«Io ed Elena ci sposiamo». La mia settimana è iniziata così, sul pianerottolo di casa, con la comunicazione di Giulia, l’amata dogsitter del mio cane. Discreta com’è, forse non me lo avrebbe neppure detto se sabato non avessi avuto bisogno di lei.

Tutto è iniziato quando ho acquistato un volo per Lamezia Terme per la cifra di 12,50 euro. Un esperimento che fino all’ultimo credevo di non mettere in atto e che mi avrebbe portato tre giorni a Tropea, in Calabria, per vedere come fosse il mare di cui tutti parlano. Non potendo portare con me il cane, ho chiesto aiuto a lei che a sorpresa mi ha dato la lieta novella.

E non è finita. Lei e la sua futura moglie – che, mentre leggete, lo sarà appena diventata – aspettano un figlio che arriverà a settembre. «Siamo andate a Madrid per l’eterologa. È stato un percorso che ci ha messo a dura prova come coppia, ma ora non vediamo l’ora che nasca», dice mentre fingo di allacciarmi le scarpe per non mostrarmi in lacrime. Sarà che non me lo aspettavo, sarà che vorrei dirle: «Giulia, ma proprio adesso?».

Meglio la crioterapia

Milano ci aveva fatto credere di essere la città migliore del mondo, la pólis, una città stato come quelle della Grecia Antica. E invece nei giorni scorsi ci ha mostrato tutta la sua vulnerabilità con un richiamo al sindaco Beppe Sala da parte del prefetto – e quindi del ministero dell’Interno – che ha obbligato il comune a interrompere il riconoscimento e le registrazioni all’anagrafe dei figli di coppie omogenitoriali.

Una doccia ghiacciata peggio della crioterapia. «Ho letto che potrebbero ricorrere ai servizi sociali. Qual è il rischio maggiore per noi?», chiede lei. Nessuno Giulia, la rassicuro pensando già all’avvocato che potrebbe fare al caso loro.

Giulia ed Elena si sono conosciute tre anni fa su Tinder, una si trovava a Milano e l’altra a Vicenza. Hanno fatto “match” appena è iniziata la pandemia e hanno continuato a scriversi per mesi, prima dell’incontro. «Questa gravidanza è stata pensata e voluta», dice mentre mette il guinzaglio a Olga, lasciandomi sul pianerottolo con la voglia di bere un gin tonic alle quattro di pomeriggio. 

Ceci al curry e burocrazia

Mentre rientro, mi scrive su WhatsApp Andrea Caravita, pierre di Moschino, per invitarmi a cena nella sua nuova casa insieme alle amiche comuni Rosa Cracco e Chiara Maci «che cucinerà per noi dei ceci al curry», dice lui lasciandomi scettica – invece sbagliavo, la ricetta è sul suo blog e ve la consiglio.

La voglia del gin tonic è sempre lì ma viene interrotta dalla chiamata tempestiva dell’amico fotografo Leandro Emede. Anche lui ha due gemelli, Blu e Libero, avuti insieme al marito, lo stylist degli artisti Nick Cerioni. Chi meglio di loro potrebbe dare un consiglio a Giulia per districarsi nella burocrazia?

La loro storia è iniziata 16 anni fa, sono uniti civilmente da sette, e il desiderio di crescere figli insieme si è fatto largo col tempo. Li hanno avuti con la Gpa, la loro portatrice gestazionale vive negli Stati Uniti, è una donna che lavora, ha un’assicurazione sanitaria – senza cui non avrebbe potuto prestarsi alla maternità surrogata – ha già due figli suoi e con Leandro e Nick si sentono spesso. Gli strappo la promessa di aiutare Giulia se dovesse servire, e mi preparo per raggiungere l’amico Paride Vitale a cena da Delicatessen con il giornalista Alessio Viola.

L’Amaro del capo

Avrei voluto avere da Paride notizie del suo programma su Sky con Victoria Cabello, e invece finiamo a parlare di diritti civili. Milano non si placa, o almeno quella che frequento io. «Non puoi negare a un bambino, che ha due genitori, che gli siano riconosciuti. Regolamentare la famiglia dovrebbe essere nell’interesse di tutti», spiega, ricordandomi che in Inghilterra i matrimoni civili gay li avviarono i conservatori nel 2013.

«Il primo ministro inglese David Cameron diceva proprio questo: “Proprio perché siamo conservatori dobbiamo riconoscere i diritti dei gay. Perché vogliamo che ci siano delle regole e che vadano rispettate”». Intanto io ho raggiunto Tropea.

Sotto l’albergo dove alloggio c’è una fiera e la prima canzone che sento al megafono è quella di Rosa Chemical: “Ti piace che sono perverso e non mi giudichi, se metterò il rossetto in ufficio il lunedì...”. Sono le cinque di pomeriggio, per il gin tonic è presto ma per un Amaro del capo – che è locale – è sempre l’ora.

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