Il film Barbie, il più grosso successo al botteghino del momento su scala mondiale, è – come l’ha definito qualcuno – “una parabola femminista” oppure solo una furba e grandiosa operazione commerciale?

Probabilmente tutte e due, ma forse più la seconda. Gli incassi del film, che ha debuttato negli Usa il 20 luglio, hanno sfondato il tetto del miliardo di dollari, mentre grazie alla sua spinta pubblicitaria le vendite della bambola stanno salendo vertiginosamente in tutti i paesi.

Il progetto del film è nato nel 2009, quando la Mattel – l’azienda di giocattoli che ha creato la bambola, la più grande al mondo dopo la Lego – ha firmato un accordo di coproduzione con la Universal Pictures.

Poi nel 2018 i diritti sono stati riacquisiti dalla Mattel Films – una branca della Mattel nata nel frattempo – che ha firmato un nuovo accordo di coproduzione con la Warner Bros.

Quindi, il film Barbie è prodotto direttamente dalla Mattel, che vende la bambola Barbie, e ciò alimenta il sospetto che si tratti della più grande operazione di “product placement” – cioè basta piazzare un qualsiasi prodotto commerciale all’interno di un film per aumentarne le vendite – della storia.

La società di Barbie

Ma in questo caso c’è qualcosa di più sottile. Per capirlo basta raccontare la trama del film che non narrerò interamente, per non evitare spoiler. Nel film, Barbie “classica” e tanti altri modelli di Barbie vivono con i loro rispettivi compagni Ken a Barbieland. Le Barbie sono sicure di sé, autonome e di successo, e occupano i ruoli chiave della società: fanno tutte il medico, l’avvocato, o il politico. Invece, i loro compagni Ken sono succubi delle loro donne, trascorrono le loro giornate a non far nulla o a giocare in spiaggia.

Ken, il compagno di Barbie classica, è felice solo quando sta con lei e desidera un rapporto più stretto, ma Barbie lo respinge preferendo l’indipendenza e le serate tra amiche. Poi, accade l’irreparabile: durante un ballo ad una festa, Barbie inizia a meditare preoccupata sulla sua morte.

Misure sbagliate

Il giorno dopo, scopre che i suoi piedi sono diventati piatti – non riesce più a calzare le sue solite scarpettine – e che le è venuta la cellulite. Barbie “strana”, un’emarginata solitaria e saggia, le suggerisce che per guarire dal suo tormento dovrà viaggiare nel mondo reale e trovare la bambina che gioca con lei.

Non vado avanti nel racconto, ma avete già intuito il lieto fine: la bambola icona di perfezione deve scendere nel mondo reale per capire che la perfezione non solo non esiste ma è pure brutta. Che morale caramellosa, e forse opportunista. Da decenni la bambola Barbie per miliardi di bambine di tutto il mondo ha rappresentato l’immagine della perfezione, e ha fatto molti danni.

Barbie è stata ideata nel 1959 da Ruth Handler, moglie di Eliot, fondatore della Mattel, che voleva creare una bambola adatta a sua figlia piccola. La lanciò sul mercato descrivendola come la bambola che riproduce una “modella adolescente” che vive una vita d’alta classe.

Ma c’era un problema: le sue misure erano irrealistiche. Una bambola Barbie classica è alta 29 centimetri, ha il petto di 12,5 centimetri di circonferenza, la vita di 8, e i fianchi di 12. Tenendo conto che la bambola è in scala 1 a 6, una giovane donna reale modellata sulla bambola sarebbe alta 1 metro e 75, avrebbe la vita di 46 centimetri di circonferenza (quella normale è attorno a 70) e i fianchi di 75 (quella normale è 90); porterebbe abiti di taglia 3, da bimba di tre anni, e scarpe numero 32.

Un miliardo

Barbie è spaventosamente magra: se fosse una persona in carne ed ossa le mancherebbe la quantità di grasso corporeo necessaria per avere mestruazioni. Con le sue gambe esageratamente lunghe, il suo seno innaturalmente florido, i suoi capelli perfetti e la sua assenza di capezzoli e genitali, Barbie è stata definita “irreale dal punto di vista biologico”.

Per non parlare dello stile di vita proposto dalla bambola e dai suoi accessori, tutto lusso e agiatezze. Nel 1965 la Mattel aveva persino messo in vendita la “Barbie Pisolino”, che veniva venduta con una piccola bilancia che indicava 49 chili e un libretto di diete che diceva: «Non mangiare!».

