Lo scorso 14 giugno, nella periferia sud-ovest di Roma, un Suv Lamborghini e una Smart sono rimasti coinvolti in un incidente tra Casal Palocco e Acilia, provocando la morte di un bambino di cinque anni, il ferimento grave della sorella di quattro e della madre dei due. A bordo dell’auto di grossa cilindrata c’erano cinque persone: quattro ragazzi e una ragazza tra i 20 e i 23 anni, alcuni di questi noti a una parte del pubblico della rete come animatori del canale YouTube “TheBorderline”. Domenica il collettivo ha annunciato il suo scioglimento e Google lunedì ha bloccato la pubblicità sul canale.

Mentre scrivo, la lista degli elementi noti e delle ipotesi sull’accaduto si allunga di ora in ora — com’è forse naturale di fronte a un evento talmente tragico. Ad oggi, si sa per certo che la procura di Roma ha aperto un’inchiesta per omicidio stradale a carico del ragazzo che si trovava alla guida al momento dell’incidente, e che la polizia ha sequestrato i telefoni dei cinque.

Una ricostruzione che invece si è fatta largo con sempre più forza è che i ragazzi fossero a bordo della Lamborghini Urus per registrare un contenuto video da pubblicare poi sul loro canale, e che questo si trattasse di una sorta di sfida — o “challenge” — in cui avrebbero forse dovuto trascorrere un certo numero di ore all’interno dell’abitacolo senza mai uscirne.

Cinquanta, verosimilmente: come si legge sui titoli di clip pubblicate nei mesi scorsi e girate a bordo di altri modelli, o come si deduce — anche — dal tipo di video che affolla la loro pagina. Con 600mila iscritti e quasi 150 milioni di visualizzazioni totali, quello dei “TheBorderline” è un canale dedicato a una varietà piuttosto specifica di contenuti: passare due giorni all’interno di una scatola di cartone, giocare a un nascondino da tremila euro, tenere una mano sopra la carrozzeria di un’auto al più a lungo possibile per riuscire a vincerne mille, uscire legati dal centro di un labirinto.

In buona sostanza, mettersi alla prova attraverso meccanismi più o meno complicati, più o meno assurdi, per offrire dell’intrattenimento al pubblico e magari far crescere l’appetibilità del proprio profilo da content creator anche dal punto di vista commerciale.

In particolare, si tratta di un genere comune nel mondo anglosassone, e dichiaratamente ispirato dalle trovate dello youtuber americano MrBeast: sono gli stessi “TheBorderline” ad ammetterlo sul loro canale, spiegando di rifarsi apertamente all’esperienza di qualcuno «che in America ha costruito un impero attraverso questi tipi di video» — si legge nella descrizione della loro pagina – prefiggendosi l’obiettivo di portare «per la prima volta in Italia contenuti simili».

Lo stile di montaggio, non a caso, è volutamente amatoriale e serrato, in accordo con l’originale americano. Allo stesso modo il parlato è colloquiale, la recitazione a tratti enfatica, quasi da presentatore televisivo proveniente da un decennio sbagliato.

Il ricorso ai premi in denaro spesso finanziati da sponsor, e il costante mettersi alla prova in sfide e situazioni fuori dal comune, sono poi un tratto ricorrente: persino i caratteri dei testi che appaiono in grafica, o le espressioni esasperate adottate nelle thumbnail (le immagini statiche che fanno da copertina al video, e appaiono prima di schiacciare play) ricordano da molto vicino MrBeast. E in un certo senso, appare quasi naturale e ovvio.

Il precursore

MrBeast, Jimmy Donaldson, è il modello per centinaia, migliaia di emuli. E quando incappo nei suoi video, ogni volta, mi sembra di vedere internet in persona: un altro giovane bianco diventato apparentemente molto ricco, pieno di idee per provare a sfondare, un certo fascino per Elon Musk e un forte desiderio di auto-affermazione.

Ha cominciato a 14 anni, nel 2012, coi primi video in rete. Oggi che ne ha venticinque è stabilmente tra gli youTuber con più visualizzazioni e iscritti al mondo, è da molti ritenuto il più influente di tutti, ed è il padrino delle cosiddette “challenge”. In filmati come “L’ultimo a lasciare il cerchio vince 500mila dollari” o “Premi il bottone e vinci 100mila dollari”, infatti, lo troviamo a proporre sfide di abilità a fan e sconosciuti in cambio di diverse migliaia di dollari.

