Bergoglio ha un primato che sarà quasi impossibile superare: è infatti il primo papa ad avere proclamato santi ben tre suoi predecessori e ad averne beatificato un quarto. La circostanza non ha precedenti ed è destinata a non ripetersi.

Già un anno dopo l’elezione, in un’unica cerimonia, Francesco ha canonizzato Giovanni XXIII (Angelo Roncalli) e Giovanni Paolo II (Karol Wojtyła), poi nel 2018 è stata la volta di Paolo VI (Giovanni Battista Montini), che lo stesso Bergoglio aveva beatificato esattamente quattro anni prima; infine, nel 2022, ha dichiarato beato Giovanni Paolo I (Albino Luciani), pontefice per poco più di un mese e probabile futuro santo.

Così, tutti i papi che hanno regnato dal 1958 al 2005 sono saliti agli onori degli altari.

Bernard Lecomte, autore di un’attendibile biografia di Wojtyła, nel suo Dictionnaire amoureux des Papes ha messo in luce con riuscita enfasi giornalistica un altro aspetto di questo fenomeno nuovo nella storia della santità: «Che dire della straordinaria celebrazione papale organizzata a Roma il 27 aprile 2014 da papa Francesco, che ha presieduto la cerimonia di canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, avendo a fianco il suo predecessore Benedetto XVI, divenuto papa “emerito”? Due papi viventi che canonizzano due papi morti: questa “festa dei quattro papi”, inedita nella storia, è stata seguita da due miliardi di telespettatori!».

Nel contesto di questa recente santità papale è così sembrato normale a molti che durante i funerali di Benedetto XVI qualche striscione venisse levato dalla folla con la scritta «santo subito», a imitazione di quelli innalzati nel 2005 per Giovanni Paolo II con maggiore determinazione.

Per spegnere questi prevedibili entusiasmi il segretario di Joseph Ratzinger, l’arcivescovo Georg Gänswein, nel suo libro di memorie – molto criticato e molto letto – ha affermato di non avere personalmente dubbi sulla sua santità, ma con prudenza ha aggiunto: «Ben conoscendo anche la sensibilità espressami pri­vatamente da Benedetto XVI, non mi permetterò di fare alcun passo per accelerare un processo canonico».

Gloria infrequente

Non meraviglia la «sensibilità» di un disincantato conoscitore della storia come Ratzinger. La gloria degli altari non è stata frequente per i papi di Roma.

Chi scorre la lista dei successori dell’apostolo Pietro – circa trecento tra papi e antipapi – è colpito da un fatto: degli 81 tradizionalmente venerati come santi, 73 si collocano nel primo millennio, e ben 55 di questi sono concentrati nei primi cinque secoli.

La spiegazione è semplice: fino all’inizio del medioevo il papato ha voluto celebrare anche in questo modo sé stesso e le proprie origini, idealizzate e proposte come esemplari.

Certo nel quadro di vicende storiche complesse, di recente studiate da Roberto Rusconi nelle settecento pagine di Santo Padre (Viella) che indagano su questa singolare storia, arrivando alla causa di papa Wojtyła.

Più di altre, insomma, la difficile santità papale è una santità politica, tanto che nei suoi confronti la chiesa di Roma si è mostrata realista e molto prudente. Fino agli ultimi decenni.

Prima del pontificato (1939-1958) di Pio XII, infatti, soltanto quattro papi dopo l’anno Mille erano divenuti santi. Nell’XI secolo sono l’alsaziano Leone IX – sulla cui tomba si moltiplicano prodigi e miracoli – e poi Gregorio VII, grandi protagonisti della radicale riforma detta gregoriana ma avviata e voluta dall’impero tedesco.

Due secoli più tardi si colloca invece la vicenda di Celestino V, che lascia il trono di Pietro e passa alla storia per la deplorazione dantesca del suo «gran rifiuto». Più tardi ancora è proclamato santo Pio V, il papa che aveva promosso l’alleanza contro i turchi sconfitti nel 1571 a Lepanto.

È proprio Gregorio VII a teorizzare nel Dictatus papae questa santità papale dichiarando solennemente che «il romano pontefice, se sia stato ordinato canonicamente, per i meriti del beato Pietro senza dubbio diviene santo».

Poco più tardi l’affermazione viene tradotta visivamente negli affreschi dell’oratorio di San Nicola nel Laterano, dove ognuno dei papi succedutisi tra il 1061 e il 1119 è raffigurato con la denominazione sanctus, per celebrare appunto il papato riformatore.

