Il 13 febbraio 2018 Ilaria Vesentin sul Il Sole 24 Ore titolava entusiasticamente: «È l’ora del te per il mercato italiano». In un mondo in cui la parola Covid non esisteva, Euromonitor prevedeva una crescita del volume di consumi di tè del 14 per cento e del suo valore del 16 per cento entro il 2021. Poi è arrivata la pandemia, che ci ha chiusi in casa, ci ha costretto a imparare a fare il pane e ci ha messi zitti e buoni, seduti in poltrona, a sorseggiare tazzine bollenti.

Ciò ha dato un forte impulso allo sviluppo di un mercato timido, che prima del 2020 equivaleva a un grammo di tè venduto per ogni 84 grammi di caffè. Una volta calati nel cosiddetto new normal l’amore per la seconda bevanda più diffusa al mondo (superata solo dall’acqua), dopo uno slancio entusiastico, si è affievolito. Ma qualcosa sta cambiando.

Il valore del mercato

Secondo un’indagine Union Food, realizzata sull’elaborazione di dati Nielsen, nel 2021 sono stati consumati 1.520 milioni di tè in bustine filtro. La cifra è scesa a 1.444 milioni nell’anno successivo, con un calo del 5 per cento. Il valore di questo segmento di mercato nell’ultimo anno si è attestato su 117,7 milioni di euro (-2,8 per cento rispetto al 2021). Le analisi statistiche relative al settore sono solite considerare in un unico paniere tè, camomilla, infusi e tisane. Anche questi prodotti, post lockdown, hanno visto una contrazione di consumi e fatturato. Nel 2021 abbiamo consumato 310 milioni di filtri di camomilla e 985 milioni di dosi tra infusi e tisane.

Nel 2022 i filtri di camomilla sono precipitati a 286 milioni (-7,8 per cento), mentre abbiamo consumato 915 milioni di infusi e tisane, con un calo del 7,1 per cento. In termini economici i due segmenti si sono attestati sui rispettivi valori di 28,7 milioni di euro (-4 per cento rispetto al 2021) e 114 milioni di euro (-4,7 per cento). Complessivamente nel 2022 il segmento tè, camomilla, infusi e tisane valeva 2.644 milioni di filtri (-6,1 per cento) per un valore complessivo di 260,5 milioni di euro (-3,7 per cento). Secondo l’analisi di Fabio Pesce, General Manager di Twinings Italia, il 2023 potrebbe rappresentare un punto di svolta. Il marchio leader del mercato del tè nel mondo ha una quota a valore del 39 per cento (27 per cento a volume). Dalla prospettiva privilegiata del brand, Pesce osserva che, dopo un 2022 in contrazione post-lockdown, negli ultimi 12 mesi il mercato Gdo ha registrato una ripresa, con una crescita a valore di circa il 6 per cento.

«Questo trend è comune sia al segmento dei tè classici sia a tutti i segmenti degli infusi», aggiunge. Secondo Pesce il mercato italiano del tè resta prettamente casalingo, a differenza del caffè che riesce ad esprimere consumi rilevanti anche fuori casa.

Un primato italiano

Il 2019 è stato l'ultimo anno che ha visto andare in scena a Bologna il festival del tè italiano. La città non è stata scelta a caso. Infatti, la capitale agroalimentare d'Italia è la culla del gruppo Ima che, tra i suoi comparti, ha anche la Tea & Herbs Division. «Istituita nel 1967, la divisione ha portato Ima a controllare il 70 per cento del mercato mondiale delle macchine per il confezionamento del tè», spiega Stefano Fiordalisi, Area Manager, ImaTea & Herbs Division.

«La pandemia ha spinto i consumi del settore e, grazie agli incentivi legati al protocollo Industria 4.0, molte aziende hanno investito nella tecnologia per il confezionamento di bustine di tè». Attualmente, ImaTea & Herbs conta, sul mercato italiano, una stima di 120 macchine, di diversi modelli ed epoche. Tentando un calcolo approssimativo, legato alle differenti capacità produttive delle macchine installate, si stima che questi impianti confezionino ogni anno 3,2 miliardi di bustine di tè e infusi. Ima è stata anche l’azienda che ha reso più salubre il tè in bustina, mettendo a punto uno stile di confezionamento che ha eliminato il fastidioso punto metallico, che complicava lo smaltimento a fine vita, sostituendolo con un più ecologico nodo.

