Nanni Moretti, uscito con Il Sol dell’Avvenire il 20 aprile, sta superando i tre milioni di incassi e il mezzo milione di spettatori. È un dato che l’affezionato zoccolo duro del Nanni non basta a spiegare. La Stranezza di Roberto Andò ha totalizzato al botteghino la bellezza di cinque milioni e mezzo, superato per pochi spiccioli da Il Grande Giorno, il film di Natale di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Per la prima volta a memoria d’uomo un incasso record dell’anno 2022 avrebbe potuto far coincidere i premi di mercato (Biglietto d’oro degli esercenti e David dello Spettatore, introdotto da Piera De Tassis, che praticamente è il doppione dell’altro) con una valanga di candidature “di qualità” ai David di Donatello : 14 per La Stranezza, solo quattro meno di Marco Bellocchio e del suo Esterno Notte, che tecnicamente è una serie tv e in sala, prima del passaggio sulla Rai, è stato visto da pochi. Sembrano cifre aride, ma è uno scossone.

Tanto il lavoro di Moretti che quello di Andò appartengono a quella categoria di film comunemente etichettati come “alti” e “difficili”, roba da pubblico selezionato e non da grandi platee popolari. Anche chi ha amato svisceratamente Il Sol dell’Avvenire lo ha considerato un film a fortissima impronta generazionale, con un retroterra politico pressoché indecifrabile non solo per i ragazzi del terzo millennio, anche per gli young adults.

La stranezza, che temerariamente sfidava le convenzioni di genere affiancando Toni Servillo a Ficarra e Picone, frugava nella genesi dell’opera più complessa e leggendaria di Luigi Pirandello, i Sei personaggi in cerca d’autore : quel tipo di progetto che i ragionieri del cinema commerciale scartano rabbrividendo. Tant’è che l’impresa è partita grazie a due società di produzione minori come la BiBi Film e la Tramp Ltd., salvo aggregare in corsa Medusa e RaiCinema.

Ricordo solo che lo scorso anno a vincere il David dello spettatore sono stati gli youtuber da kindergarden che fanno sconquassi tra i minori di anni 10, i Me Contro Te, certificando la distanza siderale, amplificata dalla stagione del Covid, tra il cinema dei soldi-e-basta e quello dei premi.

L’artista

È il caso di chiedersi perché per certi titoli la famigerata crisi del cinema in sala diventi di colpo una formula vuota. Ho chiesto conforto a Roberto Andò, di ritorno da Tokyo dove il suo film ha fatto ridere e piangere, senza soluzione di continuità, un nutrito campione di pubblico giapponese. E Andò rintraccia nella fortuna in controtendenza di questi due prodotti diversissimi ragioni segrete di affinità.

«Credo che tra i fattori di interesse che hanno portato la gente in sala ci sia il fatto che tanto Il Sol dell’Avvenire che La Stranezza raccontano in modo originale l’atto creativo. È il punto di contatto che trovo anche nel loro successo. Sono due film che parlano del processo di trasfigurazione a cui lo sguardo dell’artista sottopone la realtà».

Questa “trascendenza”, secondo il regista (e intellettuale, e scrittore, e uomo di teatro), aggrega un pubblico e lo coinvolge. Nel film di Moretti «c’è questa idea che in definitiva puoi anche, attraverso la trasfigurazione, redimere il non-senso che c’è nella Storia». Il suo regista alter-ego, il Giovanni della finzione, può operare aggiustamenti e correzioni alla Storia con la massima libertà. Analogamente, ne La Stranezza, Pirandello sta mettendo a fuoco i suoi Personaggi, attraverso una trasfigurazione della realtà in cui persone e personaggi coincidono.

Per Andò «il finale di Moretti è catartico, nella sua parata i suoi personaggi festeggiano quasi come un pubblico che sfila in rivolta, celebrando una vittoria». Niente a che vedere col suo decisamente pirandelliano finale e con l’apparente sconfitta di un genio contestato dagli spettatori «perché ha messo in moto un ingranaggio troppo precoce per il tempo in cui lo propone».

