Moana rivoluzione, mero esibizionismo, vittima di sé stessa. Moana pioniera, femminista di nuova specie, tipica donna oggetto. E ancora: felice, felicissima, al comando della sua vita/una donna profondamente infelice, frustrata, che detestava il suo lavoro.

Avrebbe voluto fare l’attrice di cinema, teatro, attrice normale/avrebbe voluto fare esattamente ciò che faceva. Di Moana Pozzi, negli anni, s’è detto tutto e il contrario di tutto, come accade spesso nei discorsi sulle figure che marcano una soglia, un punto di non ritorno. «Moana è la nostra Marilyn», qualcuno azzarda: «Non esageriamo, mera prostituzione pubblica». 

Moana puttana, un prelato l’ha proposta per il processo di beatificazione, santa Moana. Soldi, si vendeva per soldi. Frigida, anorgasmica, pezzo di marmo, un bluff: la peggiore pornostar della storia, dicono grandi registi dell’hard ed ex colleghi. Una missione la sua, ribattono i sostenitori: aveva scelto di cambiare le cose, battaglia culturale, civile. Progresso. Moana eroina, liberatrice del piacere femminile, universale. Moana benefattrice, attivista, assistente sociale. Intelligentissima, colta, un genio/scriveva come una bambina.

La filosofia di Moana

Da qualsiasi parte lo si osservi l’oggetto culturale e simbolico Moana Pozzi offre infiniti rimandi e connessioni, per nulla univoci. Di più: contraddittori. Il segreto di Moana, dispiegatosi in carne e ossa tra gli anni Ottanta e Novanta del nostro paese, permane intatto, anche per chi l’ha conosciuta solo postuma. Segreto intimo, segreto di un mondo. Ascendente magico.

Nei giorni scorsi, mentre raccoglievo materiale per quest’articolo, ho postato nelle storie di Instagram un breve passaggio di una sua intervista televisiva, e un ragazzo giovanissimo, nato quando lei era già morta, mi ha scritto entusiasta in Direct: «Finita la pandemia, col mio gruppo LGBT organizziamo un incontro su di lei. Ti va di venire?». Cosa ci ha fatto Moana Pozzi? Perché siamo, ammetto: sono, ossessionato da lei?

Si può scivolare nel dedalo carismatico di Moana da molti punti, ad esempio dalla sua autobiografia, La filosofia di Moana, un testo ormai introvabile nella versione cartacea, venduto carissimo sul mercato dei collezionisti. Un libro concepito come un dizionario tematico – dalla A di “amanti” alla Z di “zingari” – che si apre con la sua carta di identità: Anna Moana Rosa Pozzi, nata a Genova il 27 aprile 1961, alta 1.78 m, occhi verdi, capelli biondi. Segni particolari: tre tatuaggi, un drago nero sulla nuca, un drago azzurro sul polso sinistro, un colibrì sul piede sinistro. Professione: pornostar. Pagina successiva: collage di nudi integrali.

(Foto: Marco Lanni/Guardarchivio)

Un libro che nessuna casa editrice volle pubblicare per paura delle querele e che Moana dunque si pubblicò da sola, dando scandalo, una volta di più, dato che contiene, tra le altre cose, le pagelle assegnate, con tanto di commenti dettagliati e voto, ai suoi amanti: Beppe Grillo («Mi fece morire dalla risate ed era dolcissimo», voto 7-), Enzo Arbore («Non molto fantasioso e forse un po’ timido», voto 6), Andrea Roncato («Simpatico, generoso, aveva un bel cazzo» voto 7), Luciano De Crescenzo («Il sesso era il suo chiodo fisso, voleva scopare dal mattino alla sera», voto 7), Falcao («Bel corpo ma troppo sbrigativo», voto 5).

E poi Enrico Montesano, Renato Pozzetto, Marco Tardelli (l’unico 8 della lista), Massimo Troisi, il segretario di un partito di sinistra (Bettino Craxi? Gianni De Michelis?), Robert De Niro, a cui però Moana preferì l’amico Harvey Keitel, fino a Roberto Benigni che, di fronte alla possibilità di una cosa a tre, scappa per tutta la stanza urlando: «Siete matte, io mi vergogno».

