. Del resto non li ho cercati io)».

Ricordare com’è andata

A pochi mesi dalla morte, di cui era ormai ben consapevole della sua imminenza, fece un bilancio alla mamma di quell’esperienza. Le scrisse l’8 dicembre 1966.

Quelle parole rendono il successo di Barbiana ancora più tragico, alla luce delle intenzioni con cui venne fatta la scelta di quella destinazione, di cui Milani è perfettamente consapevole: «Oggi abbiamo celebrato 12 anni di Barbiana. È una bella cifra.

Se era per la curia potevo esser distrutto». Con altre parole ne riferì quello stesso giorno anche a Francuccio Gesualdi: «Oggi compio dodici anni dal nostro arrivo a Barbiana. Bisogna saper distinguere due piani. Il disegno di chi mi ci ha mandato e tenuto e la realtà. La realtà che poi è stata dodici anni meravigliosi di cui non mi lamento davvero».

Allora proviamo a fare uno sforzo in più guardando le immagini di questa celebrazione. Sono gesti importanti quelli compiuti da papa Francesco quando è salito a Barbiana nel 2017 a nome della chiesa ed è un gesto importante quello che compie Mattarella a nome della Repubblica (che condannò Milani per apologia di reato per aver difeso gli obiettori di coscienza nel 1965). Ma ricordiamoci ciò che sta dietro a Barbiana.

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