Ripubblicato a 13 anni di distanza dalla prima edizione, il manuale di Edgar Morin e Mauro Ceruti tenta di rispondere alle domande: che cos’è l’Europa e chi sono gli Europei? C’è una risposta essenzialista e una “rotturista”
Insegnare l’Europa, invece che l’identità italiana? Era il 2012 quando l’Ue fu insignita del premio Nobel per la pace. Fu allora che Edgar Morin e Mauro Ceruti – teorici del pensiero complesso – misero mano a La nostra Europa, libro uscito l’anno successivo. Non era il testo euforico che ci saremmo aspettati da due europeisti convinti, perché si chiudeva con parole difficili: «Mai nella storia d’Europa le responsabilità del pensiero e della cultura sono state così tremende». Sono passati appena 13 anni, durante i quali abbiamo visto l’Europa entrare in affanno sul tema delle guerre, sia quelle che occupano i nostri schermi e le nostre coscienze, sia le altre, più numerose e altrettanto mortifere, che insanguinano Africa e Asia meridionale. Durante questi pochi anni c’è stata la Brexit e sono sorti partiti e governi dichiaratamente anti-europeisti; abbiamo visto giovani bruciare la bandiera europea per le strade, mentre, in un mondo attivamente alla ricerca di nuovi nemici, non manca chi indica l’Europa come il nemico vero da abbattere. Per contro, l’Europa diventa il sensale che deve contrattare dazi, ma anche il burocrate che angustia i cittadini con la sua pulsione a protocollare il mondo. Ma più ancora, “la cultura europea” scade al rango di brand identitario multiuso, col quale decidere chi possa o no entrare in Europa, proclamare la propria irriducibile diversità rispetto a ortodossi russi e musulmani mediterranei e, per quanto riguarda la scuola, marcarne di superiorità l’insegnamento: «Solo l’Occidente conosce la storia», lo abbiamo ben presente questo timbro apposto alle nuove Indicazioni di storia dalla commissione Valditara.
Così, a tredici anni di distanza, La nostra Europa viene ripubblicata. «Là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva», scrivono i due autori nella nuova Introduzione, citando Hölderlin. Il pericolo è nel fatto che l’Europa sta subendo la sua crisi più minacciosa proprio nel mezzo della sua trasformazione. Non è più un bruco, ma nemmeno una farfalla. La crisalide è nel momento delicato della sua vita. Ma cos’è ciò che la può salvare? Gli autori fanno un lungo elenco di azioni politiche che possono completare un processo di unificazione finora più attento alle questioni economiche, che non a quelle sociali, di organizzazione dei processi decisionali di un corpo elettorale di ben 450 milioni di cittadini e di politica estera, come l’apertura al mediterraneo, complemento necessario della parte continentale dell’Ue. Un processo che, come tutti vediamo, trova nella sovranità degli stati il suo punto interrogativo più oscuro.
Sul versante culturale si formano le responsabilità degli intellettuali e, in particolare, degli studiosi e degli insegnanti. Molte di queste riguardano proprio la storia. Sono le due risposte che possiamo dare alla domanda «che cos’è l’Europa» e, di conseguenza, «chi sono gli europei».
C’è una risposta essenzialista, che consiste nell’andare a cercare nel passato gli ingredienti dell’identità europea. E c’è una risposta “rotturista”, che vede nell’Europa odierna un qualcosa di integralmente nuovo. Storici, intellettuali e insegnanti possono praticarle entrambe: e in questo sta la loro tremenda responsabilità. Se adottano la prima, si invischieranno in politiche identitarie che spesso giustificano scelte di chiusura, rispetto al mondo, ma anche rispetto agli altri compagni di viaggio europei. Se adottano la seconda, insegneranno ai cittadini che l’Europa «non esiste fino alla metà del XX secolo, se non nelle divisioni, negli antagonismi e nei conflitti che, in certo senso, l’hanno prodotta». Spiegheranno che il progetto di creare, in questa parte del mondo, una convivenza complessa, «contrapposta al semplicismo brutale e omologante dello spirito totalitario, imperiale e autocratico», nasce dalle macerie della Seconda guerra mondiale. L’Europa non è il suo passato, pure di luci e ombre. È un futuro che, pur utilizzando elementi della sua storia straordinaria, guarda a una società da costruire.
Un progetto di vita che rischia di essere soffocato, a meno che gli europei non riescano a riconoscersi come “comunità di destino”. Un salto da compiere, ma vitale, per non essere travolti dai cambiamenti che stanno sconvolgendo il pianeta. Il governo italiano ha fatto la sua scelta. L’Italia è la sua identità. Coerentemente, Valditara ha emanato programmi di storia centrati sull’Italia, adeguandosi, così, al vento identitario dell’Est. Gli storici hanno rifiutato questa scelta. A settembre toccherà agli insegnanti decidere se stare con l’Europa del passato o con quella del futuro.
In questo frangente, La nostra Europa si presta a diventare uno strumento duttile. La materia è organizzata in 65 affermazioni, pro o contro l’Europa, che vengono argomentate in modo succinto ma preciso e in un linguaggio chiaro, che permette il loro uso nelle ore di storia, sia in quelle di Educazione civica, immettendo un soffio di aria pura nell’atmosfera asfitticamente securitaria creata dalla legge del 2019.
Edgar Morin, Mauro Ceruti
La nostra Europa (con una nuova introduzione degli autori), Raffaello Cordina Editore, 2025 (prima edizione 2013), 16 euro
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