Un libro e un manifesto, popolato com’è di massime e definizioni icastiche: «Per me è proibito: non sperimentare tutto ciò che ci incuriosisce, avere troppa fiducia negli altri, non sapersi lasciare andare ai sentimenti e alle passioni, non tenere in forma il proprio corpo, maltrattare gli animali e le piante, lasciarsi prendere dalla tristezza per più di una volta alla settimana». E ancora: «Molti mi dicono: “Sei una puttana, una prostituta pubblica”. Non mi importa di quello che la gente pensa di me e comunque nell'essere puttana non ci vedo niente di male».

(Foto: Agf)

L'infanzia e gli inizi

Chi pensa che dietro le scelte di Moana Pozzi ci sia stata un’infanzia difficile, deprivazione affettiva, trauma, si sbaglia: figlia di padre ingegnere nucleare e madre casalinga, i genitori di Moana si vogliono bene e ne vogliono alle loro due figlie. Sono cattolici, ma piuttosto aperti, finché ovviamente non si arriva a parlare di sesso.

Sul nome di Moana, di nuovo fraintendimento, di nuovo leggenda: si crede sia un nome d’arte che viene dall’inglese “to moan”, ovvero “gemere”. La donna che geme. In realtà i nomi di Moana e della sorella Tamiko vengono scelti dai genitori usando l’atlante geografico, è gente che ama viaggiare. E Moana è il nome di un’isola delle Hawaii che, in polinesiano, significa: «Dove il mare è più profondo». Mare segreto, Moana sommersa.

Moana e Tamiko sono sempre in ordine, ben vestite, mentre il padre mette nelle loro mani loro ottimi romanzi – tranne Moravia, ritenuto osceno – e ogni domenica le porta a messa e in pasticceria. Moana studia dalle Orsoline e al conservatorio, ma già a tredici anni adora farsi guardare: quando va al mare con la scuola, si porta una Polaroid per farsi fotografare in topless dai compagni di classe.

La madre la veste da collegiale e le impedisce di uscire alla sera, Moana scappa dalla finestra e si cambia in strada: minigonna e scarpe con i tacchi comprate di nascosto. Sulla sua educazione religiosa, nell’autobiografia scrive: «Fino all'età di tredici anni non ho mai provato sentimenti nei confronti di Dio se non una grande paura dei suoi possibili castighi. Quando ho avuto le prime esperienze sessuali ho sentito che non c'era niente di male, non provavo sensi di colpa e non capivo perché Dio avrebbe dovuto proibire di fare l'amore. Sono cresciuta e adesso credo in Dio senza più superstizioni. I comandamenti che rispetto sono: non avrai altro Dio al di fuori di me, onora il padre e la madre, non uccidere, non rubare».

(Foto: LaPresse)

In realtà quest’ultimo comandamento qualche volta lo infrange: a quindici anni trova il primo giornaletto porno nascosto dal nonno sotto il divano, lo ruba e lo mostra al fidanzato per riprodurre le posizioni, ma lui si spaventa e sparisce.

Ma la prima volta per Moana arriva comunque di lì a poco: «Ho perso la verginità nella primavera del 1976 all'età di quindici anni. Lui ne aveva ventitré, si chiamava Antonio ed era uno studente universitario. Un pomeriggio mentre stavo aspettando l'autobus si fermò con la sua Mini Cooper e mi chiese se volevo un passaggio. Accettai e mi ritrovai nella pineta di Mornese. Lui non mi piaceva ma devo ammettere che avevo un gran desiderio di provare cosa fosse il sesso nel modo più completo. Sentii molto dolore, non mi divertii affatto e dopo quell'esperienza passò un anno prima che facessi l'amore di nuovo». Moana e Antonio non si rivedono più, ma poco importa.

