«Regola 29: su internet tutte le ragazze sono maschi e tutti i bambini sono agenti dell’Fbi sotto copertura. Regola 30: non ci sono ragazze su internet».

Le “regole di internet” – ne avete appena lette due – rappresentano un pezzo fondamentale della cosiddetta internet culture. La più famosa è la 34, divenuta profezia autoavverante: «Se qualcosa esiste, ne esiste anche una versione pornografica».

Laddove la presenza della più disparata pornografia su internet non dovrebbe stupire nessuno, proclamare l’assenza di ragazze dalla rete sembra essere questione più complicata. È pacifico, beninteso, che le ragazze esistano su internet, e invero, come discute tra le altre la cyberfemminista Sadie Plant, gli ecosistemi digitali che navighiamo sono stati plasmati fin dagli albori dal lavoro femminile.

Stabilire l’autore delle “regole di internet” è grattacapo filologico con tutta probabilità insolubile; ma se di ciò di cui non si può parlare si deve tacere, possiamo tuttavia sbilanciarci a riguardo del contesto da cui le “regole” emergono per investigare le ragioni del presunto vuoto di genere da esse proclamato.

L’anonimato di 4chan

Le “regole” appaiono nella seconda metà degli anni Zero, a cavallo tra 2006 e 2007, su 4chan. 4chan è al secolo nota per essere diventata una fucina di meme e fake news pro-Maga e pro-Trump durante la campagna delle elezioni americane del 2016, ma la sua storia è ben più complessa.

Se “Politically incorrect” (/pol/, da cui l’URL 4chan.org/pol) è il nome della sua sezione oggigiorno più famosa, le altre, che sono più di 60, spaziano argomenti quali “History & Humanities” (/his/), “Food & Cooking” (/ck/), “Literature” (/lit/), “Fashion” (/fa/), o “Fitness” (/fit/). Numerose sono le sezioni dedicate ai videogiochi e alla cultura giapponese, le quali hanno forgiato, assieme alla sezione generalista “Random” (/b/), l’immaginario iconografico e lessicale del resto del sito (e da qui Trump quale Dio Imperatore à la Warhammer).

Tutti i post su 4chan sono anonimi, e scompaiono al massimo entro qualche giorno, al minimo nel giro di qualche ora. Ciò ha reso il sito estremamente controverso, giacché in assenza di una user identity stabile o riconoscibile, negli anni la piattaforma è stata utilizzata per condividere materiale estremo quali pedopornografia o dichiarazioni di vario tipo prima di compiere una sparatoria.

L’anonimato di 4chan soggiace anche alle regole 29 e 30: se tutto è anonimo non solo il genere è, almeno formalmente, opaco, ma è anche possibile assumere quanto si ritiene più opportuno a riguardo dell’identità degli altri utenti. E così arriviamo al dittico di assiomi in questione: se di utenti si tratta, debbono essere maschi.

Così posta la questione, nulla sembra fuori posto: misoginia normalizzata, locker-room talk tra ragazzi sessualmente piuttosto frustrati. Ma una permanenza anche solo occasionale su 4chan rivela che pur essendo la board cosa da maschi dove le ragazze non esistono, ampio spazio è dedicato a faccende altrettanto maschili quali l’omoerotismo: sezioni quali “Handsome Men” (/hm/), Cute/Male (/cm/), “Yaoi” (/y/) sono dedicate ai corpi maschili in carne e ossa (/hm/) o disegnati (/cm/ e/y/), e la sezione “Lgbt” (/lgbt/), in un sito prevalentemente utilizzato da maschi, ospita una rigogliosa comunità gay.

Ma ancor più interessante è constatare la presenza massiccia di post omoerotici in sezioni altresì genericamente per adulti, dunque con orizzonte normativo eterosessuale quali “Adult gif” (/gif/), “Adult Cartoons” (/aco/), “Adult requests” (/r/), o “Random (/b/).

Tale presenza, imprevedibile e incontrollabile dall’utente, rende 4chan più queer della maggior parte dei siti pornografici, dove le preferenze sessuali di chi li sta navigando sono generalmente rispettate e strutturate nell’utilizzo della piattaforma.

Questa sorta di esplorazione forzata della propria sessualità è rafforzata dalle interazioni completamente anonime nei thread, dunque anche in quelli di pornografia gay, in una sorta di darkroom digitale, logos-centrica e completamente incorporea. Insomma, se la rete è cosa da maschi l’anonimato di alcune sue parti sembra rendere le questioni di genere, specialmente se legate a preferenze sessuali, faccenda inaspettatamente fluida.

