Lo scorso 14 luglio la Luna è tornata protagonista con il lancio della sonda indiana Chandrayaan-3. Una missione realmente importante per il paese perché l’Indi è diventata così la quarta nazione al mondo diverrà la quarta nazione al mondo (dopo Unione Sovietica, Stati Uniti e Cina) a «toccare» il nostro satellite naturale.

La missione assume poi un ruolo ancora più importante perché riscatta la Chandrayaan-2 del 2019 che fallì l’allunaggio dopo un viaggio perfetto, ma la nuova sonda presenta dei miglioramenti: software più sviluppati, nuove “zampe” di atterraggio e una maggiore quantità di combustibile.

Chandrayaan-3  ha utilizzato una traiettoria a basso consumo di carburante per raggiungere la Luna. Seguendo questa traiettoria la navicella ha orbitato attorno alla Terra per 17 giorni fino a quando il velivolo non è stato catturato dalla gravità lunare. È così che Chandrayaan-3 ha raggiunto  l’orbita lunare il 5 agosto. Il veicolo rimarrà in orbita per tre settimane e se tutto andrà per il meglio l’allunaggio dovrebbe avvenire tra il 23 o il 24 agosto.

A quel punto ci sarà una vera coincidenza: è possibile – secondo voci trapelate recentemente – che la Russia lanci la propria sonda lunare "Luna 25” l’11 di agosto. In tal caso arriverebbe sul suolo lunare tra il 21 e il 24 agosto. Praticamente gli stessi giorni previsti per la missione indiana Chandrayaan-3. Se così fosse saranno davvero giorni emozionanti.

Pechino sulla Luna

Nel frattempo, la Cina ha rivelato alcuni dettagli sul suo ambizioso piano di portare uomini sulla Luna. Alla fine di maggio, i funzionari spaziali cinesi avevano annunciato la loro intenzione di far atterrare gli astronauti entro il 2030. La missione cinese prevede due lanci di razzi. Il primo di questi solleverà un lander lunare e lo porterà in orbita attorno al satellite e l’altro, che invierà gli astronauti verso la Luna, lo incontrerà in orbita. «Il piano a doppio razzo supererebbe l’ostacolo tecnologico di lunga data della Cina di sviluppare un vettore sufficientemente potente da inviare sia gli astronauti che una modulo lunare di atterraggio» ha fatto sapere l’Agenzia spaziale cinese.  Gli astronauti cinesi dovrebbero dove svolgeranno una serie di lavori scientifici e raccoglieranno alcuni campioni lunari. Poi tramite il lander gli astronauti torneranno  a bordo del loro veicolo spaziale originale per il viaggio di ritorno sulla Terra. Non è chiaro tuttavia, quanti astronauti parteciperanno alla missione.

Nei piani della Cina però l’allunaggio avrà un seguito. Pechino mira a costruire un avamposto di ricerca con equipaggio sul satellite durante il terzo decennio di questo secolo. Un progetto imponente che vede la Russia come partner.

I programmi americani

Anche la Nasa, con il progetto Artemis, ha dei piani per creare una base lunare. La prima missione di questo programma, Artemis 1, ha inviato una capsula Orion senza equipaggio in orbita lunare per poi fare ritorno sulla Terra, alla fine dell'anno scorso. La prossima, Artemis 2, dovrebbe lanciare quattro astronauti intorno alla luna alla fine del 2024. Artemis 3 farà atterrare gli astronauti vicino al polo sud della Luna a bordo del veicolo Starship di SpaceX, che la NASA ha selezionato come primo lander lunare del programma tra la fine del 2025  e l’inizio del 2026.

Ma Nasa e Cina invece non lavorano insieme sui grandi progetti spaziali perché proibito per legge statunitense dal 2011, a meno che il Congresso non approvi in anticipo una partnership tra Nasa e controparte cinese. 

L’età dell’Universo

Secondo una nuova ricerca il nostro universo potrebbe avere il doppio dell’età finora stimata e dunque potrebbe essere vecchio di ben 26,7 miliardi di anni e non 13,7, come era stato stimato nel 2021. Se lo studio fosse confermato potrebbe anche gettare nuova luce sul problema delle galassie giovani che risultano “troppo” evolute per la loro età. Il lavoro è pubblicato sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society.