Si stufa del moralismo che ha attorno in Liguria e nel 1979, compiuti diciotto anni, scappa a Roma, dove, rispondendo ad annunci sui quotidiani, inizia a posare nuda a pagamento per alcuni pittori (a volte si tratta solo di vecchi guardoni). Poi, grazie ad amicizie più o meno influenti – di nuovo: Bettino Craxi? Gianni De Michelis? – inizia ad apparire su giornali e riviste, fino a sbarcare in tv. Grazie alle raccomandazioni inizia a condurre in Rai, insieme a Bobby Solo, Tip tap club, una trasmissione pomeridiana per bambini.

Ma la prima esperienza catodica finisce in fretta, dato che si viene a sapere che nel frattempo Moana ha girato, con lo pseudonimo di Linda Heveret, Valentina, ragazza in calore, il suo primo film porno. Appena la Rai se ne accorge la licenzia, mentre i genitori smettono di parlarle per un anno per poi offrire di pagarle un corso di recitazione purché abbandoni quella strada.

L'osceno è il sublime

Niente da fare, Moana persevera. L’osceno è la sua vocazione, in un’intervista a Roberto D’Agostino dirà: «La gente vive male la propria sessualità. La vera perversione è la routine, l’abbrutimento nel lavoro quotidiano. La pornografia invece esalta il lato oscuro del desiderio. Il sesso è anche nero, contorto, corrosivo; non è sempre una cosa solare, gioiosa. A me piace l’oscenità, mi annoia invece la volgarità, che è cattivo gusto e basta. L’osceno è il sublime».

Alterna le pellicole hard ad altri film che la fanno uscire nuda dalla vasca di Manuel Fantoni nel film di Carlo Verdone Borotalco o finire in Ginger e Fred di Federico Fellini nel 1985. Nell’ambiente del cinema il suo nome e le sue foto prendono a girare, finché nel 1986 viene contattata da un ex paparazzo che sta creando il primo impero del sesso in Italia: Riccardo Schicchi, insieme alla compagna Ilona Staller, le chiede di entrare nella sua scuderia.

La pornografia dell’epoca ovviamente è ben diversa da quella attuale. I film in cui appare Moana hanno tempi dilatati, molti dialoghi, amplessi lentissimi e corpi del tutto comuni o persino trasandati, non ancora plasmati dalla chirurgia estetica. Una pornografia molto più vicina alla realtà dei rapporti della gente comune ma, ciononostante, parecchio più remunerativa di quella online di oggi. Si fanno molti soldi col porno negli anni Ottanta e Moana diventa ricchissima.

Del denaro scrive: «Mi piace guadagnarlo, toccarlo, spenderlo e metterlo in banca. Per me è il mezzo per poter fare e avere quasi tutte le cose che desidero. Senza soldi non mi sento né tranquilla né felice». Guadagna ogni mese 150 milioni di lire, il suo patrimonio arriverà a superare i 50 miliardi.

Colleziona pellicce, compra un attico all’Olgiata stimato sui due miliardi che riempie di colonne, marmi e specchi tra il barocco, il neoclassico e il kitsch. Si circonda di inginocchiatoi, acquasantiere – torna l’educazione cattolica – statue di santi. E adora le fontane antiche, che mette dentro casa e in terrazza, insieme ai letti a baldacchino e bagni – il suo ambiente prediletto – rivestiti di marmi neri, oro e conchiglie.

(Foto: LaPresse)

Figura poliedrica

L’eccezionale storia di Moana va compresa mettendo a fuoco il periodo storico: in quegli anni la pornografia e il desiderio sessuale, specie se femminile, sono considerati patologie, devianze, e in quanto tali vanno curati o almeno nascosti. La morale cattolica è rigogliosa e tutta a sfavore delle donne: basti ricordare che solo nell’agosto del 1981 verrà abrogato il diritto d’onore, con cui il marito, o un parente, che assassinava una donna colpevole di adulterio, se la cavava con una pena tra i tre e i sette anni di reclusione.

In questo mondo, una donna decisa a fare del sesso un mestiere, non poteva che provare a sopravvivere nell’ombra, ai margini. Ma Moana non ha nessun’intenzione di restare nascosta, e qui passa forse la sua rivoluzione.

