Vauhini Vara frequentava il liceo a Mercer Island, un sobborgo di Seattle, quando ha saputo che sua sorella maggiore, Deepa, era affetta da un tipo di cancro chiamato sarcoma di Ewing. Il cancro andò in remissione e Deepa partì per studiare. Dopo tre anni il cancro si ripresentò e Deepa tornò nella casa di famiglia. Vara si assentò dal suo primo anno a Stanford per stare accanto alla sorella. Nel giro di pochi mesi, Deepa morì.

I suoi genitori presto divorziarono e la sua famiglia si disgregò. Nel 2021, poi Vara – che nel frattempo era diventata reporter per la sezione tecnologia del Wall Street Journal e collaboratrice di diverse testate, tra cui The Atlantic, The New Yorker, The New York Times Magazine – chiese a un predecessore di ChatGPT, chiamato GPT-3, di scrivere della morte di sua sorella. Vara diede in pasto a GPT-3 alcune frasi e gli chiese di continuare. Ciò che la spaventò, però, fu che l'Ia. scrisse quelle che sono forse le righe più penetranti del suo saggio.

«Stavamo tornando a casa da Clarke Beach, eravamo ferme a un semaforo rosso e lei mi prese la mano e la strinse. Questa è la mano che teneva: la mano con cui scrivo, la mano con cui sto scrivendo questo». Ma niente di tutto ciò era mai accaduto. «Avevo spesso sentito che l'intelligenza artificiale non avrebbe mai potuto scrivere come un essere umano, proprio perché si trattava di una macchina. Eppure, l'intelligenza artificiale era riuscita a commuovermi con una frase sull'esperienza più devastante della mia vita. Se era riuscita a scrivere quella frase, cos'altro avrebbe potuto scrivere?» scrive Vara nel testo intitolato Ghosts, rapidamente diventato virale e poi incluso nella sua ultima pubblicazione Searches: Selfhood in the digital age (Pantheon, aprile 2025).

Il saggio della giornalista e autrice americana-canadese di origini indiane riflette su come il capitalismo tecnologico stia plasmando e sfruttando l'esistenza umana. «Volevo indagare su come i prodotti delle Big Tech offrono un luogo di espressione creativa e allo stesso tempo la sfruttano per consolidare la loro ricchezza e il loro potere. E volevo mostrarlo mettendolo in scena sulla pagina» spiega l’autrice che inframezza la sua analisi a testi creati con l’intelligenza artificiale, liste delle sue ricerche su Google e dei suoi ordini su Amazon.

L'esperienza, che ha rivelato sia il fascino sia il pericolo delle macchine, ha costretto Vara a interrogarsi su come la tecnologia abbia cambiato il suo modo di usare il linguaggio, dalla scoperta delle chat room online da preadolescente, all'uso dei social media come prima reporter del Wall Street Journal su Facebook, fino alla sperimentazione delle prime versioni di ChatGPT. Allo stesso tempo, Vara, puntando sulla creatività collettiva che rende unici gli esseri umani, propone di immaginare un rapporto più libero con le macchine e, quindi, con gli altri.

Vita e tecnologia

In parte memoir, Searches ripercorre la storia di Vara, inestricabilmente legata a quella del mondo tecnologico, a partire dai suoi primi anni di vita su internet, negli anni Novanta. L’autrice ricorda di aver provato diverse identità e i suoni ansiogeni della connessione dial-up: «Un lungo stridore statico, punteggiato da una serie di bip acuti, come se la macchina stesse iperventilando». Racconta di Paul Allen, cofondatore di Microsoft, che viveva a Mercer Island, e di Jeff Bezos che aveva una casa in un sobborgo vicino. Di quando arrivò a Stanford nel 2000: Larry Page e Sergey Brin avevano appena abbandonato gli studi per fondare Google. Di Stanford, terzo campus ad avere un nuovo sito web sexy, Facebook, e del suo primo articolo su questo per lo Stanford Daily.

Searches è anche, e soprattutto, un saggio provocatorio su come internet e le tecnologie influenzano e rimodellano l'identità personale, la percezione di sé e la ricerca di significato nell’era digitale. «L'identità è sempre una performance, ma online è spesso adattata – a volte senza che ce ne rendiamo conto – non agli esseri umani ma agli algoritmi creati dalle grandi aziende tecnologiche per determinare ciò che dovrebbe essere mostrato sui feed dei social media di altre persone. Rivolgendoci ai motori di ricerca in cerca di risposte, permettiamo che le nostre domande, anche sul nostro io, vengano sfruttate dalle aziende che ci forniscono le risposte».

«Il feed di notizie di Facebook, per esempio, rende esplicito il contratto che abbiamo stipulato quando abbiamo accettato l'appropriazione di amicizia da parte di Facebook. In un marketplace in cui l'amico è un'unità di capitale sociale e l'acquisizione di amici l'obiettivo, la performance del nostro essere, al fine di distinguerci in una costante flusso di aggiornamenti, diventa una forma cruciale di lavoro. Queste sono le condizioni in cui sono nati gli influencer e il giornalismo ha iniziato a cambiare». Oggi una nuova sfida minaccia l’orizzonte, l’intelligenza artificiale.

Liberazione o sottomissione?

«Quando è stato rilasciato al pubblico nel novembre 2022, ChatGPT ha risvegliato nel mondo un progetto segreto: insegnare alle macchine dotate di intelligenza artificiale a scrivere. I suoi creatori avevano una grande ambizione: costruire macchine in grado non solo di comunicare, ma anche di svolgere ogni tipo di attività, meglio di quanto gli esseri umani avrebbero mai potuto fare. Ma questo obiettivo è davvero raggiungibile? E se fosse raggiunto, porterebbe alla nostra liberazione o sottomissione?»

Vara trasforma a più riprese il chatbot in un interlocutore, chiedendogli un feedback o di collaborare nella scrittura. «Volevo dimostrare che il dialogo con una macchina non è possibile. Quando usiamo un prodotto basato su una macchina, stiamo dialogando con i proprietari della macchina piuttosto che con la macchina stessa. Una grande intelligenza artificiale utilizza i nostri desideri, immessi in vari modi come la scrittura, il dialogo, la poesia, da ogni individuo, per creare un sistema in cui l’Ia pianifica la produzione economica per realizzare i desideri umani».

Quindi se l’Ia è riuscita ad emozionare Vara con un commovente racconto sulla morte della sorella è solo perché ha abbastanza dati nel suo archivio per imitare le comuni tecniche stilistiche utilizzate nella scrittura creativa. «Nessuno scrittore o giornalista potrà mai essere sostituito dall'Ia», rassicura Vara.

La luce di speranza però proviene piuttosto dalla sua folle proposta: la possibilità di un internet di proprietà delle persone. «Invenzioni come queste non sono impossibili. Firefox, il quarto browser più usato al mondo, è gestito da una fondazione no-profit con spese annue inferiori a 500 milioni di dollari. Wikipedia, il settimo sito web più visitato al mondo, è gestito da una fondazione no-profit con spese annue inferiori a 200 milioni di dollari». Quindi perché non immaginare un mondo rivoluzionario? «Aboliamo confini e prigioni, prendiamo possesso collettivo delle macchine, troviamo una causa comune con altre specie». È improbabile, confessa Vauhini Vara. Eppure, ci piace crederci. Questo futuro da sogno «è una finzione. È una dichiarazione. È uno scherzo. È un'invenzione».

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