«Conosci Scerbanenco?» mi fa Igort al telefono prima di propormi l’illustrazione delle copertine per La nave di Teseo. Non avrebbe senso mentire, tantomeno a uno come lui, mi sgamerebbe subito. No, non lo conosco, non l’ho mai letto, non sono un lettore di noir, il poliziesco lo preferisco al limite al cinema: Banditi a Milano, Sbatti il mostro in prima pagina o Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. A pensarci bene quei film di Carlo Lizzani ed Elio Petri mi piacciono parecchio.

Si comincia dunque con L’isola degli idealisti, primo titolo della serie, un inedito ritrovato dalla figlia Cecilia. Sono abbastanza spiazzato, si tratta di una storia e di un’ambientazione molto diversa da quella che mi sarei immaginato, una specie di huis clos su di un’isola in un lago, in cui l’arrivo di due ladri in fuga incrina i rapporti della famiglia che vive lì. Poca azione, bei personaggi, la psicologia assume la forma plastica della casa e delle sue stanze, all’interno delle quali gli eroi tramano, si studiano, formulano dei piani di fuga. Tutto compresso all’interno del perimetro dell’isola, come una palla di vetro in cui possiamo guardare il mondo senza essere visti.

Avvicinamento anomalo

Un’idea che si fa paesaggio, perfetta per essere “fumettata”. Rimane infatti da allora tra i pochi titoli adatti a una riduzione fumettistica che tengo in serbo. È stato un avvicinamento anomalo, il mio, all’opera di Scerbanenco, la quale si dimostrerà nelle sue sfaccettature abbastanza lontana da questo romanzo acquerellato, quasi fiabesco.

Le storie a Milano, le saghe di Duca Lamberti e di Arthur Jelling me lo mostrano per le sue qualità ben più note ai suoi lettori fedeli: un tiratore scelto del racconto, dalla scrittura estremamente concreta, in cui tutto diventa un oggetto, inclusi i pensieri e i sentimenti, che spesso vengono espressi a parole e usati come un’arma contundente.

Scerbanenco è una specie di anti Kafka, per cui il tarlo del dubbio riduce alla paralisi: per lo scrittore ucraino naturalizzato italiano, un’azione, preferibilmente violenta, risolve sempre tutto, o meglio dispiega una concatenazione di eventi in cui ognuno assolve a un ruolo e si attiene al suo profilo psicologico fino alla fine della sua traiettoria.

I personaggi si muovono su percorsi ineluttabili con precisione balistica: uccidere o essere uccisi, scappare o essere imprigionati. Le loro psicologie si modellano sulla loro propria funzione, plasmandosi plasticamente sulle reciproche professioni, un autista, un’infermiera, un medico radiato dall’albo che si improvvisa giustiziere. Se le parabole si dovessero intersecare per qualche motivo ci sarà una spia, un ostaggio, una vittima.

Cromatismi

Il paesaggio dei suoi romanzi diventa così sempre più connotato, nella mia personale scoperta della sua opera: si tinge di colori, delle variazioni di grigio dell’Italia del boom, del verde vescica o del blu scolorito delle Alfette della polizia nei film di Lizzani, dal quale un Tomas Milian si sporge pericolosamente con la pistola in mano; le architetture del modernismo milanese di Giò Ponti, anacronisticamente affiancate all’edilizia popolare in costruzione nel Dopoguerra delle periferie inquadrate da Vittorio De Sica; le fisionomie di un giovane Gian Maria Volonté, che dalla foschia dell’anonimato borghese si ritaglia un ruolo di rapinatore psicopatico e mitomane.

Come contraltare cromatico, mi sembra di scorgere le luci psichedeliche da night club, che illuminano come un caleidoscopio gli scambi sottobanco di droghe allucinatorie, tagliate male, letali. Qui si muovono molte delle donne di Scerbanenco, tentatrici dall’erotismo un po’ stucchevole, vestite con le forme optical di Paco Rabanne o con camicie da notte prese in prestito dal catalogo Postalmarket. Nelle orecchie mi sembra di sentire la voce di Lucio Battisti sui testi di Mogol, che di fronte al dottore, subito dopo aver ammazzato la moglie, si giustifica «per un attimo la mente mi si è accesa e qualcosa si bruciò».

La cassetta degli attrezzi

La donna funge spesso da esca o moneta di scambio, nel suo ruolo attivo trama subdolamente contro il suo amante o il suo superiore, ma più spesso è la vittima da cui il gorgo di violenza di questi romanzi si sviluppa. Questa è la cassetta degli attrezzi da cui attingo appena un nuovo romanzo mi viene affidato.

Ricevo la trama dall’editor ma è il titolo che innesca la mano al disegno, e quelli di Scerbanenco sono sempre micidiali. Brandelli estratti da un dialogo all’interno del racconto, come il cut-up di una lettera minatoria alla redazione di un giornale, oppure surrealmente apodittici, come I milanesi ammazzano al sabato, non a caso preso in prestito dagli Afterhours per un loro disco.

La lingua di Scerbanenco mi sembra essersi infiltrata quindi nell’immaginario popolare italiano più di quanto immaginassi, la sento risuonare in alcuni fumetti di Gipi (Hanno ritrovato la macchina potrebbe far parte della sua raccolta Il Centodelitti), riecheggia nelle prime storie a sfondo milanese di Lorenzo Mattotti e Antonio Tettamanti, si stratifica nei tratteggi minuziosi di Paolo Bacilieri, che ha recentemente adattato Venere privata. Sono sicuro che Igort abbia pensato un po’ a lui nell’inventare un sicario dal nome di Sinatra.

Un’illustrazione dopo l’altra, mi sembra di ricomporre le pagine di una narrazione per immagini che in qualche modo faceva già parte di me. Disponendo una accanto all’altra tutte le copertine dei libri finora realizzati, cosa che mi piace fare con gli autori che illustro, osservo un mosaico inaspettatamente sfaccettato, che collega suggestioni e riferimenti distanti, ma in qualche modo oscuro risonanti tra loro. Stills da un cartone animato inedito, quello che sfila di fronte al mio privato schermo mentale, quando mi addentro in una nuova storia di Giorgio Scerbanenco.


Venerdì 22 settembre ad Ascoli Piceno, nell’ambito di Linus-Festival del fumetto, verrà inaugurata la mostra “Scerbanenco secondo Fior” con le 21 tavole delle illustrazioni del fumettista Manuele Fior che accompagnano i romanzi di Giorgio Scerbanenco rieditati da La nave di Teseo. Intervengono Manuele Fior e Cecilia Scerbanenco, figlia di Giorgio, fondatrice e responsabile degli Archivi Scerbanenco. Il catalogo della mostra è edito dalla Fondazione Elisabetta Sgarbi.

© Riproduzione riservata