O ancora, in altri, lo si può vedere cimentarsi personalmente in prove inutilmente assurde ed economicamente dispendiose per il gusto di riuscirci, la voglia di conquistare l’attenzione di più persone possibili, e la volontà di mostrare brand e prodotti all’interno della storia – come in “Sono sopravvissuto a 50 ore in Antartide”, dove presenta al pubblico una piattaforma di online shopping mentre scala una montagna innevata, per poi piantare in cima una bandiera con il logo.

È attraverso questo meccanismo narrativo, che permette di raggiungere anche decine di milioni di spettatori grazie a clip spettacolari e spunti arditissimi, che oggi una larga parte di creator può farne un lavoro e finanziare le proprie imprese: gli youTtuber – in particolare – riescono sì a ricavare degli introiti da dividere con la piattaforma tramite le inserzioni pubblicitarie che appaiono durante i loro video.

Ma è soprattutto grazie alle partnership fatte con le aziende, che vengono poi inserite organicamente all’interno di questi video, che possono ambire a un certo tipo di entrate economiche. Queste — alla fine — serviranno per far crescere il business e sostenere la creazione di nuove, magari assurde idee per diventare “virali”. Alimentando un circuito chiuso fatto di trovate sempre più audaci, e di investimenti dei grandi uffici marketing internazionali.

Proprio per questo, e grazie alla sua incredibile popolarità, negli ultimi anni MrBeast è diventato una specie di caso di studio all’interno dell’industria: è la celebrità di internet con la quale confrontarsi per chiunque voglia diventare uno youTuber professionista, nella gran parte dei casi. Ma soprattutto è il modello ideale di agenzie di comunicazione e brand che intendono lanciarsi nell’oceano dei contenuti social, e che da anni vediamo andare a caccia di simili, studiarne le mosse, emularne lo stile e le pratiche. Quasi più come modello di business, che per la creatività delle sue “challenge”.

Tragedia sul lavoro

E sebbene “fare MrBeast” – uno che in un video regala delle carte di credito a della gente a caso – possa suonare difficile per chiunque, gli emuli di successo in giro per il mondo non mancano. In Italia a provarci sono stati soprattutto i “TheBorderline”, che tra operazioni in cui donano mille euro a dei senza fissa dimora, e video in cui provano a sopravvivere in una foresta per 24 ore, dimostrano da qualche anno di rifarsi ampiamente al modello dell’americano. Sia nelle idee che nell’esecuzione.

All’interno dei loro video, sin dall’inizio delle pubblicazioni risalenti almeno a due anni fa, appaiono infatti i nomi e i prodotti di quelli che sembrano essere effettivamente degli inserzionisti, inclusi spesso – come nello stile di MrBeast – dentro alla narrazione in modo a volte contestuale, a volte forzato, a volte persino potenzialmente rischioso per l’immagine stessa del brand: i loghi di un autonoleggio, che campeggeranno sulle vetture utilizzate in diversi filmati.

I giochi in scatola, le borracce da bere, le telecamere e le strumentazioni tecniche di un brand spesso ringraziato per le “migliori riprese e inquadrature”, i link per ricevere un cashback. Come nell’esempio Usa, come all’interno di un business plan: un mondo che i media stanno lentamente cominciando a scoprire e a raccontare a partire dal doloroso evento dello scorso 14 giugno, spesso spiazzati dal fatto che i ragazzi operassero – simili a molti altri – “come un’azienda strutturata”, e che della “TheBorderline srl” si trovi una visura camerale storica che indica chiaramente come una delle loro attività principali sia la “conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”.

È con questa disposizione che negli ultimi giorni quotidiani, tv e personaggi pubblici si sono talvolta avvicinati al caso chiedendo — magari — "subito una legge per i social”, atterriti dalla possibilità che quella delle sfide assurde possa diventare una pericolosa moda in stile “Blue Whale”.

Mostrando spaventosi video risalenti a qualche ora prima dei fatti, e ritenuti contestuali all’accaduto. Parlando degli youtuber come dei “ragazzi delle sfide nonsense”. Eppure, a queste angolature alimentate da un inconsolabile sofferenza, e che provano a raccontarci di imperdonabili “goliardie” post-adolescenziali incoraggiate dal “protagonismo dei social” e dalle “sfide web”, viene quasi da accostare la possibilità che il più drammatico degli eventi possa essere stato prodotto anche da un tragico, incomprensibile incidente sul lavoro 

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