Rosario Fiorello e Checco Zalone. In questo scorcio autunnale di “garanzia”, la stagione televisiva più appetibile per gli investimenti pubblicitari, due giganti dell’intrattenimento si stagliano su una programmazione senza particolari intuizioni e novità.
A dare respiro a quell’idea di televisione che sappia far ridere e (non) pensare, senza dare l’impressione di preoccuparsi troppo di dare peso all’uno o all’altro sentimento, sono due artisti a tutto tondo, capaci di scardinare logiche, ribaltare convenzioni, ricordarci cosa è e cosa dovrebbe essere, di tanto in tanto, il piccolo schermo.
L’uno in diretta tutti i giorni di buon mattino, l’altro con uno show in un’unica soluzione che meriterebbe almeno una continuità, una piccola ritualità condivisa.
L’uno chiamato a rianimare, ancora una volta, una rete come Raidue alla costante ricerca di un’identità perduta, l’altro a “sospendere”, per una notte, la natura talent/reality-centrica di Canale 5, con uno spettacolo grondante di politicamente scorretto, che anziché provocare indignazione solletica una sorta di risata liberatoria.

Rivoluzionare consuetudine

Così diversi, eppure accomunati da un potere salvifico, un elisir che rivitalizza il panorama dell’intrattenimento, con rispettivi one-man show che debordano dai confini della routine. Con Viva Rai2!, già dalla scorsa stagione Fiorello ha fatto quel che riesce meglio: rivoluzionare le consuetudini.
In un déhors improvvisato in via Asiago a Roma, ha imbastito un caos mattutino che facesse da contraltare alla seriosità delle rassegne stampa, utilizzando lo smartphone come grimaldello narrativo e circondandosi di personaggi e spalle improbabili e puntuali.

Risultato? Un successo di ascolti, la gara di cantanti, giornalisti, sportivi e attori per ricavare uno strapuntino della sua luce, e uno sfratto dopo assemblee di residenti inferociti.
Da questa stagione, è cambiata la location, ma non l’essenza di un programma che riprende antichi canoni della produzione fiorelliana per condensarli nell’irritualità di una fascia dimenticata.
Le gag, gli sketch, i duetti canori, le telefonate dei politici, la battuta a uso social, la solidità di poter lanciare messaggi e denunce sociali (qualche giorno fa, contro la droga, per fare un esempio): tutto si tiene in un’ora scarsa di puro intrattenimento, dove i segmenti si mescolano e fanno pensare seriamente a un aggiornamento delle regole del varietà, che dal sabato sera si rintana nell’ora della sveglia.

Comico puro

Checco Zalone è andato in scena, invece, in un anonimo martedì di novembre. Il suo Amore+IVA ha raccolto circa tre milioni e mezzo di spettatori, sfiorando il 20 per cento, ma soprattutto ha ribadito la necessità fisiologica di questo tipo di spettacoli per la televisione lineare.
Il capitale costruito da Luca Medici (il suo vero nome) in oltre vent’anni di cinema, teatro e televisione, è quello del comico irriverente, del guitto dissacrante che non ha bisogno di equilibrismi verbali, consapevole di incarnare le pulsioni più grette e recondite del suo pubblico.
Nelle sue intemerate che sanno di razzismo, di bodyshaming, di basso populismo, sta in realtà l’abilità di scorticare un male, una superficialità e un menefreghismo più diffusi di quanto si pensi. Zalone è unico in questo, è il comico del nostro tempo nel senso più puro del mestiere, è la cartina di tornasole di tic e contraddizioni della nostra società. Ci solleva dalle colpe, allevia le nostre sovrastrutture.

Rosario Fiorello e Checco Zalone fanno centro perché colpiscono la nostra parte più indifesa, quel nostro bisogno profondo di spensieratezza, di conferma, di sana liberazione dalle fatiche della retorica quotidiana.

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