Un micro-mercato

Se i numeri del mercato del tè in Gdo sembrano piccoli, quando analizziamo le botteghe che commerciano foglie in purezza le cifre diventano microscopiche e spannometriche. Ma una ragione c’è. «In Italia il mercato non parte perché siamo un paese povero. Ma anche nel Regno Unito, nazione simbolo di teiere e tazzine, non ci sono così tanti negozi capaci di fare cultura della bevanda. Al contrario, gli Stati Uniti stanno coltivando un interesse crescente per questo prodotto».
Ad affermarlo è Francesca Natali, tea sommelier, imprenditrice del tè da oltre vent’anni, ideatrice e docente di una Tea Academy con formazione professionale, che partirà a luglio 2024. Ha iniziato nel 2000, quando l’unico brand italiano attivo con dei punti vendita in Italia era La via del tè. Ha aperto il suo primo negozio, L’arte del ricevere, nel 2002 a Milano, facendo cultura della bevanda. Grande bevitrice sin da ragazzina, sognava di aprire una bottega di tè a Milano.

È andata oltre, arrivando anche nella Food Hall della Rinascente fronte Duomo, diventando la “gioielliera del settimo piano”. Scontratasi con la mancanza di premesse culturali per fare business sul territorio, ha messo a punto un libretto con i consigli più importanti per fare la giusta esperienza. Il suo ruolo di formatrice le ha permesso di leggere una importante contraddizione nel mercato italiano. «È cresciuto tantissimo il consumo domestico perché si sono moltiplicate le boutique dedicate al tè. Inoltre, sono aumentati anche i siti che vendono online. Quello che manca in Italia è il mercato di servizio: spazi, locali, aree in hotel o ristoranti in cui entrare e bere un tè preparato ad arte. Manca la formazione del personale e il tempo per erogare questo servizio».

Gli hotel vogliono solo tè in bustina, più comodo e pratico. «Ma quando gli spieghi che possono chiedere 15 euro al cliente che vuole una tazza ben fatta, in purezza, servita con cura, che possono produrre quindi fatturati incredibili in una fascia oraria non particolarmente benevola, drizzano le orecchie. Possono vendere molto più di una bottiglia d’acqua a chi è abituato a pasteggiare col tè, come succede all’estero, dove resta una bevanda per intenditori».

Ma chi sono gli intenditori? Per lo più uomini, secondo Natali. Un’informazione, questa, in controtendenza rispetto al cliente abituale del brand Terza Luna.

Creato da Andrea Suglia e la sua compagna Beatriz a Bari nel 2011, oggi conta due punti vendita (l’altro è a Trani) e un sito online che opera senza confini geografici. «Il nostro consumatore è per il 75 per cento di genere femminile, con un’età compresa tra i 20 e i 65 anni. Sono persone che hanno a cuore il proprio benessere e che sono giunte al mondo del tè anche per abbandonare il consumo di caffè».
I numeri di Terza Luna sono diversi da quelli delle grandi città italiane, ma interessanti. Il fatturato 2023 è stato di 300 mila euro, con un catalogo di circa 85 tipi di tè e 150 infusi, spezie e specialty coffee. Ma il dato più interessante di questo micro-mercato fatto di foglie è la preponderanza del canale online nelle vendite. Per Terza Luna costituisce il 65 per cento del fatturato.

I trend

Secondo Fiordalisi la pandemia ci ha lasciato un’eredità trendy: quella dei functional teas, cioè tè funzionali al benessere dell’organismo, con effetti su fenomeni che vanno dalla digestione all’insonnia. Lo conferma anche Pesci da Twinings. «Durante il lockdown si è registrato un maggior consumo di tè, infusi e camomille da parte degli italiani, che hanno riscoperto il piacere e la necessità di prendersi cura di sé. È proprio per questo che sono sempre più alla ricerca di prodotti che possano aiutarli sia da un punto di vista fisico, complice anche la più frequente sedentarietà, che mentale, per regalarsi pace e relax all’interno di giornate che seppure all’apparenza “statiche” si rivelano maggiormente frenetiche».

Suglia conferma il trend dei tè funzionali e aggiunge un crescente interesse per cultivar provenienti da paesi come il Myanmar e il Vietnam. Nonostante il tè più amato in Italia sia il matcha, le donne preferiscano i tè verdi e gli uomini i pu’er che possono invecchiare come il vino, Natali sottolinea anche il crescente interesse verso i tè giapponesi. Inoltre, crescerà l’interesse per il cold brew, pratica che potrebbe destagionalizzare il tè. «Ci sono prodotti che vanno infusi in acqua tiepida per cogliere tutte le sfumature aromatiche».

«Il tè è una bevanda per chi sa stare da solo, per chi non ha paura di sbagliare, anche di comprare un tè che poi dovrà buttare via», dice Natali. «Noi italiani siamo abituati al buono, a mangiare bene: il potenziale c’è. Ma ci sono tante difficoltà che non siamo ancora pronti ad affrontare Forse dovremmo puntare a scoprire il lato divertente del tè per fare un vero salto di qualità».

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