«A volte da una semplice telefonata comincia qualcosa che non avresti mai immaginato». Alma Pöysti è nata a Helsinki, e prima di quella telefonata, che la ha fatta «cadere dalla sedia», era un’attrice di teatro e di cinema sconosciuta al grande pubblico europeo.

Poi il regista finlandese Aki Kaurismäki le ha chiesto di interpretare Ansa, la protagonista del film Foglie al vento. Da lì è arrivata per l’attrice una nomination al Golden Globe, oltre che una grande popolarità; la scorsa settimana Foglie al vento ha anche festeggiato la nomination al Lux, il premio del pubblico per il cinema europeo, organizzato dal Parlamento europeo e della European Film Academy del pubblico.

Proprio a Bruxelles, seduta su un divanetto dell’Europarlamento, Pöysti ha svelato a una squadra selezionata di testate europee, tra le quali Domani, i retroscena della sua esperienza con Kaurismäki, e della poetica del regista.

Il sodalizio con Kaurismäki

«Il mio agente mi ha detto che Aki voleva pranzare con me. Lo ho sempre ammirato, ma sapevo che era abituato a rivolgersi alla squadra di riferimento. Quindi quando ho ricevuto questa telefonata con l’invito a pranzo, sono letteralmente caduta dalla sedia per la sorpresa. Al nostro primo incontro, il regista è arrivato con le mani sporche di vernice; non so in quale impresa teatrale o cinematografica fosse indaffarato. Fatto sta che si è messo a parlare con me di piccole e grandi cose: di asparagi e di politica, di cani e di cambiamento climatico. Poi mi ha chiesto di essere in Foglie al vento: è in quel momento che sono caduta dalla sedia per la seconda volta».

Alma Pöysti racconta che il copione di Foglie al vento era il più corto che lei avesse mai visto in tutta la sua vita professionale. «Kaurismäki è un uomo di poche parole. Eppure in quelle poche parole c’era tutto, a cominciare da una dose strabordante di umorismo».

Ciak, silenzio!

Il silenzio ha un ruolo importante nella poetica del regista. «I protagonisti del film – spiega Pöysti che interpreta Ansa – sono entrambi molto timidi. Questa è una caratteristica di noi finlandesi: non siamo certo i casinari della festa. Ma il silenzio per noi non è una espressione – né una causa – di disagio. Al contrario, il silenzio ha una pasta molto profonda; e se puoi condividerlo con un’altra persona, significa che insieme a lei andrai lontano».

L’attrice nota anche che la scarsità di parole – quella sceneggiatura asciuttissima di Kaurismäki – è combinata con l’intensità di silenzi e mimica attoriale: perciò il silenzio sembra assumere un ruolo specifico nella relazione tra il regista e il suo pubblico. «Kaurismäki offre agli spettatori espressioni facciali intense e silenzi da riempire»: è come se proprio con il silenzio il regista innescasse una dinamica interpretativa che rende il pubblico partecipe.

Ad ascoltare Pöysti, viene da pensare che l’opera di Kaurismäki sia qualcosa di analogo a un quadro di Edward Hopper: in una atmosfera densa ed enigmatica, l’artista semina indizi; ma è solo grazie all’attività interpretativa di chi guarda, che questi indizi possono essere ricostruiti, completando così l’elaborazione di una storia.

Buona la prima

Come si arriva a un tale livello di intensità? Alma Pöysti racconta il modus operandi del regista. «Ci ha detto: per piacere, non mettetevi a provare. Ci ha detto pure: preferisco girare una volta sola, senza dover ripetere la scena. Insomma, era una combinazione terrificante per un attore, perché metteva a dura prova: sapevamo che avremmo avuto una sola occasione per esprimere tutto. E nessuno di noi voleva distruggere tutto, costringendo il gruppo a rifare la scena».

Il risultato? «Un livello di concentrazione altissimo e meraviglioso». Il tutto era favorito dal «clima accogliente che si respirava sul set: alcuni lavoravano insieme da quarant’anni, ma i nuovi arrivati come me si sentivano pure loro sùbito parte di una famiglia cinematografica».

Guerra e fragilità

In Foglie al vento, siamo abituati a vedere Alma da sola in cucina, con la radio accesa a farle compagnia; ed è così che nel film arrivano a intervalli regolari i bollettini della guerra in Ucraina. «Aki Kaurismäki mi ha detto sùbito che sarebbe stato impossibile per lui fare un film senza commentare l’aggressione russa, e che riteneva fosse una sua responsabilità come regista farlo. Per lui un film è una capsula del tempo: consente a chi verrà dopo di avere traccia di quel che è successo».

Il film è una memoria collettiva della guerra. E la guerra, nel film, «rappresenta un modo attraverso il quale i personaggi colgono la fragilità dell’esistenza», dice Pöysti. «Una volta capito che tutto può esserti portato via dall’oggi al domani, cosa decidi di fare della tua vita?».

L’amore come rivolta

«E se ti innamori, rinvii a domani?». Kaurismäki «porta nel film persone con pochi diritti, licenziate, costrette dentro un sistema di sfruttamento. Al contempo, propone una storia nella quale l’amore, il prendersi cura, il rendersi compagni, sono una reazione a quel sistema».

Ansa «non è vittima dei problemi, né sul lavoro né in amore: anche se è innamorata, pone le sue condizioni, ad esempio di non avere un compagno alcolista». Sì, c’è anche «il femminismo», dentro i silenzi.

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