La politica condiziona la drammatica vicenda e la canonizzazione dell’eremita Pietro del Morrone, pontefice per cinque mesi nel 1294 con il nome di Celestino V per volere di Carlo II d’Angiò e proclamato santo nel 1313 dal primo papa avignonese.

Il contesto è quello dello scontro tra il papato teocratico affermato strenuamente da Bonifacio VIII e la monarchia nazionale francese di Filippo IV il Bello.

Papa Caetani, succeduto a Celestino, ne era morto, ma il sovrano non riesce a ottenere la condanna di Bonifacio e la canonizzazione di Celestino. Infatti il francese Clemente V, pur pressato dal re, in qualche modo resiste e stabilisce che il suo predecessore sia proclamato santo – scrive un cronista – come «san Pietro confessore, dal momento che si chiamava così prima del papato, vale a dire Pietro del Morrone»: viene ratificata in questo modo la controversa rinuncia di Celestino, ma anche la legittimità di Bonifacio, il pontefice odiato da Filippo.

In piena età moderna, mentre sullo scenario europeo declina il potere della chiesa di Roma, la celebrazione politica del papato si riaffaccia con Pio V, il grande inquisitore poi protagonista della strepitosa vittoria navale di Lepanto, che viene beatificato nel 1672 e canonizzato nel 1712.

Meno di un secolo più tardi è paradossalmente la bufera rivoluzionaria e napoleonica, con la deportazione in Francia di due papi, Pio VI e Pio VII, ad accrescere il prestigio di un papato perseguitato.

E non a caso dopo il 1870, quando viene proclamato il dogma dell’infallibilità pontificia e crolla il potere temporale, la nuova esaltazione del papato è accompagnata fino al 1898 dalle conferme del culto di sei papi medievali (cinque di loro come beati, la metà dei dieci pontefici così venerati).

La novità di Pio XII

Ma la novità arriva con Pio XII, che nel 1951 beatifica e nel 1954 dichiara santo Pio X, morto quarant’anni prima e di cui era stato collaboratore ai più alti livelli della curia.

Figura molto popolare per le origini modeste e il chiaro profilo pastorale, il pontefice veneto – repressore del modernismo e nello stesso tempo radicale riformatore – godeva già in vita di una fama di taumaturgo su cui lo stesso Pio X scherzava con arguzia, come riferì un testimone: «Adesso vanno parlando e stampando che mi sono messo a fare miracoli, quasi non avessi altro da fare… Cosa volete? A questo mondo bisogna fare di tutto».

Alla canonizzazione di papa Sarto, osteggiata a causa degli eccessi nella repressione antimodernista ma voluta fortemente da Pacelli, segue nel 1956 la beatificazione di Innocenzo XI, esaltato come difensore dell’Europa dopo la sconfitta dei turchi, fermati a Vienna nel 1683.

Solo un decennio più tardi, nel 1965, mentre il Vaticano II sta per concludersi, a denunciare l’uso politico della santità papale è Paolo VI. Di fronte infatti alla proposta di canonizzare in concilio Giovanni XXIII, che i progressisti contrappongono a Pio XII, Montini dispone l’avvio per via ordinaria delle cause di entrambi: l’intento – dice il papa – è quello di evitare «che alcun altro motivo, che non sia il culto della vera santità e cioè la gloria di Dio e l’edificazione della sua Chiesa, ricomponga le loro autentiche e care figure per la nostra venerazione».

In questo modo viene però introdotto il principio di bilanciare un pontefice con un altro.

Così, mentre rallenta la causa di Pio XII per i suoi silenzi di fronte alla Shoah, Giovanni XXIII viene beatificato nel 2000 insieme a Pio IX, tra inevitabili polemiche per il comportamento di papa Mastai durante il Risorgimento.

E lo stesso avviene nel 2014, quando a essere proclamati santi sono Roncalli e Wojtyła, la cui causa era stata introdotta nel 2005, meno di un mese dopo la morte, da Benedetto XVI che non resiste alle pressioni, e già nel 2011 beatifica il suo immediato predecessore.

È dunque l’intero papato protagonista del Vaticano II a essere innalzato alla gloria degli altari per volontà dei tre papi non italiani che si sono succeduti dal 1978.

Un fatto senza precedenti ma oscurato da crescenti polemiche: per la fallimentare gestione degli abusi durante il pontificato di Giovanni Paolo II nel 2019 in Francia è stato lanciato un appello per la sua «decanonizzazione», mentre negli Stati Uniti si è proposto nel 2020 di sopprimerne il culto pubblico.

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