Sul finire dell’estate del 1953 lo scrittore argentino era nella Capitale con la moglie, la traduttrice argentina Aurora Bernárdez. Erano due predatori di visioni tra chiese, musei, affreschi, tazze da comprare all’Upim. Scoprirono che i camionisti non potevano dare passaggi alle donne e a San Giovanni in Laterano un libretto con le «istruzioni per salire la Scala Santa» che fu di ispirazione per le Storie di cronopios e di famas
Nel suo originale libro su John Keats, l’argentino Julio Cortázar scriveva che non si possono tenere separate le lettere e le poesie, che la sua opera è una sola, che la corrispondenza del poeta inglese conteneva già intuizioni in divenire, tracce di versi e canti che potremmo acciuffare qui e là.
Qualcosa di simile si potrebbe dire di Cortázar, nelle sue lettere ci sono tracce e impronte della sua opera, l’istinto di uno scrittore cronopio, il taccuino di un fantasioso ricercatore di immagini, il camminatore che non si sottraeva mai alla carta. È per via di esperienze, incroci di parole, vagabondaggi, e libri portati in tasca, che Cortázar ha visto nascere certe sue intuizioni fantastiche, che la realtà si è squarciata per far saltare fuori l’oltre-realtà e il gioco del mondo. Così, in una lettera all’amico e pittore argentino Eduardo Jonquières, Cortázar raccontava come gli passò per la testa di scrivere un Manuale di istruzioni dalla vena umoristica.
Nell’inverno del 1954 il trentanovenne scrittore argentino viveva a Roma da qualche mese, dove era impegnato nella traduzione dell’opera in prosa di Edgar Allan Poe, scrittore che aveva molto amato da ragazzo. A Cortázar piaceva passeggiare incantato per la capitale, «tutta gialla, tutta ocra», con le strade piene di italiani che parevano felici anche quando erano tristi e incerti. Non era la prima volta che Cortázar si tratteneva a Roma, e dagli stralci delle sue lettere si sente il respiro di un uomo sovraeccitato dalla fantasticheria del centro-Italia: «Non puoi dormire a Roma o a Firenze quando sai che a duecento metri di distanza c'è un Paolo Uccello, un tramonto o del pesce fritto a 100 lire».
San Giovanni Laterano
Sul finire dell’estate del 1953 Cortázar era tornato a Roma in compagnia della moglie, la traduttrice argentina Aurora Bernárdez. Erano due predatori di visioni: insieme visitavano chiese, musei, affreschi, compravano tazze all’Upim, si arrangiavano a vivere con poco denaro, andavano in biblioteca, parlavano di traduzioni, facevano l’autostop verso l’Umbria o la Toscana.
In una delle sue lettere, Cortázar prendeva nota di una astrusa legge italiana che per fortuna oggi è un fatto lontano: «I camionisti italiani non possono trasportare donne (nemmeno la madre) perché c'è una legge che lo vieta». Così per lui e la moglie trovare un passaggio era un’operazione complicata, dal momento che le auto grandi non si fermavano a prenderli, e in quelle piccole il gigante Cortázar, altissimo, non riusciva a entrare.
In ogni caso si divertivano molto. Cortázar si emozionava come un bambino a star vicino alla dimora dove aveva vissuto John Keats, quel posto magico di Roma dove il poeta era morto giovanissimo. Bernárdez era una entusiasta scopritrice di rivelazioni, di scorci, di pizzerie («e quella che io consideravo mia moglie divenne una specie di freccia inarrestabile, che si abbatté come un fulmine su una pizzetta»).
Il Manuale di istruzioni apparve nella fantasia di Julio Cortázar durante un giro a San Giovanni in Laterano insieme ad Aurora Bernárdez, un pomeriggio come un altro, dopo aver mangiato un timballo di lasagna in una tavola calda romana. Si potrebbe dire che il Manuale arrivò d’improvviso a «sequestrare» la mente dello scrittore, allo stesso modo in cui (diceva Cortázar) un buon racconto «sequestra» l’attenzione del lettore.