Rajendra Gupta, professore di fisica presso la Facoltà di Scienze dell'Università di Ottawa e autore dello studio spiega: «Il nostro modello di nuova concezione allunga il tempo di formazione delle galassie primordiali di diversi miliardi di anni, facendo sì che l’Universo abbia circa 13 miliardi in più rispetto a quanto si pensava finora».

Ci sono stelle (tipo la stella Matusalemme) che sembrano essere più vecchie dell’età stimata del nostro Universo e sono state scoperte galassie primordiali in uno stato troppo avanzato di evoluzione rispetto alla loro età stimata.  Per anni astronomi e fisici hanno calcolato l’età del nostro Universo  basandosi sul redshift, ossia l’allungamento della lunghezza d’onda delle radiazioni che risulta tanto maggiore quanto più un oggetto è lontano da noi e quindi più vecchio.

Nel passato l’astronomo Fritz Zwicky aveva proposto la “teoria della luce stanca” la quale voleva che lo spostamento verso il rosso della luce proveniente da galassie lontane fosse dovuto solo alla graduale perdita di energia da parte dei fotoni su vaste distanze cosmiche e non all’allungamento della lunghezza d’onda. Tale ipotesi tuttavia, è in conflitto con le osservazioni realizzate da vari telescopi. Eppure Gupta ha scoperto che «permettendo a questa teoria di coesistere con l'Universo in espansione, diventa possibile reinterpretare il redshift come un fenomeno ibrido, piuttosto che unicamente dovuto all'espansione».

Oltre alla teoria della luce stanca di Zwicky, Gupta introduce l'idea dell'evoluzione delle "costanti di accoppiamento”, come ipotizzato da Paul Dirac. Le “costanti di accoppiamento” sono costanti fisiche fondamentali che governano le interazioni tra le particelle subatomiche. Secondo Dirac, il valore di queste costanti potrebbe essere variabile nel tempo. Se si accetta che le costanti sono mutate nel tempo, il periodo necessario per la formazione delle prime galassie si dilata da poche centinaia di milioni di anni a diversi miliardi di anni. Ciò fornisce una spiegazione più fattibile per il livello avanzato di sviluppo delle galassie più antiche.

Se l’ipotesi dovesse trovare conferma molti altri elementi dovranno essere rivista rispetto all’attuale idea cosmologica del nostro Universo.

Il sapiens nelle Americhe 

Circa 30 anni fa, tre manufatti ricavati dalle ossa di bradipi giganti furono portati alla luce in Brasile e fino ad oggi non erano stati studiati a fondo. Ora, uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Societyafferma che quelle ossa sono in realtà dei «pendenti»: gli esseri umani probabilmente le hanno lucidate e vi hanno praticato piccoli fori con l’intenzione di indossarli come accessori per abbellire il proprio corpo o come elemento religioso. I ciondoli sono i più antichi ornamenti personali conosciuti rinvenuti nelle Americhe e risalgono a un periodo compreso tra 25.000 e 27.000 anni fa. Questi ritrovamenti supportano anche l’ipotesi secondo la quale gli esseri umani abitavano il Sud America molto prima di quanto si pensasse. Quasi sicuramente ben prima di 30.000 anni fa. Sulla base del modo con il quale vennero perforate le ossa del bradipo, gli scienziati hanno concluso che gli esseri umani, piuttosto che altri animali, hanno praticato i fori nelle ossa. Inoltre, la nuova ricerca suggerisce che abbiano realizzato i ciondoli subito dopo la morte dei bradipi, il che significa che gli umani e i bradipi giganti coesistevano. I fori poi erano praticati «con una modalità e posizione che fa pensare che fossero state pensati per essere infilati da una corda» secondo lo studio. Nel 2021 i ricercatori avevano annunciato di aver trovato impronte umane fossilizzate nel New Mexico che avevano tra 21.000 e 23.000 anni. Il nuovo studio sposta quella linea temporale ancora prima. La sequenza temporale è costantemente dibattuta e alcuni scienziati contestano le date collegate a determinate scoperte. Difficile dare una nuova data dell’arrivo dell’uomo nelle Americhe, ma sono ancora molti i siti in Sud America che devono ancora essere studiati. 

© Riproduzione riservata