Moana Pozzi non fu una semplice attrice a luci rosse, ma un personaggio estremamente popolare, a più livelli, che portò – volontariamente, in modo programmatico – il corpo dello scandalo ovunque. In televisione, sui giornali, nei talk show, nelle tribune politiche, addirittura nella tv per ragazzi, mischiando i piani, valicando le recinzioni del potere che miravano ad addomesticare, scindere, bandire. Infognare.

È una figura dell’intersezione, Moana, più ibrida che estrema, interessata ad immettere il piacere sessuale – soprattutto delle donne – nella cultura di massa, rendendolo tratto visibile della personalità, degno di rappresentazione mainstream.

(Foto: LaPresse)

In questa storia infatti i casi mediatici non mancano: nel 1986 Schicchi, Cicciolina e Moana mettono in piedi uno spettacolo che è entrato nella leggenda del porno. Al Teatro delle Muse di Roma sbarca Curve deliziose, uno show piuttosto sperimentale in cui Moana e Cicciolina si spogliano e fanno al pubblico – quasi del tutto maschile – domande sul sesso.

Professoresse di fronte ad alunni un po’ cresciuti. Verso la fine Moana si siede su una poltroncina di raso bianco e si masturba, finché chi tra il pubblico ha dato le risposte migliori viene invitato sul palco, fatto inginocchiare e invitato a praticarle del sesso orale.

Naturalmente dopo tre settimane Moana e Cicciolina vengono denunciate per atti osceni in luogo pubblico ma nel frattempo Moana diventa una vera e propria icona popolare. Fa servizio di pubblica utilità, dicono i difensori: permette anche a uomini ai margini della società di desiderarla e averla. Il teatro era infatti pieno di disabili, anziani, immigrati.

Non si capisce come sia possibile ma subito dopo lo spettacolo incriminato Moana torna alla tv per ragazzi, conducendo con Fabio Fazio su Rai3 il programma Jeans. La Federcasalinghe insorge e la costringe a ritirarsi, sostenendo che sia del tutto inappropriato il finanziamento di «simili personaggi» attraverso l’uso dei soldi dei contribuenti. Ma, in realtà, è un colpo di fortuna: Moana non poteva sperare in meglio, dato che diventa la soubrette martirizzata, la pioniera antimoralista che viene osteggiata nelle sue imprese dai benpensanti.

(Foto: Girella / LaPresse)

L’esperienza politica

Il 1987 è l’anno della sua entrata in politica, il suo volto diventa il simbolo del Partito dell’Amore di Mauro Biuzzi, promosso dall’agenzia Diva Futura e da Schicchi. Durante la campagna elettorale il giornalista le domanda: «Da quando si interessa di politica?», e lei affonda: «Io ho sempre fatto politica coi miei spettacoli, che non sono mai stati per me soltanto un modo per esibirmi o guadagnare denaro, ma anche una forma di protesta contro la mentalità borghese della gente che mi ha sempre infastidito, fin da quando avevo quattordici anni». 

Le proposte del Partito dell’Amore sono: abolizione della censura, libertà del piacere, informazione sessuale, riapertura case chiuse, creazione di “parchi dell’amore” per la sicurezza di chi si apparta. L’operazione fallisce ma il suo tasso di popolarità è alle stelle. E intanto, anche grazie a lei, la società italiana a poco a poco inizia a cambiare: le donne iniziano a usare una lingua più esplicita quando parlano di sesso, si vergognano meno a parlare di puro desiderio, scema il bisogno di giustificarlo spasmodicamente col romanticismo.

Moana continua a essere invitata nelle trasmissioni e lei non si nega mai: risponde pacata e sorridente, sa mettere a proprio agio sprigionando un magnetismo eclatante, i modi raffinati di una nobildonna dei salotti buoni e la malizia conferita della professione nota a tutti. Una sinergia che produce valanghe di ascolti. E nuovi inviti.