Entrambi però vedono l’Artista «come qualcuno che non può adattarsi alle mode correnti, a come va il mondo o comanda il mercato: vale per Netflix come per il conformismo teatrale degli anni Venti». L’artista, in sostanza, «deve essere fedele a sé stesso».

La cosa curiosa è che questo medesimo messaggio arrivi da due progetti così incomparabili. Nanni Moretti «porta con sé l’ombra di Fellini, la sua parata evoca quella di 8 e mezzo, un modello essenziale per il cinema italiano perché è un cinema di non-sottomissione alla realtà: Fellini, come Pirandello, ci ha insegnato a non accontentarci della realtà».

Gli elementi di riflessione, in sostanza, sono più simili di quanto non appaia a prima vista. Non era scontata la possibilità che il pubblico si trovasse in sintonia con un tipo di cinema «che celebra la fiducia nel cinema e nel teatro», ma non era nemmeno da escludere. Come a poker, vale la pena di andare a vedere: «Quando va in sala con questo tipo di scelte il pubblico sembrerebbe chiedere a tutti qualcosa di più, sennò tanto vale guardarsi una serie sul divano di casa».

Ha un senso, per una volta, riflettere sui numeri, cosa di norma considerata poco chic. «Entrambi questi film vengono accolti come se rimettessero al centro il cinema inteso come mezzo per capire quello che non riusciamo a capire».

Se per Moretti fosse scattata semplicemente una chiamata generazionale, non si spiegherebbero queste cifre al box office.

In entrambi i casi, anche se in misura diversa, il pubblico è trasversale. Il test delle proiezioni de La Stranezza nelle scuole è significativo: «Siamo abituati a pensare che i catecumeni del cinema in sala siano fedeli attempati, ma non è detto affatto che i giovani l’abbiano soppiantata con altri sacrari».

Tragico e comico

Altro punto di congiunzione, e altro fattore di richiamo da non sottovalutare, è il mix di tragico e comico. «Per me era quasi fondante- spiega Roberto Andò – perché è stato Pirandello a rivelare che risata e tragedia sono contigui, e addirittura scriverà un libro sull’umorismo.

Il film di Nanni è profondamente tragico ma fa ridere, perché fa ridere lo sforzo di restare fedeli a se stessi in una vita che non funziona come Il Viaggio dell’Eroe (il manuale normativo compilato da Christopher Vogler per gli scrittori di narrativa e cinema, ndr), «catechismo ufficiale di tutti gli sceneggiatori contemporanei». Né Andò né Moretti, in effetti, si arrendono alla rigida struttura narrativa che governa l’intera galassia della serialità, contagiando anche il cinema.

«I grandi scrittori, E.M.Foster tra gli altri, a volte hanno cercato di estrarre regole dalla propria scrittura, ma mai come oggi la ‘gabbia’ teorizzata da Vogler è diventata così soffocante e monotona». Un autore (Andò) che riflette su un altro autore (Moretti): è stimolante, e andrebbe fatto più spesso. «Il film di Nanni si interroga su una questione essenziale: come corrisponde un’opera di finzione alla vita, alla Storia? Nella semplicità di questo assunto c’è un carattere comico dentro un’anima tragica».

Senza lambiccarsi troppo sul salvataggio delle sale, magari basterebbe ricavare da questi due esempi recenti l’idea che quello di raccontare storie meno minimali e omologate, più complesse (anche come impegno produttivo) è uno sforzo che paga.

C’è una battuta memorabile che Marco Tullio Giordana mette in bocca a Peppino Impastato-Luigi Lo Cascio nel suo I cento passi: «Bisogna ricordare alla gente cos’è la bellezza». Suonerà banale, ma proprio di questo si tratta.

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