Faccio questo mestiere ormai da molti anni, e da molti anni (meno di quelli da che faccio questo mestiere, ma comunque tantissimi) la gente ha smesso di andare al cinema. Ci va poco o niente, e quando arrivano “gli eventi” (oggi sono tutti eventi, chissà perché, chissà per chi) lo fa comunque, credo io, controvoglia: esce il nuovo Avatar e vabbè, vediamolo, ce tocca, ma in fondo chissenefrega.

Faccio questo mestiere da molti anni, e da molti anni la gente ha smesso di chiedermi «cosa c’è da vedere al cinema adesso?».

Com’è Barbie?

Perché appunto la sala non è più una destinazione prioritaria, perché c’è Netflix, c’è Prime, c’è che in tanti ormai si sono stufati dell’“esperienza della sala” stessa, perché tanti cinema vicino casa hanno chiuso, tanti altri sono tristi, sempre vuoti; perché si sente male, perché c’è mezz’ora di pubblicità prima dell’inizio del film, eccetera eccetera.

Io pure, che i film li vedo tutti, ormai non so più cosa c’è al cinema, non so mai cosa consigliare a quei pochi resistenti dell’Anteo (i milanesi sanno di che parlo) che ancora ci provano, si sforzano, e mi chiedono, appunto, cosa andare a vedere.

Negli ultimi giorni, pressoché chiunque mi ha chiesto “com’è Barbie?”. Quei pochi marziani che continuano ad andare al cinema con una certa frequenza, ovviamente, ma anche persone che non vanno al cinema da mesi, forse addirittura da anni. Giovani e vecchi, impiegati milanesi e architetti maremmani. Tutti.

Barbie ha generato un hype, come si dice in gergo, come nessun altro titolo negli ultimi anni. Certo, dietro c’è l’effetto nostalgia (anche la mia, che di Barbie da bambino ne avevo a decine) per un marchio fortissimo: ma è un’operazione a suo modo nuova per il cinema. Non è l’ennesimo capitolo dell’ennesima saga Marvel, non è appunto Avatar 2, non è il film del comico di turno: tutta roba che ormai, come dicevo sopra, chissenefrega.

Effetto rosa

Nel primo giorno di programmazione in Italia, Barbie ha incassato 2.140.283 euro (per fare un paragone: l’altrettanto colossale Mission: Impossible - Dead Reckoning Parte Uno da noi ha superato i 2 milioni e mezzo di euro dopo dieci giorni nelle sale).

Nel primo weekend, Barbie è arrivato a 7.717.161 euro (negli Stati Uniti a 155 milioni di dollari; e il film, tolta la massiva campagna promozionale, ne è costati 145 milioni: fate voi quanto potrà ricavarci a corsa finita).

Le sale anche italiane sono piene di spettatori spesso giovanissimi vestiti di rosa, ma più che cosplayer nerd sono quelli che seguono l’onda Barbiecore, come la chiamano negli Stati Uniti, questa tendenza pink che investe la moda e che fa finire le vernici del pantone Barbie Dreamhouse nei negozi di fai-da-te (tutto vero).

Il paradosso

AP

«Quando ci sono i film, la gente al cinema ci va». È il mantra di un’amica romana, ed è la verità. L’altra sera, a cena da amici, in tre mi hanno parlato, ancora, dell’Ultima notte di amore, il noir notturno-milanese di Andrea Di Stefano con Pierfrancesco Favino e Linda Caridi che è diventato la vera sorpresa nostrana della stagione, e che sta tenendo bene anche nelle arene estive.

E tutti i presenti o quasi mi hanno chiesto, appunto, «com’è Barbie?». A voi non lo dirò, perché questo non è un pezzo su Barbie in sé. È un pezzo sul cinema oggi (inteso come film che vanno in sala), e su quello di cui oggi il cinema ha bisogno: «Quando ci sono i film, la gente al cinema ci va», ribadisco, e Barbie è indubbiamente un titolo che sta facendo traino come pochi (da noi per giunta a luglio, mese in cui le sale sono tradizionalmente disertate).

Il mio Facebook è pieno di critici molto criticoni, dicono che Barbie non è il film d’autore che vuole essere (l’ha diretto Greta Gerwig, regista di Lady Bird e Piccole donne, che l’ha anche scritto insieme al compagno Noah Baumbach, anche lui autore intellò). Dicono che così è troppo facile, che questa è una pura operazione di marketing, che dietro ci sono i soldi della Mattel.

Tutto vero, com’è altrettanto vero che Barbie è pensato come film largo, altro aggettivo oggi abusatissimo; come titolo da 0-99 anni, come si diceva un tempo. Per di più, un titolo largo con protagonista una donna (per quanto marchio assai famoso), diretto da una donna, e con un messaggio profondamente femminista.

Nel nostro paese, come osserva il bravo collega Robert Bernocchi, fa ancora più effetto: non ci sono film con protagoniste donne ai primi posti delle nostre classifiche da… non sappiamo nemmeno dire quanti anni (i casi alla Come un gatto in tangenziale non fanno testo: c’è sì una protagonista donna, nella fattispecie Paola Cortellesi, ma sempre divisa a metà con un uomo, Antonio Albanese).