(LaPresse)

Si offre, Moana, coi suoi abiti alla Jessica Rabbit, il sorriso ammaliante, un velo di malinconia e la capacità di argomentazione di una che, sul comodino, tiene – come racconta nelle interviste – Nietzsche, Bataille, Kundera, Yourcenar, Poe.

Moana diventa dunque l’icona di un nuovo femminismo? Non proprio. Il tema è già controverso all’epoca. Lei stessa scrive: «Le femministe (quelle stupide) mi accusano di essere una donna oggetto perché nel mio lavoro di pornostar mi presto a tutte le fantasie sessuali degli uomini (che poi sono anche quelle delle donne). Io invece non mi sento usata e mi piace rappresentare il sesso in tutte le sue forme. Per me la donna oggetto è la casalinga che lava, cuce, stira e cucina per la famiglia, molto spesso con poche gratificazioni».

Nel 1991 il regista Mario Verger la trasforma in cartone animato: la ritrae, su indicazione della stessa Moana, come un’Alice nel Paese delle Meraviglie, una giovane educanda che ascolta The history of Italy, la favola di un’Italia corrotta tra stragi e massoneria, narrata dal suo mentore Licio Gelli.

Moana gioca a cricket con un fenicottero che ha il volto di Antonio Di Pietro in un castello dove le carte da gioco hanno la forma delle tessere di partito e Marco Pannella è il Brucaliffo. Come dice Michela Murgia in Morgana, il podcast scritto con Chiara Tagliaferri: «In effetti Moana è questo: un’Alice che sembra ricalcare il cliché della donna oggetto, ma che nessuno riesce ad avere mai veramente, nemmeno durante un amplesso. È incatturabile».

Incatturabile e irraggiungibile, pare, anche dalle provocazioni. Quando nel 1992, ospite da Pippo Baudo, viene bersagliata dalle domande delle donne del pubblico, le risposte di Moana sono placide, imperturbate. «Hai mai avuto fidanzati gelosi?», «Sempre. È una cosa abbastanza pesante sopportare la gelosia, ma certe volte è anche bello». «Cosa pensano i suoi genitori di questo lavoro che fa?», «Non sono felici, ma è normale. Purtroppo a volte nella vita si fanno delle scelte che comportano il dispiacere degli altri». «Se deciderai di avere figli, cosa pensi che diranno da grandi del tuo lavoro?», «Proprio per questo motivo penso di non averne. Far nascere una persona e costringerla ad accettare certe scelte non credo sia giusto. Quindi probabilmente non avrò figli». Moana ribatte poi sorride, abbassa gli occhi e lo studio esplode in un applauso entusiasta, ha vinto, ancora una volta.

(Foto: Girella / LaPresse)

Un sogno breve

Moana vince, vince sempre ma a un certo punto, di colpo, non più. Si ammala, e nessuno lo sa. Nel giro di pochi mesi si allontana dalle scene, va in India, forse da Sai Baba, legge le Confessioni di Sant’Agostino – si dirà: svolta mistica, in balia dei santoni – poi in Francia, dove muore il 15 settembre 1994, a trentatré anni. Ufficialmente per un tumore al fegato, qualcuno insinuerà: AIDS, la giusta punizione per una donna del genere. Altri ancora affermano sia tutta una montatura per cambiare vita. O che sia stata uccisa dai servizi segreti. Cose che succedono ai miti del secolo scorso.

Forse lei se lo aspettava, chissà, dato che in quasi tutte le interviste che rilascia negli anni traspaiono riferimenti continui alla durata della vita, alla vecchiaia, al dispiacere di doversene andare. Eppure aveva ventotto, trent’anni. Sentiva, sapeva – facile parlare di predestinazione in retrospettiva. «La vita è un sogno», dice in una delle ultime apparizioni televisive, «e io vorrei essere eterna, vorrei non finire mai. Quando finirà, pazienza, è come quando ci si sveglia al mattino… A volte mi capita di sognare, di avere una bellissima cosa sottomano, poi mi sveglio, non c’è, e dico: che peccato».

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