Nel film del 1976 Le dodici fatiche di Asterix, Giulio Cesare mette alla prova gli invincibili Galli. Se riusciranno a superare 12 sfide, otterranno l’impero romano; se falliranno anche solo una volta, si arrenderanno a Roma. 

Asterix e Obelix accettano e si mettono di buon grado a superare le prove. Fra queste, la più perversa è quella della «casa che rende folli»: se avete visto il film anche solo una volta in televisione, ve la ricorderete. Tutti se la ricordano: tutti, guardandola, sono rimasti turbati.

La sfida consiste nell’ottenere un documento (il lasciapassare A-38) da un grande edificio burocratico romano chiamato appunto «la casa che rende folli». Il compito si rivela quasi impossibile a causa del personale amministrativo che spedisce Asterix e Obelix da uno sportello all’altro, su e giù per le scale, scale lunghissime, in una sfida più psicologica che fisica, dove si dimostra che la burocrazia più di ogni altra cosa può fiaccare lo spirito. Ma Asterix e Obelix non si perdono d’animo, e a un certo punto riescono, con un giochetto, a battere il sistema.

Un incubo kafkiano 

Ho pensato molto a questo episodio negli ultimi tempi, essendomi trovata ad affrontare una serie di noie burocratiche che mi hanno esasperata al punto da trasformarmi (quasi) in una rivoluzionaria (populista).
Tutto è partito dal semplice rinnovo di un documento, che è diventato un incubo kafkiano, e credetemi, non abuso dell’aggettivo: quelle situazioni tutte speciali che capitano a chi vive all’estero. Non voglio raccontarvi i dettagli, perché scriverne mi provoca tutt’ora fatica emotiva, un po’ come quando eravamo immersi nella pandemia e non volevamo leggere i romanzi sul tema. Le persone che conoscono questa vicenda mi assicurano che si tratta in realtà di una storia che fa ridere moltissimo.

Basti sapere che il tutto è culminato in una grande messa in discussione della mia identità burocratica. Della mia stessa esistenza.
Per una persona che ha costruito la sua vita su un certo disinteresse per le tentazioni dell’identità, è stata un’occasione di riflessione. Per fortuna ora le cose sembrano giungere a una conclusione, o quantomeno a uno stato di minore urgenza e maggiore calma. (So già che la frase precedente mi porterà sfiga, perdonate il termine).

Burocrazia proviene dal francese bureaucratie (composto di bureau, ufficio, e -cratie, dal greco krátos, potere), vocabolo coniato intorno al 1750 dall’economista de Gournay: la burocrazia è, alla lettera, il potere degli uffici. E basterebbe già questo a farci star male: il potere degli uffici. Ma cerchiamo di non essere negativi: la burocrazia è un’amica del capitalismo, cosa potrà mai andare storto? Col capitalismo condivide il tentativo di creare processi e organizzazioni che persistono al di là delle persone (è proprio l’impersonalità del mercato a rendere possibile l’assunzione del rischio).

Contraddizioni 

Le persone vanno e vengono, la burocrazia e il capitalismo restano, insomma. Ora che ci penso anche la pornografia ha questa caratteristica: resta per sempre, al di là delle persone. E anche i tardigradi, quei minuscoli esseri viventi che sopravvivono persino alla guerra nucleare.
Il futuro è un mondo senza esseri umani, un mondo di tardigradi che guardano pornografia, ordinano beni e servizi su Amazon e nel tempo libero vanno negli uffici a chiedere il lasciapassare A-38.

La burocrazia è l’uso di processi gerarchici per rimpiazzare le decisioni autonome. La troviamo brutta forse perché ci piacerebbe prendere sempre e solo decisioni autonome?
Sappiamo che la burocrazia vuole essere razionale, ma è spesso inefficiente. Sappiamo che la burocrazia nasce per promuovere gli obiettivi di una comunità, ma che col tempo gli obiettivi diventano meno importanti, e resta solo la conformità alle regole e ai processi. Sappiamo che elimina i pregiudizi personali, ma che promuove la passività dei suoi funzionari. Sappiamo che permette di gestire realtà di grandi dimensioni, ma che poi deumanizza.
Sappiamo che documenta tutto, salva, mette da parte, che è persistenza della memoria, ma che poi si pietrifica: le informazioni passate diventano inflessibilità.
Sappiamo che è rischiosa pur essendo avversa al rischio: la sua lenta e diligente evoluzione è basata sulla raffinazione di processi ripetibili, fino a quando non sono privi di rischio e istituzionalizzati come comandamenti. In un ambiente che cambia, questo li rende ancora più rischiosi.

Non abbiamo mai capito se la burocrazia sia morte o vita. Probabilmente nessuna delle due cose. Di sicuro, quando abbiamo a che fare con la burocrazia dormiamo malissimo.

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