Avatar e giochi di ruolo

La seconda metà degli anni Zero è un periodo di grandi transizioni per il mondo della rete, e vede la nascita dei social media che domineranno gli anni Dieci, con Facebook e Twitter in prima linea. Ma se una caratteristica fondamentale di Facebook e dei social è quella, almeno in teoria, di dare un’identità – una faccia, letteralmente – ai propri utenti, gli anni 2007-2010 sono anche l’apogeo di una tendenza opposta, vale a dire quella dei Mmorpg.

L’impronunciabile acronimo sta per Massive multiplayer online role-playing game, un genere basato sulla condivisone da parte di tutti i giocatori di un mondo persistente nel quale il proprio avatar “vive”, si evolve, e crea relazioni più o meno complesse con gli altri personaggi-utenti.

Il gioco che in occidente ha rappresentato questo genere ormai sempre più di nicchia è World of Warcraft, che, divenuto fenomeno culturale di livello mondiale in quegli anni, nel 2010 raggiunge il picco di utenza con 12 milioni di giocatori attivi prima di iniziare un lungo ma inesorabile declino di utenza.

I giocatori di WoW (una popolazione prevalentemente maschile) sono entrati nell’immaginario collettivo come nerd obesi e foruncolosi, incel ante-litteram e talmente assorbiti dal mondo online da sviluppare tratti caratteriali simili a quelli della tossicodipendenza.

Come per 4chan, una parte di questi stereotipi è innegabile – ma anche nel caso di WoW è interessante soffermarsi sul lato più queer e meno tossico di queste cose da maschi. Nei giochi di ruolo online gli utenti sono formalmente anonimi, benché nella schermata di creazione del proprio personaggio l’identità venga fissata in coordinate fittizie – di genere, tra le altre cose.

Chiunque abbia mai trascorso del tempo su un Mmorpg sa benissimo che dietro a numerosissimi personaggi dall’aspetto femminile si cela un utente maschio e cis. Ma anche in questo caso bisogna attuare una sospensione del giudizio: poiché nel gioco si comunica prevalentemente via testo, senza che sia possibile collegare la propria identità reale al proprio personaggio, il genere dell’utente è questione del tutto opaca.

Ciò vale ancor di più sui server adibiti al “gioco di ruolo”, server vale a dire dove oltre a “giocare il gioco” WoW (completare missioni, sconfiggere nemici, migliorare il proprio equipaggiamento…) si performa in modo stretto la propria identità finzionale. Le regole di questi server, più o meno strette, richiedono infatti di rispettare un’etichetta che prevede di aderire nella comunicazione al “personaggio” che si è creati: così, se impersono un’elfa del sangue di nome Filomena dovrò avere una storia personale più o meno complessa a cui dovrò fare riferimento nell’introdurmi agli altri giocatori e giocare il mio personaggio.

Insomma, per dirla con Judith Butler, la mia identità di genere dovrà essere performata in ogni momento, e tale performance, compresa la scelta dei tratti esteriori del mio personaggio, sarà il mio genere sic et simpliciter nel mondo di WoW.

Un ulteriore strato di ambiguità può crearsi quando le comunicazioni tra giocatori alleati, per meglio coordinarsi, si spostano su chat vocali (nei giochi online le chat video sono pressoché inesistenti), dove le voci, specialmente se adolescenziali e in assenza di correlativi visivi, possono attraversare in modo fluido le barriere di genere, infrangere aspettative, sollevare dubbi e curiosità.

E così, senza voler indicare alcuna diretta correlazione tra i diversi punti qui sollevati ma enfatizzandone l’appartenenza a uno specifico contesto digitale, arriviamo al fenomeno estetico-culturale dei femboys, estremamente popolare su 4chan. Sorta di eròmenoi dell’epoca digitale, per femboy si intende generalmente un ragazzo cisgender con manierismi, aspetto corporeo e outfit femminili o marcatamente androgini, perlopiù ricalcati sull’estetica dei manga o degli anime. Come spesso accade in questi casi, il termine ha superato l’accezione derogativa iniziale per essere riappropriato dai femboys stessi.

Confini porosi

Al netto delle regole 29 e 30 anche sull’internet degli anni Zero c’erano ragazze – e, come si è visto, non solamente cisgender. Il crogiolo di anonimato digitale, mascolinità solitaria e creazione di identità fittizie ha generato una serie di fenomeni dei più disparati – talvolta tossici, come emerso nel caso di Gamergate. E tuttavia, in modo forse meno appariscente ma senza dubbio più queer, ha reso possibile una serie di piattaforme dove i confini di genere divengono porosi, l’esplorazione di identità e sessualità meno legata a contesti geografici, sociali, e, forse, anche alle proprie aspettative. Pure queste, dopotutto, sono cose da maschi.

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