Cosa sei disposta a fare, Tia, per salvare tua madre, e il suo rapporto con te? A volte, per aiutare qualcuno che ci è caro, prima dobbiamo capire noi stessi, ed è un viaggio di scoperta avventuroso come pochi.

Questo è ciò che leggete sulla quarta di copertina di Figli di Luna (Bao Publishing). Era l’ottobre scorso al Lucca Comics, mi aggiravo tra gli stand lasciandomi inebriare da file e file di libri, fumetti e graphic novel. Con Luna è stato come un colpo di fulmine, forse saranno stati gli occhioni della protagonista al centro copertina, e i suoi capelli blu. C’era anche Greta Xella, l’autrice.

Me la ricordo bene, sembrava proprio un personaggio dei suoi racconti, e mi ha donato da subito una sensazione di fantasy e sospensione, come se fossi improvvisamente alleggerita dal tempo e dallo spazio.

Mentre mi disegnava la sua dedica personalizzata mi raccontava del suo libro, e mentre la ascoltavo ero sempre più entusiasta di averlo acquistato.

Figlia di Luna parla di un viaggio compiuto dalla protagonista, Tia. Tia ha un obiettivo, curare sua madre, colpita da una terribile malattia. Una mamma che non sembra riconoscerla, che è sempre stata sofferente fino ad arrivare al punto di non riconoscere più la sua stessa bambina, cadendo in profonde crisi quando questa si presenta di fronte a lei. Il padre deve tenere in mano le redini della situazione, rimanendo forte per sua moglie e sua figlia, senza avere purtroppo il potere di cambiare le cose.

Il viaggio

Allora Tia intraprende un viaggio solitario, alla ricerca di un luogo che non è neanche sicura che esista. Sulla strada che percorre, per nulla scevra da pericoli e difficoltà, incontra compagni di viaggio con i quali potersi confrontare e affidare.

Scopre poi che quel posto leggendario esiste veramente! Sembra che tutto proceda al meglio, ma arrivata al popolo dei ragni la grande sciamana le rivela che non potrà mai cambiare le cose, che non potrà mai curare la mamma.

Questo distrugge completamente le speranze e i sogni di Tia, che con difficoltà e paura è arrivata fino a quel punto, per sentirsi dire che non ha il potere di liberare la madre da questa enorme sofferenza. La sciamana la invita l’indomani a tornare, nella speranza che sia veramente pronta ad ascoltare ciò che ha da dirle.

Non puoi cambiare la mamma Tia, ma puoi cambiare il modo che hai di comunicare con lei. Grazie all’amore e all’accettazione Tia riesce a creare un nuovo rapporto con la mamma.

Questo graphic novel è ricco di simbolismi, molti dei quali, da psicologa, li ricollego alla malattia mentale e al suo approccio con essa.

La madre sembra avere una malattia che l’ha colpita come una sorta di maledizione, già prima di concepire sua figlia. È una malattia che non le permette di fare la madre con Tia, di stringerla affettuosamente tra le braccia e sussurrarle dolci parole.

La sofferenza del genitore

È una malattia che ferisce Tia, fisicamente ed emotivamente, e non la riconosce nel ruolo di figlia. Sembra ricordarci il vissuto di sofferenza di un genitore malato, che sembra non essere più genitore.

Tia è costretta a passare lunghi periodi lontano da casa per non agitare la madre, e per paura di essere colpita lei stessa da questa terribile patologia. Quando sporadicamente torna a casa prende coscienza del fatto che nulla è cambiato, neanche allontanandosi. È quindi radicata nella mente di Tia la convinzione che lei stessa possa essere causa delle condizioni di salute della mamma, il che la porterà appunto a sentirsi anche la responsabilità di curarla. La verità è che quando qualcuno soffre, specialmente un genitore, la responsabilità di quel dolore non ricade sui figli, che però la assimilano automaticamente. Un po’ perché almeno in questo modo si cerca di darle un senso.

Quando Tia scopre che non potrà cambiare le cose, il mondo le crolla sotto i piedi. Era arrivata fin lì con grandi aspettative, per poi vederle disintegrarsi di fronte alla verità.

Ecco, la figura della sciamana mi ricorda un po’ quella di una psicologa.

Il mio lavoro è sì di supporto, di accoglienza, di abbracci detti a parole. Ma è anche un lavoro che fa male, perché spesso ciò che diciamo ferisce i nostri pazienti. Fa quindi male a Tia scoprire che non potrà curare la madre, che quello che può fare è trovare un nuovo modo di parlarci, entrando in connessione con il suo mondo senza annegarne.

Perché quando mi hanno chiesto di parlare di un fumetto a tema sogni ho scelto questo? Perché Figlia di Luna, a mio parere, è l’espressione di come sarebbe una rappresentazione onirica di quando un genitore soffre di un disturbo mentale.

Gli stregoni curatori che svuotano la mente della madre per curarla sembrano essere medici che provano diverse tipologie di cure.

La casa di Tia, che diventa un enorme tronco nero, dà l’idea della mancanza di luce, quindi speranza e della durezza che si vivono dentro casa.

Il viaggio alla scoperta della sciamana sembra essere il quotidiano che va affrontato con difficoltà e stanchezza.

La parte della sciamana, che svela la realtà, sembra quando in terapia si viene a conoscenza di come le cose siano realmente e quanto facciano male. E, infine, l’ago che intreccia Tia con sua madre, l’amore di una figlia che la accetta così com’è.

Figlia di Luna è un graphic novel che merita il giusto spazio. Va letta con calma, assaporando ogni pagina, in un’esperienza di pura immersione tra colori morbidi, personaggi fantastici ed emozioni profonde.

È uno di quei racconti che anche in superficie ti permette un’esperienza di ragionamento, senza scadere mai nel banale, ti permette di nuotare, fino a dove te la senti, in un profondo abisso ricco di significati.

È un viaggio compiuto per la salvezza di qualcun altro, per poi rivelarsi un’occasione alla scoperta di sé stessi.

È un libro che ti fa sognare a occhi aperti, ti fa immergere in una dimensione immaginativa che ti viene voglia di chiedere all’autrice a cosa si è ispirata per scriverla.

È un racconto che ti insegna che a volte i sogni non si avverano. Questo fa male. Ma i sogni possono mutare, e condurti in cima a una montagna dove prima mai avresti pensato di mettere piede, e quanta meraviglia, la vista da lassù.

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