Nel 1996, il 97 per cento delle bambine americane tra i tre e gli 11 anni di età possedeva almeno una bambola Barbie, e ogni bambina ne possedeva in media sette; l’86 per cento delle bimbe francesi almeno due, il 98 per cento delle bimbe tedesche almeno tre. Fino ad oggi nel mondo sono state vendute più di 1 miliardo di Barbie. Ogni secondo ne viene venduta una.

Desideri da bambole

Nel 2006, un gruppo di psicologhe guidate da Helga Dittmar, dell’Università del Sussex, in Gran Bretagna, sulla prestigiosa rivista Developmental Psychology ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: “La Barbie spinge le bambine a voler essere magre?”.

Le ricercatrici hanno selezionato 162 bambine di età compresa fra i tre e gli otto anni, poi hanno fatto giocare alcune di loro con bambole Barbie, altre con bambole di proporzioni normali, e altre ancora con nessuna.

Le bambine sono cresciute, e qualche anno più tardi, prima dei 12 anni, sono state sottoposte a una serie di test: le bambine che avevano giocato con le Barbie mostravano una autostima inferiore e un maggiore bisogno di perdere peso rispetto alle altre.

Uno studio simile condotto in Olanda su 117 bimbe di età compresa fra i sette e gli 11 anni ha dimostrato che le bimbe che avevano giocato con la Barbie provavano meno fame e mangiavano meno delle bimbe che avevano giocato con una bambola di proporzioni realistiche. Uno studio australiano più recente ha confermato questi risultati.

Un’altra ricerca ancora ha dimostrato che studentesse americane che frequentavano il college, se venivano costrette a paragonare sé stesse a modelle o a bambole Barbie, poi mostravano una diminuzione della propria autostima, un netto aumento del senso di insoddisfazione verso il proprio corpo e un incremento del desiderio di intraprendere attività sessuali promiscue.

Nel 2018, alcuni psichiatri tedeschi hanno anche riferito il curioso caso di una donna di 37 anni che si era sottoposta a infinite diete e molteplici interventi chirurgici per assomigliare in tutto e per tutto alla bambola Barbie, della quale era affascinata fin da bambina, e avevano definito il suo disturbo “sindrome della bambola Barbie”.

(Studi preliminari condotti sulla bambola Ken suggeriscono che essa sembrerebbe esercitare un effetto paragonabile, diminuendo l’autostima e aumentando il desiderio di magrezza nei giovani maschi).

Fuori dal comune

Insomma, la bambola Barbie con le sue proporzioni irreali potrebbe promuovere nelle bambine e nelle adolescenti l’internalizzazione di un ideale di bellezza ultra-magra che potrebbe favorire nelle giovani il calo dell’autostima, l’aumento dell’insoddisfazione verso il proprio corpo e del desiderio di avere un corpo magro.

In altre parole, la Barbie potrebbe avere contribuito all’esplosione dei casi di anoressia, di altri disturbi alimentari e di depressione che si sta manifestando soprattutto tra le giovani donne nei paesi occidentali. E anche il modello di vita lussuosa e agiata esemplificato dalla bambola Barbie potrebbe contribuire a far sviluppare nelle giovani una insoddisfazione verso il proprio stile di vita.

Ovviamente, non stiamo dicendo che la bambola Barbie provochi l’anoressia e altri disturbi. I disturbi del comportamento alimentare sono malattie multifattoriali favorite dalla predisposizione genetica e provocate da traumi, da relazioni familiari disfunzionali e da fattori culturali quali gli ideali di bellezza propagandati dalla società e dai media; ma con ogni probabilità la bambola Barbie contribuisce a formare un ambiente favorevole al loro sviluppo.

La Mattel era consapevole di questi studi e delle critiche conseguenti, ed è corsa ai ripari. Nel 2016 ha lanciato sul mercato tre altri modelli di Barbie, col claim “Adesso la smettete di parlare del mio corpo?”: la Barbie Curvy (più formosa), la Barbie Tall (più alta) e la Barbie Petite (più piccina), delle quali solo la bambola Curvy ha dimensioni vicine a quelle di una donna reale.

E adesso arriva il film, dove Barbie decide di scendere nel mondo reale e di accettare i suoi piedi piatti e la sua cellulite, come una donna comune: solo che è impersonata da Margot Robbie, che di comune, con la sua bellezza sfolgorante, non ha proprio niente.

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