Tutto accadde nel santuario della Scala Santa, dove i visitatori sono invitati a salire le scale in ginocchio: qui il sognatore argentino venne estorto al reale guardando un libretto con le «istruzioni per salire la Scala Santa». In quel punto, dove il mistero e il sacro incontrano l’assurdo, la fantasia bambinesca di Julio Cortázar si lasciò agitare dall’immaginazione per farsi narrativa.
Cronopios e famas
«Mi sono reso conto di quanto siamo orfani di buone istruzioni per fare tutta una serie di cose importanti», scrisse nella lettera indirizzata a Eduardo Jonquières. «Ci sarebbe bisogno di istruzioni per bere una tazza di caffè o per sedersi su una sedia. Sono cose elementari – quindi profonde, quindi solitamente fraintese. Come si accende un fiammifero? Tu lo sai? No, lo accendi. Ma, e se dal fiammifero, per un tuo gesto maldestro, spuntasse un giorno un enorme cipollotto? Ecc, ecc. Riconoscerai, pertanto, che il Manuale è assolutamente necessario. Qualcuno dovrebbe scriverlo». (da Carta Carbone, Sur edizioni)
Il Manuale di Istruzioni prenderà forma in quei giorni appannati e lucenti, diventando la prima immaginaria parte delle Storie di cronopios e di famas – tra le più divertenti intuizioni narrative di Julio Cortázar. Breviario di testi e lampi, nel Manuale si trovano istruzioni per caricare l’orologio, per piangere e cantare, fino alle più allucinate e fuori dall’ordinario istruzioni per ammazzare le formiche a Roma – dove Roma torna, descritta come città rossa e covo di formicai sotterranei.
Ma è nel comporre le istruzioni più banali e quotidiane che lo scrittore latino-americano dà il meglio del suo umorismo, come nelle istruzioni per salire le scale: «Le scale si salgono frontalmente, in quanto all’indietro o di fianco risultano particolarmente scomode. La posizione naturale è quella in piedi, le braccia in giù senza sforzo, la testa eretta ma non tanto da impedire agli occhi di vedere gli scalini immediatamente superiori a quello sul quale ci si trova, e respirando con lentezza e ritmo regolare».
Cortázar ci diverte e assale anche nel Preambolo alle istruzioni per caricare l’orologio: «Quando ti regalano un orologio, ti regalano un piccolo inferno fiorito, una catena di rose, una cella d’aria. (..) Ti regalano la necessità di continuare a caricarlo tutti i giorni, l’obbligo di caricarlo se vuoi che continui ad essere un orologio; ti regalano l'ossessione di controllare l’ora esatta nelle vetrine dei gioiellieri, alla radio, al telefono».
La prosa di Cortázar ci diverte perché è lo stesso Cortázar a divertirsi a scrivere e inventare, la sua pulsione per la scrittura è un infinito sregolato gioco da minatore di fantasie, colui che è capace di vedere la presenza di John Keats a Roma, perché la scrittura è un agguantarsi per mano tra vivi e scomparsi, una camminata che non sfinirà mai.
In quegli stessi anni (l’inizio dei Cinquanta) lo scrittore stava maturando anche la visione dei cronopios e dei famas, di cui appuntava i primi passi nelle lettere che inviava a Jonquières e sua moglie – «i cronopios se la passano bene», scriveva, e raccontava di come giorno dopo giorno gli capitasse di venire a scoprire nuove usanze e avventure delle sue creature fantastiche, proprio come un esploratore venuto a contatto con una tribù lontana.
Mettere insieme i cronopios e i famas con il Manuale di istruzioni sarebbe venuto naturale: è l’umorismo che lega insieme il libro, scriverà Cortázar in una lettera per un indirizzo, che sarà poi l’indirizzo dell’editore della Rayuela. Un altro gioco, un’altra strada.
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