Che il messaggio femminista, nel 2023, arrivi da parte di Barbie, una delle figure per quanto mitiche anche più osteggiate dalla nuova ondata di rivendicazioni, è un paradosso assai divertente, altro motivo per cui il film sta generando tale curiosità e dibattito.

Oltre il marketing

Ma questo non è un pezzo su Barbie, dicevo. È un pezzo sulla gente che, incredibile ma vero, dimostra di avere ancora voglia di cinema. Se il nuovo Mission: Impossible arranca (ma comunque, nel momento in cui scrivo, è arrivato a 370 milioni di dollari di incasso globale; e non si può certo dire che Tom Cruise non sia il principale “salvatore delle sale cinematografiche”, come l’ha ribattezzato Steven Spielberg dopo il successo post-Covid di Top Gun: Maverick), negli Stati Uniti è il periodo di Barbienheimer, cioè Barbie + Oppenheimer, i due titoli più attesi della stagione usciti entrambi il 21 luglio (da noi il film di Christopher Nolan sull’inventore, per così dire, della bomba atomica arriverà il 23 agosto).

Anche quella è stata una sapiente campagna di marketing, il blockbuster tutto rosa accanto a quello tutto nero, coi rispettivi protagonisti che compravano i biglietti dei film dell’altro, in una gara di solidarietà per un bene comune: la salvezza delle sale.

E così è stato: «Quando ci sono i film, la gente al cinema ci va» vale anche in America, Barbie come dicevo ha toccato la cifra record di 155 milioni di dollari (il miglior esordio di sempre per una regista donna) e Oppenheimer ne ha rastrellati 80, risultato di gran lunga al di sopra delle aspettative.

I film e lo sciopero

Tutto ciò mentre a Hollywood imperversa il sacrosanto sciopero di attori (riuniti nel sindacato Sga-Aftra) e sceneggiatori (Wga) contro le nuove regole degli studios e in particolare sulle clausole contrattuali che riguardano i diritti di sfruttamento dell’immagine sulle piattaforme e il prepotente ingresso dell’intelligenza artificiale come nuovo attore, anche letteralmente, del cinema che verrà.

Uno sciopero che sta tenendo in stallo le produzioni dei grossi Studios, che rende pressoché impossibile la partecipazione dei titoli prodotti e distribuiti dalle major ai festival di fine estate (è già saltata l’anteprima veneziana di Challengers di Luca Guadagnino starring Zendaya, scelto come film d’apertura e nei giorni scorsi rimandato al 2024) e che potrebbe durare ancora mesi, mettendo a rischio il box office autunnale dopo il passaggio dell’atomica bionda che ha travolto l’estate (anche Dune - Parte due, sequel del blockbuster sci-fi di Denis Villeneuve annunciato come uno dei sicuri mastodonti dell’autunno, è rinviato all’anno prossimo).

Certi critici molto criticoni dicono che tour promozionali e tappeti rossi servono a poco, se “ci sono i film”; che lo star system, in fondo, è morto, oggi valgono di più i brand.

In parte è vero: Oppenheimer s’è visto stoppare bruscamente la promozione a causa dello sciopero della Sag-Aftra e il suo “brand” Christopher Nolan sta comunque portando a incassi notevolissimi, considerato anche che non è un film facile (l’ho visto, ma questo non è nemmeno un pezzo su Oppenheimer: ne parleremo più avanti).

Ma Barbie dimostra che parte dell’interesse suscitato da un film è anche l’operazione di comunicazione e “stuzzicamento” che viene prima: il red carpet globale con Margot Robbie che replicava filologicamente i look della bambola più famosa del mondo è stato, nel suo campo, un capolavoro.

Il futuro del cinema

In una fase di impasse generale in cui non si smette di dibattere su evoluzione dell’audiovisivo, ruolo dei servizi di streaming e destino delle sale, Barbie (e Oppenheimer, per ora relativamente agli Stati Uniti) è la grossa operazione, insieme furbissima e riuscitissima, che conferma che un futuro per il cinema è ancora possibile.

Forse servono le idee (sceneggiatori in sciopero, ci state leggendo?). Forse serve non trattare più il cinema stesso come una grande piattaforma dove caricare franchise o pseudo-eventi sempre più serializzati, derivativi, para-televisivi (e lo dimostrano i recentissimi risultati tutt’altro che brillanti, quando non veri e propri flop, di titoli come Ant-Man and the Wasp: Quantumania, The Flash, Fast X, Guardiani della Galassia Vol. 3, Dungeons & Dragons - L’onore dei ladri, Shazam! Furia degli dei, solo per dirne alcuni).

Se l’onda lunga (e sicuramente rosa) di Barbie si farà sentire, anche solo quello sarà un grande successo per tutto. Certo, bisogna che ci siano i film, poi la gente al cinema ci va. Ma pensa un po’.

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